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Questo libro di Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia, è anzitutto un notevole lavoro di erudizione, come dimostra l’amplissima bibliografia che lo accompagna e la pluralità di voci che si alternano in esso. L’approccio, dichiaratamente nel solco di una storia della cultura, giustifica i diversi percorsi tematici: da quello politico e istituzionale – un capitolo si occupa infatti dei grandi nodi del movimento sessantottino, un altro riassume le risposte del sistema politico – a quello più intellettuale e culturale – con riferimenti al cinema, alla letteratura e alla filosofia –, che prende le mosse dalle riflessioni di Hannah Arendt nel suo saggio Sulla violenza.
Il pregio del libro consiste in una sua certa freschezza, che non indulge né a una celebrazione memorialistica né a un paternalismo che condanna. Attraverso uno sguardo critico, l’evento non viene ridotto alle manifestazioni più spettacolari di quell’annus fatalis: si trova invece felicemente inserito in un più ampio inanellarsi di avvisaglie, assestamenti e rimbalzi che l’autore riassume nel concetto di «rivoluzione transpolitica».
Quest’ultima è una categoria che coinvolge almeno due decenni di storia italiana, per esaurirsi definitivamente nel «reflusso» degli anni Ottanta. Il suo indice rivoluzionario trova in questo studio una sismografia sensibile che, oltre alle eruzioni di piazza, registra la rivolta studentesca, la contestazione giovanile, il dissenso cattolico e le lotte operaie: sono i «quattro ’68» che il terzo capitolo analizza nei loro caratteri antropologico-pedagogici. Sullo sfondo del tentativo di annodare il potere alla forza dell’immaginazione etica, appare ingiusto liquidare il ’68 come mero disfacimento del principio di autorità o come ribellione sfociata in violenza. La rivoluzione transpolitica che si è attuata in quegli anni va invece riletta come uno sforzo di riconfigurare la civiltà moderna su valori alternativi che ambiscono a una nuova solidarietà umana, a una più alta giustizia e a una pace meno ipocrita.
Ma l’originalità di questo movimento epocale, come fa notare l’autore, dipende da una soluzione inedita della questione del progresso, irriducibile sia a un’ingenua fede nello sviluppo tecnico-materialista di stampo marxista sia al cupo pessimismo di una mentalità che non vede altro che degenerazioni. La soluzione si configura piuttosto in una cultura del progetto comunque consapevole del negativo che inevitabilmente segna la storia umana.
De Giorgi sottolinea – soprattutto nel quarto capitolo, dedicato alle politiche scolastiche – le implicazioni emancipatrici, liberatorie e critiche di una passione civile che la figura di don Lorenzo Milani, con la sua «pedagogia della parola», sembra riassumere al meglio. Non stupisce allora che sia stato papa Montini ad aver dato la migliore definizione di questo processo di liberazione umana, secondo la quale il Vangelo avrebbe dovuto penetrare «in tutti gli strati dell’umanità» e «col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa».
La conclusione del libro è la constatazione preoccupata che ci troviamo in un’epoca controrivoluzionaria, la cui anima è il profitto e il cui effetto un malessere diffuso, che l’attuale pandemia, assieme alla crescente disuguaglianza sociale e allo scoraggiamento collettivo, rischia di accentuare. Ma L’autore mette in risalto positivamente il rischio della libertà umana e valorizza le risorse morali di questa recente rivoluzione transpolitica. Il suo portato di esperienze, di testimonianze e di idee può infatti contribuire all’appello di papa Francesco a una rinnovata socialità fondata sulla fratellanza, la gratuità e la solidarietà tra le persone.
FULVIO DE GIORGI
La rivoluzione transpolitica. Il ’68 e il post-’68 in Italia
Roma, Viella, 2020, 436, € 35,00.