Si dice frequentemente che l’Italia è un Paese di anziani, ed è certamente vero; ma possiamo noi, questa stragrande maggioranza senescente, comprendere l’universo mentale, le attese, i problemi di questa minoranza sofferente, che vive sulla propria pelle le contraddizioni e le incertezze di un sistema che, considerato nel suo complesso, non esisteva nemmeno quando noi anziani avevamo la loro età? Sembra strano, ma la nostra giovinezza è stata tanto diversa dalla loro. Le loro fragilità non sono solamente le nostre: sono di più, e diverse; le loro prospettive sono più tristi delle nostre, essendo noi cresciuti nella nostra maturità durante gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, nell’edonismo del quale si parlava e in un mondo più facilmente intellegibile, meno complicato; il loro mondo interiore ed esteriore solo in parte è comprensibile a partire dalla nostra stessa esperienza.
E questo rende estremamente difficile provare a riflettere sul fatto che i giovani, questi ultimi arrivati sul palcoscenico della vita, fanno fatica a trovare un posto nel mondo, a orientarsi in esso. Privati della fede dallo stesso mondo che li circonda, sembrano smarrirsi: portano il peso, in fondo, della nostra eredità. Noi siamo indotti a riproporre loro le nostre esperienze, i modelli
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