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Amnon e Assalonne sono due fratelli, ambedue figli del re Davide, possibili avversari nella successione al trono d’Israele. Tamar è sorella di Assalonne e sorellastra di Amnon. Le figure di Amnon e Assalonne sono collocate nel secondo arco narrativo del ciclo di Davide, che comincia in 2 Samuele 7, quando Dio promette al re d’Israele che gli edificherà una casa, cioè una dinastia. Secondo il biblista Jean-Pierre Sonnet, «l’oracolo di Natan, esempio emblematico di oracolo di lunga portata, fa slittare il seguito del ciclo di Davide nella storia della sua “casa” – e quindi delle vicissitudini della sua paternità – ed offre la cornice per comprendere tutto ciò che seguirà»[1]. In particolare, le problematiche figure di Amnon e Assalonne sono presentate dopo il verdetto formulato dal profeta Natan contro Davide a causa dei crimini da lui commessi: «Tu hai colpito di spada Uria l’Hittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Hittita» (2 Sam 12,9-10). In che modo, dunque, la spada, cioè la guerra, imperverserà sulla famiglia di Davide?
Amnon è un uomo malato e spietato, la cui affettività distorta avrà pesanti ricadute sulla casa di Davide, aprendo una lunga serie di conflitti, che si protrarranno durante molti anni. Assalonne, invece, è una figura meno impulsiva rispetto al fratello Amnon. Egli, infatti, coverà lungamente il proprio odio e desiderio di vendetta, fino a contrapporsi drammaticamente al fratello e al suo stesso padre. In tutto questo, Tamar, loro sorella, emergerà come l’unica figura positiva del racconto, che tenterà di mettere un argine alla violenza irrazionale che verrà scatenata.
L’introduzione di Amnon nel racconto
La narrazione comincia con un’esposizione, che introduce i personaggi, le relazioni tra loro e le dinamiche affettive che entrano in gioco: «Dopo queste cose accadde che, avendo Assalonne, figlio di Davide, una sorella molto bella, chiamata Tamar, Amnon figlio di Davide si innamorò di lei. Amnon era così afflitto da cadere malato a causa di Tamar, sua sorella, poiché ella era vergine e agli occhi di Amnon era impossibile farle qualcosa» (2 Sam 13,1-2)[2].
Il primo personaggio a essere nominato è Assalonne. Questi è il terzogenito di Davide, nato da Maacà, figlia del re di Ghesur (cfr 2 Sam 3,3). Assalonne ha una sorella molto bella, il cui nome è Tamar. Successivamente è introdotto nel racconto Amnon, primogenito del re Davide, che è innamorato di Tamar e ne è afflitto. Nella Scrittura, l’amore ha generalmente una connotazione positiva. Il racconto che segue segnerà una rottura e uno stravolgimento dell’uso consueto del verbo «amare». L’affettività di Amnon, infatti, sarà in negativo il motore della narrazione. Il primogenito di Davide appare talmente prostrato e afflitto da questo amore per la sorellastra che ne cade malato[3]. L’amore impossibile per Tamar tortura il primogenito di Davide fino a condurlo alla malattia, perché qualsiasi proposito sembra impossibile da attuare. Il personaggio di Amnon è introdotto nel racconto sotto una luce negativa; il suo amore lascia il lettore inquieto, perché tutti gli elementi forniti dal narratore concorrono a delineare una figura piena di tensioni e brame che potrebbero esplodere da un momento all’altro.
Dall’amore alla violenza su Tamar
Successivamente viene introdotto nel racconto un nuovo personaggio, Ionadàb, che ha la funzione di sbloccare la situazione di stallo interpellando Amnon e offrendogli un piano per avvicinarsi a Tamar: «Egli disse: “Perché tu, figlio del re, sei emaciato ogni giorno? Non me lo vuoi dire?”. Amnon gli rispose: “Tamar, sorella di Assalonne mio fratello, io amo”» (2 Sam 13,4).
