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Sono ormai trascorsi poco più di 30 anni da quando, nel luglio del 1993, la Democrazia cristiana è stata sciolta: un periodo che ha visto il definitivo tramonto dei partiti novecenteschi e l’avvio di una confusa, contraddittoria transizione, i cui esiti appaiono, ancora oggi, difficilmente prevedibili.
A 30 anni dalla conclusione di quella vicenda, gli storici possono finalmente procedere a una distaccata ricostruzione degli eventi e alla loro meditata interpretazione. È quanto hanno inteso fare gli AA. di questo saggio, che si caratterizza per accuratezza e profondità analitica: effettuare l’equilibrata storicizzazione di un partito che dal 1943 al 1993, oltre a plasmare la vita politica culturale del nostro Paese, ha costituito il perno dei tanti governi italiani che si sono succeduti nel corso dei decenni.
Formigoni, Pombeni e Vecchio osservano, in primo luogo, come il giudizio sulla DC continui a oscillare tra demonizzazione e rimpianto: finora è insomma mancata, a loro parere, un’indagine storiografica che ne esaminasse l’intera vicenda in maniera rigorosa, priva di indulgenza nei confronti sia di pesanti condizionamenti ideologici sia di speciose velleità giustificazioniste. Un tentativo, il loro, che è stato reso possibile anche grazie alla recente accessibilità di un cospicuo numero di archivi pubblici e privati: si è presentata in tal modo l’opportunità di consultare documenti, diari e memoriali di grande interesse, che hanno contribuito ad ampliare in misura rilevante la quantità e la qualità delle fonti disponibili.
Va inoltre sottolineato come gli AA. abbiano studiato quel cinquantennio in maniera peculiare: la storia d’Italia di quel periodo è stata cioè analizzata alla luce delle vicende di un partito – dalla fondazione alla sua parabola conclusiva – che vi ha svolto un ruolo determinante, essendo stato ininterrottamente al governo del Paese dal 1946 al 1992, dunque per quasi cinque decenni. Gli AA. hanno quindi scelto di focalizzare la propria attenzione sulla Democrazia cristiana in quanto «soggetto storico cruciale», cercando cioè di fare luce sulle «funzioni complesse» che essa ha esercitato nell’ambito della contemporaneità italiana.
Riguardo poi all’identità della DC, ai tre studiosi essa «appare un partito di ispirazione cristiana, ma anche un partito-Stato, un partito-società e un partito plurale quanto unitario» (p. 581). Grazie infatti alla notevole capacità di formare varie coalizioni e rivendicando una propria forma di autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche, nonché una spiccata aconfessionalità, la Democrazia cristiana si è identificata in modo sempre più stretto con il governo del Paese, riuscendo a costruire un sistema di potere basato in gran parte sulla spesa pubblica.
Essa è stata però anche in grado di interpretare le istanze, i bisogni, i valori di una società articolata come quella italiana che, nel volgere di 20 anni, ha subìto una radicale trasformazione, per conoscere in seguito una marcata tendenza alla terziarizzazione e alla globalizzazione. Il suo si è rivelato, tuttavia, un ruolo di accompagnamento, più che di guida, giacché la compagine democristiana era, sì, solita indicare una direzione, ma in maniera assai prudente, senza rischiare strappi di sorta, privilegiando cioè la continuità con il passato.
Si è trattato, infine, di un partito straordinariamente flessibile, connotato dall’esistenza di un equilibrio precario che – pur tra spinte centrifughe provenienti dall’interno e dall’esterno – è stato a lungo salvaguardato e considerato, tanto dai dirigenti quanto dai militanti, una componente di capitale importanza. Un organismo politico formato da «anime plurali», che ha fornito un contributo determinante alla ricostruzione del Paese, al suo sviluppo industriale e ne ha voluto la collocazione nel contesto europeo, dal quale continuiamo a trarre notevoli benefici.