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Avvalendosi del principio della prospettiva, in base al quale ciò che è più vicino all’osservatore appare più grande e viene visto più dettagliatamente, mentre quel che è distante apparirà giocoforza meno evidenziato, la storica inglese Mary Fulbrook ha riservato maggiore attenzione all’età moderna e contemporanea. In questo ampio e approfondito contributo, provvede a delineare il tortuoso itinerario percorso da una nazione che, attraverso i secoli, nel bene e nel male, è stata al centro della storia d’Europa.
La studiosa mette anzitutto in rilievo come i territori che compongono l’attuale Repubblica federale tedesca risultino assai variegati, siano cioè connotati da condizioni e situazioni molto diverse, da accentuate peculiarità che si devono a ragioni sia di carattere geografico sia di carattere storico. Riguardo alle prime, si va dalle coste sabbiose e dai porti mercantili del Mare del Nord e del Baltico alle brughiere del bassopiano settentrionale e, una volta superate le alture centrali, il paesaggio digrada, diventando dolce e ondulato fino a raggiungere le pendici delle Alpi. A proposito invece delle seconde, va rilevato che il territorio della Germania presenta forti variazioni regionali, poiché ne fanno parte zone che in passato hanno avuto un’esistenza autonoma come province o principati, il che ha portato con sé una grande varietà di accenti e culture, di forme costituzionali e politiche, di mentalità e luoghi comuni.
L’A. osserva inoltre come la «terra dei poeti e dei pensatori», pur essendo stata centrale nell’ambito della definizione degli equilibri del Vecchio Continente, abbia cercato a lungo, e trovato poi a fatica, sia confini stabili sia una propria identità: dal sogno del Sacro Romano Impero alla Riforma, dalla pace di Vestfalia all’ascesa della Prussia, dall’unificazione raggiunta attraverso le politiche «del ferro e del sangue» di Bismarck alla Repubblica di Weimar, dall’avvento del regime nazista alla divisione in due Stati, dalla caduta del Muro di Berlino alla successiva riunificazione, fino al lungo cancellierato di Angela Merkel, quella della Germania appare una traiettoria storica davvero complessa, nell’ambito della quale non è difficile individuare alcune particolarità che fanno della vicenda tedesca un appassionante oggetto di studio.
Gli storici hanno discusso a lungo, per esempio, sul cosiddetto Sonderweg, la «via speciale» alla modernità che venne seguita dalla Germania imperiale. Una società che stava industrializzandosi rapidamente, ma restava governata dalle élite tradizionali, mentre la massa dei lavoratori, nel contesto del sistema politico, non aveva trovato rappresentanza. Il Secondo Reich, insomma, non aveva saputo costruire un equilibrio tra gli interessi delle varie classi. Di fronte alle sempre più forti tensioni interne, quelle stesse élite avrebbero consegnato il potere a Hitler, nella speranza che quel demagogo riuscisse a integrare le masse popolari e, nel contempo, si lasciasse manipolare.
Un’altra particolarità della Germania imperiale appare costituita da un sistema costituzionale a piramide in cui un Parlamento (Reichstag) sostanzialmente privo di poteri si vedeva sovrastato da una Camera alta (Bundesrat), composta dalle delegazioni dei vari Stati, alla quale spettava l’iniziativa legislativa. Al vertice c’erano poi le figure nelle cui mani era concentrato il potere reale: l’imperatore, il cancelliere, i ministri, gli alti funzionari, i comandanti militari. Un sistema dalle caratteristiche autoritarie, che avrebbe rivelato ben presto tutte le proprie problematicità.
E oggi? Scrive in proposito Fulbrook: «Nell’Europa di questo inizio del XXI secolo, la Germania è assurta a punto di riferimento di stabilità, democrazia e morale» (p. 278). Un giudizio difficilmente contestabile: la Repubblica federale sembra, insomma, aver esaminato con attenzione il proprio passato e fatto tesoro delle lezioni ricevute.