Nel dialogo con Ionadàb, Amnon comunica, nel discorso diretto, la propria interiorità. Infine confessa di amare Tamar, ma la presenta come sorella di Assalonne, non sua. Ionadàb allora propone un dettagliato e articolato piano d’azione che conduca Amnon a incontrare Tamar: «Ionadàb gli disse: “Mettiti a letto e fingiti malato; quando tuo padre verrà a vederti, gli dirai: ‘Permetti che mia sorella Tamar venga a darmi da mangiare e a preparare la vivanda sotto i miei occhi, così che io veda; allora prenderò il cibo dalla sua mano’”» (2 Sam 13,5).
Il suggerimento dato da Ionadàb è che Amnon veda la giovane e che mangi dalla sua mano, in modo da favorire una prossimità fisica che attenui il dolore del primogenito di Davide. Però si può anche sospettare che Ionadàb non sia tanto ingenuo e che abbia in mente un piano machiavellico affinché Amnon ottenga Tamar a ogni costo. Purtroppo, il consiglio di Ionadàb aprirà ad Amnon uno spiraglio per fare qualcosa a Tamar (cfr 2 Sam 13,2). Con la prossimità fisica, agire su di lei non sarà più impossibile. Sarà proprio in virtù del legame familiare che Amnon potrà condurla accanto a sé senza alcun disturbo e senza suscitare sospetti nel re Davide.
Amnon si mette a letto e si finge ammalato (cfr 2 Sam 13,6). Così Davide si reca a visitare il figlio malato, che chiede al padre quanto Ionadàb gli aveva suggerito, cioè che sia proprio Tamar a preparargli due frittelle sotto i suoi occhi. Il re Davide ascolta l’istanza del figlio e si rivolge a Tamar, comandandole di recarsi a casa del fratello per preparargli qualcosa da mangiare (cfr 2 Sam 13,7). Fino a questo punto tutto procede secondo quanto Ionadàb aveva previsto. La scena successiva si svolge nella casa di Amnon. Appena arrivata, Tamar trova il fratello che è coricato nel letto. L’incontro tra i due è carico di tensione. Gli eventi di 2 Sam 13,8 si svolgono su due registri. Da un lato, ci troviamo dinanzi a una scena domestica di vita quotidiana: Tamar prende la farina, la impasta, ne fa frittelle, le fa cuocere; dall’altro lato, tutto avviene sotto gli occhi di Amnon carichi di bramosia. C’è un forte contrasto tra l’ordinarietà delle azioni compiute da un’inconsapevole Tamar e lo sguardo concupiscente di Amnon, che intende fare qualcosa alla giovane.
Quando Tamar porge al fratello ciò che gli ha preparato, Amnon rifiuta di mangiare e con sorpresa ordina di far allontanare tutti dalla sua presenza (cfr 2 Sam 13,9). Rimangono in scena solo Tamar e Amnon, mentre il lettore ha un accesso privilegiato a ciò che avviene tra i due[4]. Rimasto solo, Amnon dà a Tamar un ordine: «“Portami la vivanda in camera e prenderò il cibo dalla tua mano”. Tamar prese le frittelle che aveva fatte e le portò in camera ad Amnon suo fratello» (2 Sam 13,10).
Sono queste le prime parole che Amnon rivolge alla giovane. Egli si esprime attraverso un rude comando. Questo modo di parlare offre una luce ulteriore sulla natura dell’amore di Amnon per Tamar, che non ha nulla di romantico o sentimentale. Egli ordina perentoriamente alla donna di portargli il cibo in camera, affinché lui possa mangiare. In questo modo ottiene quella prossimità fisica, così come era stata suggerita dal progetto di Ionadàb (cfr 2 Sam 13,5). Tamar si ritrova sola alla presenza del fratello. Un’azione improvvisa e brusca di Amnon alza il livello della tensione: «Ma mentre gliele dava da mangiare, egli l’afferrò e le disse: “Vieni, coricati con me, sorella mia”» (2 Sam 13,11).
