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Come recita il titolo, il libro analizza il mutato rapporto tra informazione e consenso nell’era del web e dei social network, evidenziando alcuni possibili rischi e derive, in particolare l’accentuata tendenza a cercare solo conferma delle proprie opinioni – quello che l’autore chiama «l’arena confermativa» (p. 67) – e a un approccio superficiale alle problematiche sempre più complesse del nostro tempo.
Prendendo spunto da un’affermazione provocatoria di Umberto Eco – «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività […], ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel» (p. 37) –, l’autore mostra come la possibilità di dire qualunque cosa in rete non sia segno di libertà di espressione, ma piuttosto di livellamento.
Inoltre, questa forma di comunicazione tende a ridurre il discorso a brevi annotazioni impressionistiche e a regredire culturalmente. Il discorso di Aldo Moro, nel 1962, sull’importanza di dare vita a un governo di centrosinistra era di 252.000 caratteri; quello di Barack Obama, nel 2009, «sul nuovo inizio fra gli Stati Uniti e i musulmani nel mondo» ne contava 42.000. Oggi i post che fanno maggiormente opinione su Facebook (66%) non superano gli 80 caratteri; la multimedialità colpisce l’attenzione, ma resta alla superficie delle cose: «Il cervello processa i contenuti video 60.000 volte più rapidamente dei testi. La maggior parte dei primi dieci video più visti in Europa nel 2018 sulla piattaforma YouTube non supera i 2 minuti […]. In Italia gli utenti preferiscono guardare video che durino in media tra i 30 e i 50 secondi» (pp. 38 s).
Da qui una diminuzione anche del tempo dedicato alla lettura di un testo (8 secondi in media, a fronte dei 12 secondi nel 2000), che rischia di ridurre il dibattito su questioni complesse – con conseguenze a volte irreversibili, come nel caso della Brexit – a colpi di slogan e titoli colorati. L’autore riprende una metafora utilizzata da Nicholas Carr sul differente impatto che tutto ciò presenta sui processi cognitivi: «Una volta ero un subacqueo nel mare delle parole. Adesso sfreccio sulla superficie come ragazzino in acquascooter» (p. 41). Si manifesta quindi la tendenza a una pericolosa omologazione culturale su tematiche fondamentali per il vivere comune, che può diventare un grave pericolo per lo stato di salute delle democrazie delle società occidentali.
Alla luce di queste analisi, l’autore si chiede come sia possibile invertire tale tendenza, dato che il web rimane un punto di non ritorno. La parte finale del libro cerca di elaborare possibili proposte, come, ad esempio, la promozione del giornalismo di qualità: i media esercitano di fatto una funzione di controllo, mettendo in guardia da un uso improprio dei social e da possibili manipolazioni dei dati a disposizione, come è accaduto nel corso dello scandalo di Cambridge Analytica.
Vi è poi il ruolo indispensabile delle istituzioni, che devono tutelare il bene comune della collettività, obbligando i grandi gestori dei siti e dei canali social a vigilare sui contenuti postati. Il loro compito però non è agevole sul piano legale, perché non sempre è possibile attuare una legislazione comune per siti che hanno diffusione mondiale.
Vi è infine il compito del mondo educativo e sociale – scuola, famiglia, associazioni culturali e religiose –, perché l’educazione al digitale divenga sempre più oggetto di specifici curricula (cfr p. 129). La lentezza che caratterizza la riflessione e il pensiero critico non consente tuttavia di competere con la velocità che contraddistingue i media digitali. La sfida deve porsi su un altro piano, come quello della promozione degli aspetti etici del web che favoriscono lo scambio, il rispetto e l’impegno collettivo. È ciò che l’autore, riprendendo uno studio di due ricercatrici (Broadbent e Lobet-Maris), chiama «ecologia grigia». «Grigia», perché unisce gli opposti – il bianco e il nero – che spesso fanno capolino nel web, ed è capace soprattutto di unire mondo online e mondo offline (quello che l’autore chiama onlife), riconoscendone possibilità e limiti. Ciò può facilitare l’esercizio delle qualità proprie della riflessività e del pensiero critico. Detto con le parole della sociolinguista Vera Gheno, l’obiettivo è «imparare a convivere con la differenza […], acquisire i princìpi della disputa felice, ossia di come dissentire senza litigare, vincendo istinti, pregiudizi e semplificazioni di cui, al giorno d’oggi, siamo tutti vittime, volenti o nolenti» (p. 141).
LANFRANCO NORCINI PALA
Social… mente. Come si formano le idee e l’opinione pubblica, tra rete e social
Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2020, 160, € 17,00.