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L’A. dal 1998 è cappellano laico cattolico, incaricato di accompagnare spiritualmente i condannati e le loro famiglie nel braccio della morte in Florida. La sua vicenda personale, così come l’incarico svolto, è davvero degna di nota. Avvocato di successo, si trova inaspettatamente ad affrontare due grandi imprevisti che danno una svolta alla sua vita.
La prima svolta avviene quando, recandosi a un lussuoso ricevimento, si imbatte in Dennis, un senzatetto: sentendosi osservato dai colleghi, lo evita velocemente, salvo poi restare tormentato dal suo comportamento. Così lo rintraccia e, dopo molte peripezie, riesce a farlo ricoverare in un centro di accoglienza. Questo episodio gli apre gli occhi su ciò che conta nella vita: «Tutto questo luccichio che ho trattato come realtà è solo un’illusione. Dio vede il mio spirito, che ai suoi occhi risulta tanto malato quanto il corpo di Dennis è per me» (p. 29).
La seconda svolta lo vede in punto di morte, per aver contratto un batterio che gli distrugge gli organi vitali. In quella che per i medici doveva essere la sua ultima notte si trova di fronte il volto di Gesù, luminoso e triste, che gli chiede cosa abbia fatto dei doni ricevuti e della vita vissuta finora: «Parla con un tono supplichevole che rasenta l’esasperazione. “Dale, cosa mi dici di tutta la mia gente che sta soffrendo?”» (p. 35). Dale implora disperato un’altra possibilità. Nei giorni seguenti l’équipe medica constata con stupore la sua guarigione: il batterio Vibrio vulnificus, che gli aveva distrutto gli organi vitali, è sparito. Da allora Dale si impegna a mantenere la promessa fatta a Gesù, e accetta, sia pur con riluttanza, la proposta del parroco della chiesa che frequenta, padre Joe, di aiutarlo come cappellano «laico» per assistere i condannati a morte.
L’impatto con il braccio della morte è terribile: caldo soffocante, umidità, mancanza di ombra e di aria, sembra davvero di entrare all’inferno (cfr p. 62). Dale entra in quell’inferno armato solo della sua fede in Gesù; ripete spesso la preghiera insegnatagli un tempo dal suo padre spirituale: «Gesù dammi le tue parole per aiutare quest’uomo oggi, i tuoi occhi per vederlo come Tu lo vedi, il Tuo cuore per amarlo come Tu lo ami…» (p. 54). Quella preghiera lo sostiene in tutti i 26 anni del suo ministero, in cui riceve grazie inaspettate.
Il libro è un forte atto di accusa nei confronti della pena di morte negli Usa, una pratica crudele e disumana, indegna di un Paese a maggioranza cristiana. L’ostacolo più grande che Dale incontra a entrare in relazione con queste persone non è l’aggressività, né la strettissima burocrazia, e nemmeno le guardie, che non di rado pregano con lui, ma l’accusa che più volte si sente rivolgere al primo colloquio: «Voi cristiani siete quelli che insistono a volere la pena di morte!» (p. 81).
Si tratta di un tema del tutto ignorato fino a tempi recenti, che ha conseguenze psicologiche e affettive terribili, non solo per i condannati e le famiglie, ma anche per i carcerieri (che spesso vivono quelle morti come se perdessero un amico) e soprattutto per i responsabili dell’esecuzione: «In un articolo pubblicato il 6 giugno 2021 sul quotidiano statale della Carolina del Sud, Ron McAndrew, ex direttore del carcere supplica i politici di rinunciare al progetto di ripristino delle esecuzioni nel loro stato […]. Descrive i suoi incubi e la sindrome da stress post-traumatico che gli derivano dall’aver gestito le esecuzioni in Florida» (p. 153). La pena di morte sottrae al condannato il tempo per ravvedersi; è un atto contrario al Vangelo, che insiste sulla possibilità che Dio dà a ogni persona di convertirsi e riscattarsi, facendo del bene.
Dale ha visto più volte una profonda trasformazione anche nel criminale più incallito, quando può trovare ascolto, accoglienza e condivisione nella preghiera. È il miracolo dell’onnipotenza di Dio all’opera, che le stesse guardie non mancano di notare, come nel seguente episodio, occorso nel primo anno del suo ministero. Al giorno dell’iniezione fatale, un sergente si avvicina alla cella del condannato, gli stringe le mani commosso e gli porge l’ultimo saluto: «Non so come eri là fuori. Ma ti conosco da quando sei arrivato qui, quasi vent’anni fa […]. E da quando ti conosco, so che l’uomo rinchiuso qui è più cristiano di me […]. Addio, buon uomo» (p. 71).