Da questo momento in poi gli eventi andranno oltre il piano suggerito da Ionadàb: Amnon afferra Tamar, usando la forza. L’azione violenta del primogenito di Davide precede il comando: «Vieni, coricati con me, sorella mia». La passione che Amnon cova dentro di sé, a lungo repressa, ora emerge in tutta la sua forza anche violenta. Amnon chiama Tamar «sorella mia», mentre le chiede di unirsi a lui; il fatto che Tamar sia sua parente stretta non è un ostacolo o un impedimento alla sua bramosia. La risposta di Tamar è drammatica: «Ella gli disse: “No, fratello mio, non farmi violenza; perché non si fa così in Israele; non fare questa viltà/sacrilegio! E io dove andrei con il mio disonore? E tu diverresti uno dei vili/abietti in Israele. Ora parlane al re perché non mi rifiuterà a te”» (2 Sam 13,12-13).
Tamar risponde con un «no!» concitato e angosciato. Così ribadisce la sua opposizione alla richiesta di Amnon e manifesta la sua intenzione di non obbedire a quanto il fratello le comanda. Tamar, inoltre, invita Amnon alla ragione. Egli, infatti, agendo in modo deplorevole, rischia di fare un danno non solo a lei, ma anche a sé stesso. Innanzitutto, Tamar si appella ai legami familiari con un linguaggio fortemente affettivo. Le ultime parole di Amnon erano state: «sorella mia»; adesso Tamar risponde: «fratello mio», affinché Amnon pensi ai legami familiari da proteggere piuttosto che alla propria voglia da soddisfare. Tamar è esplicita: «Non farmi violenza!». Ella ben comprende che Amnon la vuole con brutalità. In effetti, la violenza è già in atto attraverso l’azione del fratello, che la afferra con forza mentre le ordina di giacere con lui (cfr 2 Sam 13,11).
Tamar pone in campo le sue ragioni per fermare Amnon, invitandolo a passare dall’affettività distorta alla sfera della razionalità. Le parole di Tamar sono attraversate dall’angoscia, ma al tempo stesso si rivelano sagge e intelligenti[5]. Ella spiega ad Amnon la natura vile e sacrilega dell’azione che sta per compire, un’azione che non trova cittadinanza in Israele[6]. L’atto che Amnon vuole realizzare si configurerebbe come un vero e proprio sacrilegio, perché romperebbe quei sacri tabù che mantengono e proteggono la struttura della società. Con acume Tamar non presenta al fratello solamente le conseguenze per la propria onorabilità, ma anche gli effetti deleteri che una tale azione potrebbe avere su lui stesso. Non solo Tamar porterebbe il disonore su di sé a causa della violenza, ma anche Amnon metterebbe a repentaglio sé stesso davanti a tutto il popolo, compromettendo il suo futuro di erede al trono. Infine, Tamar presenta l’ultima ragione per cui l’azione di Amnon non avrebbe senso. Infatti, se soltanto il fratello ne parlasse con Davide, il re acconsentirebbe a dargli Tamar. Dunque, non è necessario attuare alcuna violenza per ottenere ciò che Amnon desidera.
In realtà, la legge proibisce relazioni sessuali tra fratello e sorella (cfr Lv 18,9; 20,17; Dt 27,22), ma non sappiamo se tale legislazione fosse applicata al tempo di Davide[7]. Probabilmente Tamar vuole offrire una via di uscita al fratello, un’ultima possibilità, forse irrealistica, perché si eviti la tragedia e Amnon ritorni sui suoi passi. Ella prova disperatamente a guadagnare tempo, includendo un terzo nel confronto, il re Davide. Tamar si esprime in maniera articolata ed elaborata, cercando di persuadere il fratello. Ma alla complessità delle sue parole e dei suoi ragionamenti risponde la violenza bruta e senza parole di Amnon. In un versetto viene presentata tutta la bestialità e la prepotenza di Amnon: «Ma egli non volle ascoltarla: fu più forte di lei e la violentò e si unì a lei» (2 Sam 13,14).
