In un discorso rimasto celebre, tenuto ai Lloyd’s di Londra il 29 settembre 2015, Mark Carney, allora governatore della Banca d’Inghilterra, aveva avvisato che il riscaldamento climatico avrebbe comportato tre generi di rischi per la sfera finanziaria: 1) un «rischio fisico», provocato dalla distruzione delle condizioni materiali di esistenza degli esseri viventi; 2) un «rischio di transizione», generato dalla perdita di valore delle attività finanziarie legate alle energie fossili, di cui – volenti o nolenti – dovremo un giorno fare a meno; 3) un «rischio giuridico», sostenuto dagli inquinatori, che le società civili del Pianeta non avrebbero tardato a trascinare davanti ai tribunali per chiedere conto delle loro responsabilità nel disastro ecologico in corso[1].
Finora, il terzo rischio si è materializzato poco. Al contrario – ed è una cosa che sta ormai allarmando l’Onu –, sono gli attivisti ambientali a essere oggetto di una repressione violenta, particolarmente in Francia[2]. Il primo rischio (quello fisico), da parte sua, non è più un rischio astratto, ma una realtà quotidiana per molte popolazioni del Sud globalizzato, che devono confrontarsi tutti i giorni con la distruzione del litorale causata dall’innalzamento del livello del mare, dal prosciugamento delle fonti d’acqua potabile, dall’irregolarità delle precipitazioni atmosferiche, dalle inondazioni, dai cicloni e dalla siccità. Anche il Nord comincia a sperimentare ciò che significa sopravvivere su un Pianeta troppo caldo: lo possono testimoniare i Paesi che hanno fatto l’esperienza delle inondazioni degli ultimi anni. L’Italia sta lentamente scoprendo che cosa significa dover vivere tutti gli anni con la metà dell’acqua potabile, come avverrà verosimilmente nel 2040 nella Penisola, se nel frattempo non si farà nulla per rimediare alla mancanza di acqua[3]. Tuttavia, alcuni politici si limitano a un’attenzione superficiale all’imperativo ecologico, mentre altri continuano a pensare in termini di mondo «freddo» e tardano a prendere le misure urgenti necessarie.
Il rischio di transizione non si è ancora concretizzato. Al contrario, il settore bancario continua a finanziare progetti a emissione di carbonio a colpi di miliardi: a partire dal 2015, le 60 maggiori banche del Pianeta hanno finanziato progetti collegati alle energie fossili per un importo di 5.500 miliardi di dollari[4]. Peggio ancora, molte banche continuano ad accogliere nel loro bilancio attività finanziarie direttamente legate al fossile. Per le prime 11 banche dell’eurozona queste riserve di attività rappresentavano in media il 95% dei fondi propri di ciascuna di esse[5]. Fino a
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