«L’intelligenza artificiale ha questo risvolto curioso», rifletteva il mio amico Jerry, un ingegnere che da molti anni lavora utilizzando reti neurali artificiali per sviluppare sistemi che permettano ai computer di parlare con un tono il più possibile naturale. «Ogni volta che produce qualcosa di effettivamente utile, tutti smettono di chiamarla intelligenza artificiale».
Il riconoscimento e la generazione del linguaggio sono elementi che i computer faticano da sempre a gestire, ma le varie forme di intelligenza artificiale (IA) – o piuttosto, le reti neurali e l’apprendimento automatico, come preferiscono chiamarle gli ingegneri del settore – sono finalmente riuscite a fare qualche progresso. Come può testimoniare chiunque abbia provato a parlare con gli avatar dei nostri smartphone, Alexa o Siri, i miglioramenti sono davvero notevoli, ma siamo comunque lontani dalla perfezione. Essere compresi da una macchina non è paragonabile con l’intrattenere una conversazione con una persona reale.
Computer vs cervello umano
Quando ero un novizio gesuita, lavoravo in un cosiddetto «laboratorio protetto», un posto in cui si forniva assistenza a uomini con gravi handicap mentali e che permetteva loro di guadagnare facendo lavori semplici, secondo le loro capacità. Mi era stato detto che il quoziente di intelligenza (QI) tipico di questi uomini sarebbe stato pari o inferiore a 50 (ricordiamo che la media è 100). In effetti, gli uomini con cui lavoravo non erano in grado di contare fino a tre, ma parlavano tutti correntemente inglese. Contare è il genere di cosa che persino i primi computer riuscivano a fare bene; la parola, invece, rappresenta tuttora un problema per essi. Le mie conclusioni? I computer operano in maniera molto diversa dal cervello umano.
Certo, le «reti neurali» dei computer prendono il nome dalle reti di cellule neurali che sono state mappate all’interno del cervello umano e si ispirano a esse. Ma finora ciò che sono in grado di fare è molto diverso da ciò che succede realmente quando a pensare è un essere umano. Ebbene, non sono un esperto nel campo delle reti neurali o di altre forme di quella che conosciamo come IA; sono un astronomo e un fisico, e mi avvicino all’argomento in qualità di utente. Grazie ai progressi nella tecnologia dei telescopi, in particolare nei rilevatori elettronici e nel modo in cui i segnali provenienti da questi strumenti vengono elaborati, l’astronomia è oggi soggetta a un’invasione di big data, un numero di dati tale per cui i vecchi modi di maneggiare i risultati
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