Le parole di Tamar cadono nel vuoto, non hanno effetto, così come erano rimaste inascoltate le parole che Dio aveva rivolto a Caino prima del fratricidio (cfr Gen 4,6-7). Amnon è più forte della giovane donna e la violenta. La sottolineatura dei rapporti di forza tra i due indica come Tamar continui a opporsi con vigore alla violenza, lottando fino a soccombere. Amnon, invece, è ritratto attraverso uno scivolamento progressivo verso il male; il suo amore si mostra sempre più malato. I suoi progetti e i suoi intenti vanno nella direzione del male. Al termine della scena, egli non articola più la parola, non ascolta l’angoscia di Tamar, ma è capace solamente di adoperare la forza bruta e selvaggia contro di lei.
Dall’odio di Amnon all’odio di Assalonne
Con il racconto della violenza la narrazione sembra aver raggiunto il suo acme, ma un’inattesa svolta suscita una nuova complicazione, che rimette in moto la storia facendole prendere una piega, se possibile, ancor più negativa: «Amnon la odiò di un odio molto grande: l’odio con cui la odiò era più grande dell’amore con cui la amò. Le disse: “Alzati, vattene!”. Gli rispose: “O no! Perché questo male che mi fai cacciandomi è più grande dell’altro che mi hai fatto”. Ma egli non volle ascoltarla» (2 Sam 13,15-16).
Amnon adesso odia Tamar. Il narratore sottolinea come sia avvenuto un mutamento considerevole nelle disposizioni interiori di Amnon. Se l’amore di costui per Tamar ha portato a tanta bramosia e violenza, dove condurrà adesso questa smodata quantità di odio che è nel cuore del figlio di Davide? Come spiegare questa svolta emotiva e interiore? Probabilmente Amnon, dopo aver soddisfatto i propri appetiti sessuali, non solo perde interesse per la giovane, ma la odia a causa della resistenza che ella gli ha fatto e a causa della tenacia con cui non ha acconsentito alle sue voglie, rendendogli l’esperienza sessuale dura e meno piacevole di quanto lui immaginasse[8]. Un’altra spiegazione lega l’insorgere dell’odio alla presenza stessa di Tamar, che diventa per Amnon l’accusa vivente dell’infamia che egli ha commesso (cfr 2 Sam 13,12). L’odio di Amnon – da un punto di vista psicologico – può essere anche espressione di una profonda ambivalenza, presente sin dall’inizio in un personaggio come il primogenito di Davide, interiormente agitato e inquieto. Amnon amava la sorellastra, ma questo amore lo aveva portato ad affliggersi e ad ammalarsi, nutrendo non desideri romantici e sentimentali, ma l’intenzione di fare qualcosa alla ragazza. Adesso egli giunge a odiare in modo molto intenso, più forte di un amore già problematico e riprovevole. Dopo la violenza, il primogenito di Davide non nutre sensi di colpa per quanto ha compiuto, ma inizia a odiare Tamar. Questo ribaltamento degli affetti fa emergere ancor più un’interiorità non solo concupiscente, ma anche malata, fatta di potenti sbalzi emotivi e affettivi.
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | INTELLIGENZE ARTIFICIALI E PERSONA UMANA
La nostra epoca sarà ricordata come quella della nascita delle intelligenze artificiali. Ma cosa sono le intelligenze artificiali? Qual è l’impatto sociale di queste nuove tecnologie e quali sono i rischi? A queste domande è dedicata una serie in 4 episodi di Ipertèsti, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Da un punto di vista narrativo, il contrasto amore-odio è notevole e si esprime anche attraverso il discorso diretto. È la terza volta che Amnon si rivolge a Tamar, e lo fa ancora mediante degli imperativi, senza mediazioni. Mentre in precedenza le aveva detto: «Vieni, coricati con me», adesso le dice: «Alzati, vattene!». Colui che poco prima aveva invitato la giovane ad avvicinarsi, ora la manda via; colui che aveva ordinato a Tamar di coricarsi con lui, adesso le comanda di alzarsi. Gli imperativi di Amnon manifestano sadismo e crudeltà[9]. L’effetto è quello di sottolineare il contrasto amore-odio, che però si esprime all’interno di una stessa personalità violenta e disturbata sin dall’inizio del racconto.
