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Ignazio Silone moriva il 22 agosto 1978. «Mi piacerebbe di essere sepolto così, ai piedi del vecchio campanile di san Bernardo, a Pescina, con una croce di ferro appoggiata al muro e la vista del Fucino in lontananza»: questo è uno dei suoi ultimi desideri testamentari. Dall’anno successivo alla sua morte le sue ceneri sono collocate in quel luogo.
Il suo desiderio è ricco di profonde evocazioni simboliche, che non fanno da spartiacque tra il mondo dell’aldilà e quello dell’aldiquà, anche se il termine «muro» implica la consistenza di qualcosa che si oppone a ogni contatto tra due parti. A guardar bene, però, quella «croce di ferro appoggiata» non alla parete della chiesa, ma al campanile, richiama molte cose: dalla chiamata a radunarsi allo scioglimento delle campane nella celebrazione della Pasqua…
Questo libro di mons. Giuseppe Molinari, arcivescovo emerito dell’Aquila, accompagna i lettori a comprendere il suddetto desiderio dello scrittore. La proposta di Silone è la testimonianza di un’estrema coerenza e singolarità: è la sua ricerca, e non di altri. E il testo del Molinari non è un riferire ciò che Silone dice su Cristo, ma una rielaborazione meditativa della testimonianza fondamentale che Silone dà del Salvatore nel contesto della propria vita e della propria produzione letteraria.
I titoli dei sette capitoli illustrano una sorta di planimetria che, coordinando fatti personali con eventi sociopolitici e religiosi del tempo, decanta la radicale esigenza di uno scrittore impegnato nella ricerca di fare scelte personali autentiche. E ciò a partire dalla domanda proposta nel titolo del primo capitolo: «Un cercatore di Dio?». Al quale seguono: «Lo scrittore secondo Silone»; «Un socialista senza partito»; «Un cristiano senza Chiesa»; «Il Dio di Silone»; «Silone e Gesù di Nazareth»; «Un uomo inseguito da Dio». Così mons. Molinari illustra il percorso che Silone ha esposto nei suoi scritti e con la sua vita. Il tutto a partire dall’interrogativo se egli sia un ricercatore di Dio oppure un uomo inseguito da Dio.
Dalla lettura si evince che Silone persegue un itinerario che tende a un oltre che non delimiti il proprio essere e non sia circoscritto entro coordinate dogmatiche di vario tipo (Chiesa, comunismo, fascismo, capitalismo). Di solito si ritiene che egli sia «un povero cristiano», che ha perseguito una Uscita di sicurezza la cui identità lo ha condotto a omologarsi, a essere un «socialista senza partito» e un «cristiano senza Chiesa», come risulta da un’intervista del 1961. A questo proposito, però, l’autore specifica che nella poetica di Silone sono presenti echi del messaggio evangelico validi per tutti, a partire dal fatto che egli riconosce che il cristianesimo è amore, e che l’amore, in quanto tale, sostituisce ogni legge.
Cadere nelle mani di Dio, che è Amore, è terribile. Come pure è estremamente pericoloso prendere il Crocifisso sul serio. La scelta migliore sarebbe quella di lasciare la Croce ai preti, dal momento che è uno scandalo che travaglia l’umanità da secoli e secoli. Purtroppo, non si può fare a meno di vivere e di responsabilizzarsi riguardo alla dignità che si nasconde dietro ogni tipo di ingiustizia e di dolore subìto dai più emarginati. Lo stesso Gesù, del resto, è l’ultimo dei «cafoni» (p. 162). Per Silone, il socialismo-amore-giustizia è il suo modo di credere e di servire Dio (cfr p. 227).
Il viaggio dello scrittore abruzzese nel cuore della spiritualità del Vangelo si ferma qui: non oltrepassa la soglia della risurrezione di Cristo. L’autore in questo concorda con il giudizio critico espresso al riguardo, anni fa, dal gesuita p. Ferdinando Castelli. Per lui, il desiderio di Silone che la sua umanità sia sepolta fuori dalla chiesa e che la sua croce rimanga appoggiata al muro del campanile, forse esprime proprio questo: che Qualcuno lo inviterà ad entrare; che Qualcuno fisserà la sua croce tra il cielo e la terra. Ma non si devono sottovalutare echi, stimoli, evocazioni e ispirazioni che Silone ha ricevuto dalla storia di Simone Weil e Martin Buber, entrambi impegnati nella ricerca del senso della propria vita.
Dalle opere di Silone emerge un’inestimabile nostalgia della fede. In certo qual modo egli ci invita a interrogarci sul senso del nostro essere cristiani e sul livello del nostro impegno a favore dall’avvento della giustizia.