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Il contesto dell’articolo. La visita di papa Francesco in Iraq (5-8 marzo 2021), tra le altre cose, riporta certamente all’attenzione dei cristiani di tutto il mondo e della stessa comunità internazionale il tema della sopravvivenza delle comunità cristiane nelle regioni mediorientali, che rischiano di scomparire per sempre.
Perché l’articolo è importante?
L’articolo, prima di soffermarsi sulla natura della presenza cristiana in Iraq (dove nel 2003 c’erano oltre 1.300.000 cristiani; oggi ne sono rimasti meno di 300.000), ne contestualizza la drammatica riduzione dentro questioni non recenti che hanno riguardato tutto il Vicino e Medio Oriente. In alcune di queste nazioni infatti l’indipendenza ottenuta negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale aveva acceso nelle élites degli intellettuali e negli attivisti politici, sia musulmani sia cristiani, la speranza di poter instaurare nei propri Paesi ordinamenti statali laici e democratici. Alla fine in molti di quei Paesi si è invece imposto l’elemento islamico e religioso, o semplicemente quello etnico e tribale.
A questo punto l’articolo arriva alla situazione particolare del cristianesimo iracheno, un mosaico di Chiese antichissime, tanto che la maggior parte dei cristiani di questo Paese, oltre all’arabo, parla ancora la lingua suret, simile a quella parlata da Gesù e dai suoi primi discepoli.
L’articolo poi si sofferma sugli effetti di due periodi-chiave: la guerra statunitense contro Saddam Hussein, e la creazione, da parte dell’Is, del presunto Califfato di Mosul (giugno 2014). La regione di Ninive è stata poi liberata, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. Ciò nonostante a tutt’oggi non ci sono in Iraq le condizioni di sicurezza per permettere alle famiglie cristiane di tornare stabilmente nelle loro case.
Quali sono le domande che l’articolo affronta?
- Qual è la condizione attuale dei cristiani iracheni e quale futuro possono attendersi nel loro Paese?
- Perché e da quanto tempo il Vicino e il Medio Oriente si stanno «svuotando» di cristiani?