Tamar risponde ad Amnon con un’esclamazione: «No!» (2 Sam 13,16), provando ancora una volta a condurre il fratello alla ragione. Infatti, se Amnon la caccia, per Tamar ne verrà un male persino più grande di quanto subìto attraverso l’abuso sessuale (cfr 2 Sam 13,16). Senza più status giuridico in Israele, infatti, ella rischia di diventare una reietta, non essendo più vergine, né sposata a un uomo, né sposabile. Sebbene il fratello non ascolti le ragioni di Tamar, ella non demorde e non obbedisce al comando di Amnon, il quale usa nuovamente la forza per interposta persona: «Chiamò il giovane che lo serviva e gli disse: “Ti prego, manda via questa e chiudile dietro la porta”. Essa indossava una tunica con le maniche, perché così vestivano le figlie del re ancora vergini. Il servo di Amnon la mise fuori e le sprangò il battente dietro di lei» (2 Sam 13,17-18).
Amnon interpella un giovane servitore e si rivolge a lui educatamente. Neanche verso la figlia del re Davide egli si era rivolto in modo così cortese. Questo contrasto sottolinea come Tamar valga per Amnon meno che un servo. Così si conferma come la ragazza agli occhi del primogenito di Davide non sia stata altro che un mero oggetto attraverso il quale soddisfare la propria brama sessuale. Nelle parole di Amnon, Tamar non è indicata attraverso il nome proprio. Colei che prima della violenza era chiamata «sorella mia» (2 Sam 13,11) ora è semplicemente «questa». Le parole di Amnon esprimono tutto il disprezzo e l’odio maturato e costituiscono per Tamar un’ulteriore umiliazione. In aggiunta, è un servo a cacciare via la figlia di Davide, sprangando le porte affinché ella non possa rientrare (cfr 2 Sam 13,18). Nel v. 18 spicca il contrasto tra la vergine figlia del re, come il narratore definisce Tamar, che indossa una tunica dalle lunghe maniche, segno del suo status, e la condizione di giovane servitore di colui che la caccia via[10]. Ancora una volta Tamar è oggetto di violenza crudele e umiliante. La trasformazione dell’amore in odio e il successivo atto di violenza rendono il personaggio di Amnon più cupo e malvagio, incapace di ascolto e di parole sensate. Ella esprime la sua sofferenza attraverso i segni del lutto, ponendo le ceneri sul suo capo, stracciandosi la tunica, mettendo la mano sulla testa e gridando (cfr 2 Sam 13,19).
A questo punto, fa nuovamente la sua comparsa nel racconto Assalonne, che rivolge la parola alla sorella affranta e disperata, cercando invano di consolarla: «Assalonne, suo fratello, le disse: “Forse Amnon tuo fratello è stato con te? Ora, sorella mia, taci; egli è tuo fratello; non mettere il tuo cuore in questa cosa”. Tamar desolata stette in casa di Assalonne, suo fratello» (2 Sam 13,20).
Assalonne mostra di aver compreso cosa è successo a sua sorella e si esprime non apertamente, ma attraverso parole scelte e misurate. Egli con Tamar non parla di violenza sessuale, ma usa un delicato eufemismo. Inoltre, ricorda alla sorella che Amnon è suo fratello, le chiede di tacere e di non mettere il suo cuore in questa cosa, come se volesse minimizzare la gravità di quanto accaduto[11]. Il linguaggio adoperato da Assalonne è molto affettivo; probabilmente in questo modo egli vuole tranquillizzare e calmare Tamar. Compare due volte la parola «tuo fratello» per parlare di Amnon, e una volta egli chiama la giovane «sorella mia». Se le parole di Assalonne vogliono essere di consolazione, non sortiscono grandi effetti sulla sorella. Infatti, Tamar si ferma a casa del fratello desolata per ciò che è accaduto, ma anche avvilita per un futuro che appare irrimediabilmente danneggiato.
Al momento, il lettore non sa ancora che cosa si nasconda dietro le parole apparentemente serene di Assalonne. Davvero per amore dell’unità familiare egli vuole soprassedere a questa umiliazione inflitta alla sorella? Forse dietro un discorso che può sembrare di facciata egli sta già meditando una vendetta da servire fredda? Gli sviluppi del racconto mostrano le reali disposizioni interiori del terzogenito di Davide: «E il re Davide ascoltò tutte queste cose e ne fu molto irritato[12] e Assalonne non parlò con Amnon né in bene né in male; poiché odiava Amnon perché aveva violato Tamar sua sorella» (2 Sam 13,21-22).
