|
Non tutti i giuristi che si occupano di Costituzione possono essere definiti costituzionalisti. Zagrebelsky, già giudice costituzionale e presidente della Corte Costituzionale, nel suo saggio fa un distinguo fra «costituzionalisti» e «costituzionisti», entrambi giuristi a pieno titolo, ma con differenze sostanziali.
I costituzionalisti sono una categoria particolare di giuristi con un compito implicito, in quanto studiosi di una materia particolare, perché il diritto costituzionale è differente da altre branche del diritto. Per essi, la scelta di dedicare la propria vita professionale al diritto costituzionale è stata dettata, ricorda l’A., dall’adesione ideale a qualcosa di intrinseco alla materia stessa.
Alla loro «missione» è dedicato il terzo capitolo del libro, intitolato «La Costituzione è il nostro compito». Questo consiste nell’illuminare convinzioni e sentimenti dei cittadini, promuovendo l’atmosfera di libertà, humus del costituzionalismo, dando voce alla Costituzione e parlando a tutti i cittadini. I costituzionalisti, evidenzia Zagrebelsky, non hanno clienti e non rappresentano una parte, come nei processi civili, penali e amministrativi. Hanno un compito che l’A. definisce «politico» nel significato più ampio del termine, così come la Costituzione è il più politico di tutti i documenti. Hanno come regola e limite la Costituzione, che pongono al di sopra di tutto; diffidano del potere, si tengono lontani dalle anticamere, non sono compiacenti, operano «come castori» (p. 62) per la solidità della Costituzione, operando nelle scuole, nelle università e nei tribunali di ogni grado, fino ai tribunali supremi e costituzionali.
I costituzionisti, invece, operano sul terreno costituzionale indipendentemente dal costituzionalismo, ed eventualmente anche contro di esso. Per loro è essenziale, a ogni costo e con ogni mezzo, la tenuta dello Stato, inteso come organizzazione, governo e amministrazione. Essi confidano nel potere: infatti, stanno nelle anticamere, oppure in comitati e fondazioni di vario genere, pensano alla Costituzione come a uno strumento. Sono i tecnici al servizio del potere – o aspirano a esserlo –, qualunque sia il suo rapporto di compatibilità con la Costituzione e il costituzionalismo.
Costituzionalisti e costituzionisti si occupano della Costituzione, ma con ruoli e modalità diversi. La distinzione emerge in periodi di burrasca, come quello che attualmente vive l’Italia, nel quale i costituzionalisti, intesi come studiosi «liberamente impegnati nel compito comune di alimentare con la loro riflessione la Costituzione esistente» (p. 13), rischiano l’estinzione.
La nostra Costituzione vive tempi difficili. Per decenni i costituzionalisti sono stati compatti nel difenderla e nel considerarla al di sopra di loro, riconoscendole l’importanza fondamentale che ha avuto dopo la Seconda guerra mondiale, come atto fondativo di uno Stato, e non di uno Stato che si è dato una Costituzione. Fino agli anni Settanta la Costituzione italiana è stata considerata il migliore prodotto politico del Secondo dopoguerra, per essere stata la via della ricostruzione del nostro Paese. Le proposte di modifica non dovevano essere strumenti di lotta politica. A partire da alcuni decenni, invece, la Costituzione è diventata l’arena in cui giocare una battaglia politica fra partiti. In Italia – ecco l’amara conclusione di Zagrebelsky – questo è il tempo dei costituzionisti. I costituzionalisti vengono considerati alla stregua di tanti che hanno i propri motivi per protestare e non hanno più voce in capitolo, anche perché «tutti insieme non fanno che un concerto di voci discordanti che si annullano le une le altre» (p. 51).