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Sant’Ambrogio fu consacrato vescovo di Milano nel 374. Aveva circa 35 anni, e fino a pochi giorni prima non era stato neppure battezzato; ma, in una Milano lacerata da gravi e profonde rivalità teologiche – durissimo era lo scontro tra cattolici e ariani –, la sua persona, che godeva di un vasto prestigio, parve quella adatta a ricoprire la carica episcopale, alla quale venne dunque destinato per acclamazione popolare. Il suo primo gesto fu quello di liberarsi delle cospicue ricchezze in suo possesso. Si dedicò poi con grande zelo allo studio della Sacra Scrittura, degli autori cristiani e di quelli della classicità pagana.
Tra le sue numerose opere spiccano alcuni scritti esegetici, che molto spesso trovano la loro origine nelle appassionate omelie da lui pronunciate. Come è noto, le prediche ambrosiane esercitarono una rilevante influenza sull’animo di sant’Agostino, che, una volta convertitosi, nel 386 ricevette il battesimo proprio da Ambrogio. Fra questi testi esegetici va annoverato il De Tobia, dedicato all’omonimo libro biblico, dal quale Ambrogio prende spunto per esprimere un giudizio severo e inappellabile sull’usura: da qui il titolo del volume di cui ci stiamo occupando, pubblicato, con testo latino a fronte, a cura di Luciana Preti.
L’A., spinto da motivazioni pastorali e omiletiche, non si dimostra interessato a proporre riflessioni di carattere dottrinale, quanto piuttosto argomenti ed esempi concreti, capaci di indirizzare i credenti verso una vita moralmente virtuosa. La figura biblica di Tobia, uomo buono e retto, era particolarmente adatta allo scopo. Inoltre, nel libro che da lui prende il titolo, più volte viene sottolineato il dovere di aiutare i bisognosi e di fare l’elemosina.
È in tale contesto che Ambrogio colloca una vigorosa invettiva contro il prestito a interesse: invettiva che occupa la prima parte dello scritto. Come spiega con chiarezza la curatrice nell’Introduzione, al tempo di Ambrogio l’Impero romano stava attraversando una grave crisi politica ed economica: a farne le spese erano i ceti più deboli, e il Vescovo non esitò a prendere le loro difese. La sua sollecitudine pastorale si manifesta con chiarezza, e molto evidente è la sua sensibilità per la sorte dei poveri: «Ho visto io, con i miei occhi – egli scrive – uno spettacolo miserevole: figli messi all’asta e ridotti in schiavitù a causa di un debito del padre […] e il creditore non arrossiva di questa infamia mostruosa».
Nella seconda parte dell’opera trova spazio una decisa delegittimazione dell’ebraismo, che – si badi bene – non viene collegata alla questione dell’usura. Infatti, come ricorda la curatrice, il pregiudizio secondo cui l’ebreo viene rappresentato come il tipico usuraio avido e danaroso sorgerà molti secoli più tardi. La critica antiebraica di Ambrogio si fonda sull’accusa mossa agli ebrei di non aver riconosciuto in Cristo il Figlio di Dio, il Messia salvatore.
Composto intorno al 389, il De Tobia è caratterizzato da un linguaggio semplice, ma non approssimativo: ciò lo rende comprensibile anche ai meno dotti, senza per questo deludere il pubblico più colto, rispondendo così pienamente alle esigenze di un Vescovo che vuole rivolgersi a tutti i membri della sua Chiesa.