Al termine del racconto, subentra di nuovo il re Davide, che aveva inconsapevolmente favorito l’incontro tra Amnon e Tamar. Davide è venuto a conoscenza di quanto è accaduto: si arrabbia per questo, ma rimane in silenzio, e il narratore non parla di alcun rimprovero o di alcuna punizione del re contro il figlio. Davide si astiene dall’intervenire nella faccenda, e questa sua decisione avrà delle serie conseguenze nel prosieguo del racconto.
Assalonne non parla, non si rivolge ad Amnon, non gli dice nulla. Il silenzio di Assalonne è eloquente e può essere inteso come un’ostilità latente che attende il momento giusto per la vendetta. Il narratore non indica Amnon come fratello di Assalonne, per sottolineare una rottura insanabile, che passa attraverso la non comunicazione tra i due[13]. A questo punto viene rivelato al lettore ciò che Assalonne sente: egli odia Amnon. L’odio, nato poc’anzi nel cuore di Amnon, si è diffuso e ha contagiato Assalonne, portandolo a odiare il fratello. Il narratore rileva ed esplicita i motivi di tale odio: «poiché [Amnon] violentò Tamar sua sorella». In queste parole possiamo scorgere il pensiero assillante che ora invade la mente di Assalonne, il quale non si darà pace fino a quando sua sorella non sarà vendicata. Per il momento tutta l’affettività rimane compressa in Davide, come in Assalonne, fino al giorno in cui la tensione esploderà drammaticamente e irrimediabilmente. Sarà questo odio, lungamente covato dentro di sé, a muovere Assalonne nel seguito del racconto[14].
Dunque, le parole sagge e consolanti che Assalonne rivolge a Tamar sono un velo dietro il quale crescono l’odio e il desiderio di vendetta, che maturano sotto l’apparenza di un discorso che sembra comprensivo verso Amnon e consolatorio verso Tamar. Assalonne, pertanto, è un personaggio che si muove su due binari: uno manifesto e l’altro recondito. Se l’odio di Amnon aveva condotto a un’ulteriore violenza verso Tamar, dove porterà adesso l’odio di Assalonne? L’avversione del terzogenito di Davide per Amnon non sarà più menzionata, ma opererà sottotraccia come motore dell’azione. Assalonne, infatti, non agirà impulsivamente, ma attraverso una vendetta meditata e ben architettata nel tempo; non si darà pace finché non avrà ottenuto giustizia.
Due anni dopo questi eventi, la ritorsione di Assalonne si consuma in una rappresaglia preparata strategicamente con cura e pazienza e che si attuerà invitando l’odiato fratello a un banchetto (cfr 2 Sam 13,23-29). L’ordine che Assalonne dà ai suoi servitori mostra retoricamente la capacità persuasiva del principe: «Vedete, vi prego, quando sarà buono il cuore di Amnon per il vino e io vi dirò: “Colpite Amnon!”, voi allora uccidetelo e non abbiate paura. Non ve lo comando io? Siate forti e coraggiosi!» (2 Sam 13,28).
Assalonne avrebbe potuto chiedere ancora giustizia presso il padre, che precedentemente non aveva punito Amnon, ma decide di vendicarsi con le proprie mani. L’azione di Assalonne può essere intesa come vendetta per ristabilire la giustizia a favore della sorella disonorata, ma al tempo stesso è anche un atto che usurpa al re il ruolo di giudice. Questo omicidio causa la sua fuga (cfr 2 Sam 13,37) e il lungo esilio di tre anni a Ghesur, prima che Davide si plachi (cfr 2 Sam 13,38-39) e Assalonne ottenga di essere reintrodotto a Gerusalemme, per poi dare inizio a un’altra ribellione contro il re.
