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Il tema di questo volume è il consenso riscosso da partiti e movimenti populisti e lo scenario economico e geografico in cui si sono affermati fino a diventare forze di governo. A differenza di altri studi sui populismi, concentrati sugli aspetti politici, quello di Pier Giorgio Ardeni, professore di Economia politica all’Università di Bologna, prende in esame il rapporto fra condizioni economiche e orientamento dell’elettorato. L’analisi dei risultati delle consultazioni politiche del 2018, dei dati e delle caratteristiche delle aree urbane e periferiche da Nord a Sud del Paese mostra l’incidenza determinante delle disuguaglianze di reddito sul crescente consenso del populismo e spiega l’affermazione del M5S e della Lega. L’aumento delle disparità economiche, sociali, di istruzione e di accesso alle opportunità costituisce il motore del consenso populista.
Da una parte le disuguaglianze sempre crescenti e, dall’altra, il vuoto di proposta politica e l’assenza di una prospettiva hanno creato una «classe dimenticata» costituita. La ricerca mette in evidenza questo aspetto, non solo a partire dai poveri, ma anche dai ceti medi scivolati verso il basso, dai «perdenti della globalizzazione», dal popolo dei non garantiti, dei marginalizzati.
La crisi del 2008, le politiche rigoriste, l’assenza dei partiti mainstream – in particolare quelli di sinistra – sui temi del precariato, del disagio, delle disuguaglianze e delle derive locali e territoriali hanno alimentato la sfiducia nelle istituzioni e lasciato larghe fasce della società confuse e prive di rappresentanza, e quindi esposte alle allettanti proposte populiste.
La ricerca dettagliata e approfondita dell’autore, attraverso le due direttrici economica e geografica, sulla distribuzione territoriale del voto pentastellato, di quello leghista e la comparazione con la contestuale perdita di consensi delle forze politiche tradizionali – in particolare del centrosinistra e di Forza Italia – fa emergere un’evidente relazione fra livelli bassi e medio-bassi di reddito e voto populista. Il successo del M5S alle elezioni del 2018 è stato eclatante, con percentuali mai raggiunte da un partito nella storia repubblicana, soprattutto nelle regioni meridionali, dove esso è riuscito a intercettare il disagio e l’esclusione sociale di fasce di popolazione in cerca di protezione e sostegno economico.
La Lega, pur avendo avuto il suo exploit nelle regioni del Nord, ha ottenuto consensi senza precedenti anche in altre aree del Paese con fasce di reddito basso e molto basso, e soprattutto nelle aree periferiche, facendo leva sul sentimento anti-europeista dell’austerity e del rigorismo e su quello anti-immigrati.
Ai «perdenti della globalizzazione», non solo in senso economico ma anche culturale e identitario, si sono rivolti sia il Movimento 5 Stelle sia la Lega, rivelatisi capaci di portare al centro del dibattito temi trascurati da altre forze politiche e di far leva sul risentimento contro le élites, sull’incertezza e sulla paura. È un populismo che esprime «la rivalsa dei ceti dimenticati più che quella dei luoghi dimenticati» (p. 205) e porta a mettere in discussione la democrazia, chiamata a una nuova sfida: quella di ridurre le disuguaglianze.
L’analisi dell’autore, concentrata sulle due dimensioni di condizione sociale e di luogo, rintraccia le radici del populismo nelle disuguaglianze soprattutto economiche, fornendo la «spiegazione mancante» (p. 88) nell’ampia produzione bibliografica e di ricerca sull’argomento.
PIER GIORGIO ARDENI
Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia
Bari, Laterza, 2020, 264, € 18,00.