
Quando un musicista ride, depone il suo strumento e ride, e non si guarda in giro / e non teme, non ha paura della sua semplicità: è un verso di una canzone di Enzo Jannacci che svela parte del suo carattere. Il cantautore milanese, infatti, ha saputo cogliere il lato drammatico della vita, cantandolo con compassione e allegria, custodendolo in un involucro fatto di surrealismo e genialità. Le sue canzoni sono pervase da un sorriso, capace di camuffarsi in risata, che proviene da un contemplare il mondo con la semplicità e l’umiltà di chi ne ha compreso il peso e la gravità, ma lo vuole raccontare in un modo diverso, ironico, sorridente.
Nato nel 1935 a Milano e venuto a mancare 10 anni fa, il 29 marzo 2013, Jannacci ha attraversato, con le sue canzoni dalle influenze jazz, cantautoriali e rock, la scena musicale dalla seconda metà del Novecento agli inizi del nostro secolo. Musicista, cabarettista, pianista, ma anche cardiologo, è riuscito a coniugare la passione per la musica e il lavoro di medico per tutta la vita.
Le canzoni sono fortemente legate al suo luogo di provenienza e all’influenza che ha avuto su di lui il padre Giuseppe, maresciallo dell’Aeronautica
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quadernoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento