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Il libro di p. Antonio Spadaro – costruito, oltre che sui principali documenti pubblicati da Francesco, sulle informazioni raccolte sia negli incontri personali con papa Francesco, sia accompagnandolo nei viaggi apostolici – restituisce una mappa ricca e puntuale degli orientamenti del Pontefice su punti critici dell’attuale scacchiere geopolitico. Essi sono analiticamente esposti nella seconda parte del volume, che esamina i casi di Europa, Ucraina, Cina, Amazzonia, Medio Oriente, e quello aperto dalle visite in Kazakistan e Bahrein. La loro presentazione è preceduta da tre densi capitoli in cui l’autore propone una ricostruzione generale della linea papale. Ne è scopo esplicitare il disegno complessivo che sorregge le singole prese di posizione.
Ci soffermiamo qui su un solo aspetto di questa prima parte, che è particolarmente rilevante: quel rapporto della Chiesa con il mondo che, a partire dal Concilio Vaticano II, ha costituito un nodo centrale per la contemporanea coscienza cristiana. Come ben argomenta p. Spadaro, Bergoglio rigetta due possibili impostazioni di tale relazione. Rifiuta una visione che potremmo definire «apocalittica», basata sulla considerazione che, essendo la società attuale percorsa da inarrestabili dinamiche tendenti alla sua autodistruzione, non resta al credente che affrettare il compimento dei tempi, favorendo i processi di disgregazione in atto.
Ma il Pontefice respinge anche un’altra valutazione che si richiama al katechon paolino di 2 Ts 2,6, che, pur partendo da un’analoga valutazione sull’odierna condizione del mondo, ne trae la necessità di frenare le forze del male attraverso il sostegno dei fedeli ai poteri che ne limitano i devastanti effetti. Francesco propone invece una sua specifica prospettiva, che è ad un tempo realistica e utopica. Realistica, perché ritiene che il male sia un dato ineliminabile della condizione umana; utopica, perché assegna alla presenza della Chiesa nel mondo il compito di cercare di superarne le manifestazioni nella storia attraverso la promozione di un dialogo tra gli uomini, allo scopo di portarli a forme fraterne di convivenza civile.
Per cogliere il significato di questa posizione, conviene confrontarla con il rapporto tra Chiesa e mondo elaborato dalla cultura cattolica egemone dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento. Di fronte a una modernità percepita come un attacco mortale alla sopravvivenza della civiltà cristiana, anche il cattolicesimo intransigente aveva rifiutato sia un atteggiamento apocalittico sia la ricerca di un coinvolgimento nei poteri esistenti. Aveva prospettato una «terza via»: consisteva nella costruzione di una società cristiana, che, modellata sulla ierocratica cristianità medievale, avrebbe consentito di raggiungere una vita collettiva pacifica e prospera in quanto l’autorità ecclesiastica ne dettava le regole fondamentali.
Francesco ripropone dunque uno schema assai tradizionale, ma ne innova anche i contenuti. Non sollecita infatti la ricostruzione di una società che risulta cristiana perché guidata da un potere clericale; anzi, proclama che la cristianità è irrimediabilmente finita, sicché una pastorale che si alimenti della sua nostalgia risulta controproducente. Alla pretesa di respingere quell’istanza di autodeterminazione che è costitutiva della modernità – l’uomo moderno rifiuta infatti ogni forma di eterodirezione – sostituisce l’accompagnamento della Chiesa al percorso autonomamente deciso dagli uomini. Non si tratta però di un passivo accomodamento.
Ben sapendo che gli uomini nel loro cammino incontrano il male, anzi spesso lo producono, la linea di Bergoglio implica che la Chiesa si impegni a somministrare loro quel che è ad essa proprio: un messaggio evangelico che ha il suo nucleo essenziale nella misericordia. L’atlante di Francesco parla di una «diplomazia della misericordia» e ne illustra i significati. Di essa è paradigma la figura del buon samaritano.
Il Papa sostituisce così al modello di Chiesa che è cittadella assediata dalla società moderna la nuova immagine di una Chiesa che è presente nel mondo come «ospedale da campo». L’espressione, formulata nell’intervista rilasciata dal Papa a p. Spadaro fin dal novembre 2013 per far conoscere il suo programma di governo, traduce assai bene una linea imperniata sulla convinzione che compito del credente è promuovere processi, anziché occupare spazi. La «medicina della misericordia» appare infatti la via per comunicare nuovamente il Vangelo a un uomo odierno alla ricerca di rimedi alle ferite che emergono nella sua costruzione della storia.