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In questo libro si rimproverano le élites occidentali per non aver saputo assicurare continuità a un modello di sviluppo capace di distribuire ricchezza in maniera equa, contribuendo così alla deriva populista di diversi Paesi. Edward Luce, scrittore e giornalista del Financial Times, speechwriter dell’amministrazione Clinton, traccia un’analisi critica dello scenario socioeconomico di Stati Uniti ed Europa e del percorso della democrazia a partire dalla caduta del Muro di Berlino.
Rispetto al giorno del suo maggior trionfo, vissuto come un sogno dall’autore – che allora era un giovane studente universitario a Oxford –, la democrazia oggi risulta meno apprezzata soprattutto dalle attuali giovani generazioni. Sacra per quelli che hanno sofferto e combattuto il fascismo o hanno vissuto la «Guerra fredda», secondo uno studio del World Values Survey sullo stato dell’opinione pubblica globale, essa non lo è altrettanto per i millennials, che non solo non le attribuiscono un grande valore, ma ritengono che ci siano alternative valide, fra le quali persino quella di un regime militare.
Sebbene gli Stati Uniti rimangano la più grande potenza mondiale, il brand della democrazia occidentale è stato offuscato, all’inizio degli anni 2000, dalla reazione degli Usa all’attacco dell’11 settembre 2001 e dalla titubanza di Obama di fronte alle «primavere arabe» nei Paesi del Nord Africa per timore di ripetere gli errori di Bush. Ma è soprattutto l’aumento delle disuguaglianze, con la proletarizzazione del ceto medio e la scarsa mobilità sociale, a mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo, che non sembra più capace di distribuire ricchezza. Il «cemento della democrazia», come lo definisce l’autore, è la crescita economica; quando i frutti vengono monopolizzati da una ristretta minoranza o si esauriscono, la storia insegna a non essere ottimisti.
Il liberalismo occidentale è in pericolo, e i populismi che proliferano in diversi Paesi non sono la causa, ma il sintomo della crisi strutturale dell’Occidente, la cui egemonia appare in declino, mentre il centro di gravità del mondo si sta spostando in Oriente. La Cina è diventata il Paese leader degli scambi commerciali, e le altre 15 economie – tra cui l’India, l’Indonesia e la Thailandia – in costante e rapida crescita non sono occidentali. Negli ultimi cinquant’anni il reddito medio in Asia è quintuplicato, in Africa è raddoppiato, mentre in Occidente è aumentato in misura irrisoria ed è stato superato da quello di alcune zone asiatiche.
Si sta riconfigurando la struttura del potere internazionale in uno scenario geopolitico in cui la leadership degli Stati Uniti è insidiata dalla continua crescita economica della Cina, mentre sull’Europa incombono le spinte disgregatrici del populismo e delle forze sovraniste: spinte che nel Regno Unito hanno portato alla Brexit e negli Usa all’elezione di Trump. Secondo l’autore, il presidente degli Stati Uniti condivide con Putin l’obiettivo della disintegrazione dell’Europa. In un momento storico in cui non solo il Vecchio Continente, ma il mondo intero ha bisogno di cooperazione globale, è tornato alla ribalta il populismo, «una risposta democratica illiberale a un liberalismo non democratico».
L’analisi impietosa e realistica costituisce la premessa per la severa critica dell’autore alle élites per aver contribuito a provocare quello di cui avevano paura: la rivolta populista contro l’economia mondiale, rimanendo sorde alle esigenze dei cittadini comuni, al senso di indignazione e di precarietà dei lavoratori con sempre minori garanzie e maggiori rischi, che le aziende spostano sui singoli individui.
Non si tratta solo di una questione economica, perché, come fa notare l’autore, in questo modo prende piede «la cultura della sfiducia» nelle istituzioni e nel futuro, e il rimedio alla povertà e alle disuguaglianze non è il reddito minimo universale o reddito di cittadinanza, che «ha un fascino sinistro» e «non dice nulla sul futuro del lavoro».
I sistemi democratici liberali dell’Occidente hanno di fronte la sfida più difficile che ci sia mai stata dopo la Seconda guerra mondiale. L’autore non sembra ottimista. In quanto giornalista, potrebbe essere stato contagiato dalla tendenza, molto diffusa nella sua categoria, a «sovrainterpretare l’ultima notizia» e a etichettare momenti storici ed eventi piuttosto frettolosamente. L’auspicio è che il futuro possa smentire le sue previsioni.
EDWARD LUCE
Il tramonto del liberalismo occidentale
Torino, Einaudi, 2017, XII-232, 17,00.