* * *
Al termine del racconto, può sorgere una domanda nel lettore: dov’è Dio in tutta questa storia? Certamente non è nell’amore malato di Amnon, né nella fredda vendetta di Assalonne. Si trova, invece, nella vittima, in Tamar, immagine dell’agnello innocente annichilito dal male, che porta su di sé il peso dell’irrazionalità dell’umana violenza. Eppure, questa dolorosa vicenda rivela la forza e il coraggio della giovane che risaltano attraverso il contrasto con la meschinità e la debolezza di Amnon.
Se, da un lato, è vero che la voce narrante non offre alcun giudizio sulla vicenda né tantomeno è pronunciata una netta condanna divina per mezzo di un profeta[15], dall’altro lato viene lasciato a chi legge uno spazio per elaborare una propria valutazione di tutto il dramma. Proprio per questo Dio si fa presente anche nella coscienza del lettore, che è chiamato a formulare il suo giudizio sulla storia che gli è stata raccontata, esercitando il suo discernimento per distinguere tra il giusto e l’ingiusto, l’innocente e il colpevole, il bene e il male, scegliendo il primo e rigettando il secondo, per imparare a vivere secondo quella giustizia insegnata dalla Torah.
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[1]. J.-P. Sonnet, L’alleanza della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica, Roma, Gregorian & Biblical Press – San Paolo, 2011, 152.
[2]. La traduzione dei testi biblici è a cura dell’autore.
[3]. Nei canti d’amore egiziani appare il motivo di colui che è malato d’amore in assenza dell’amata. Nel Cantico dei Cantici, è la donna a definirsi come «malata d’amore» (Ct 5,8) davanti alle figlie di Gerusalemme (cfr T. W. Cartledge, 1 & 2 Samuel, Macon, Smyth & Helwys, 2001, 535). In 2 Sam 13 la malattia d’amore condurrà, però, a esiti funesti.
[4]. Cfr Ch. Conroy, Absalom Absalom!: Narrative and Language in 2 Sam 13-20, Roma, Pontificio Istituto Biblico, 2006, 22.
[5]. Cfr W. Brueggemann, I e II Samuele, Torino, Claudiana, 2005, 298. Il contrasto tra la saggezza di Tamar e la follia di Amnon si rivela un elemento importante per la caratterizzazione del primogenito di Davide, il quale si manifesta sempre più nella sua insensatezza e bestialità.
[6]. Probabilmente Tamar allude alla legge, quando parla dell’infamia della violenza (cfr Dt 22,28-29; 27,22).
[7]. Cfr R. Alter, The David Story. A Translation with Commentary of 1 and 2 Samuel, New York, W.W. Norton & Company, 1999, 268. Per una disamina della questione dell’incesto e dei matrimoni tra fratellastri, cfr P. K. McCarter, II Samuel, New York, Doubleday, 1984, 323 s.
[8]. È l’opinione di R. Alter, The David Story…, cit., 269.
[9]. Dopo aver fatto violenza alla sorellastra, Amnon continua ad affliggere la giovane con una crudeltà che sorpassa la sua lussuria originaria: cfr C. E. Morrison, Berit Olam: 2 Samuel, Collegeville,Liturgical Press, 2013, 173.
[10]. Tamar è umiliata sia da Amnon che dal servo; la principessa è trattata come una comune prostituta: cfr Sh. Bar-Efrat, Narrative Art in the Bible, London, A&C Black, 2004, 270.
[11]. Bar-Efrat ritiene che le parole di Assalonne vogliano camuffare le sue reali intenzioni: cfr ivi, 272.
[12]. La versione greca dei LXX aggiunge: «Ma non volle urtare il figlio Amnon, perché lo amava molto, perché era il suo primogenito».
[13]. Come nel caso del racconto di Caino e Abele (cfr Gen 4).
[14]. Assalonne, infatti, usurperà al padre il ruolo di giudice e vendicherà lui stesso l’onore di sua sorella, preannunciando così la sua futura ribellione (cfr C. E. Morrison, 2 Samuel, cit., 176).
[15]. Come avviene, ad esempio, nel caso del peccato di Davide (cfr 2 Sam 12,7-12).