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Come distinguere un benefattore da un serial killer? È possibile capire se un funzionario dei servizi segreti sia in realtà un collaboratore del nemico? O se la confessione di un terrorista sotto tortura possa risultare veritiera? Partendo da alcuni episodi di cronaca, Malcolm Gladwell, per anni direttore del Washington Post, mostra come sia estremamente difficile farsi un’idea precisa delle persone con le quali si entra in relazione. Un esempio emblematico è l’incontro tra il primo ministro inglese Neville Chamberlain e Adolf Hitler. L’analisi di quel colloquio mostra quanto le apparenze possano ingannare. Ma Hitler non ingannò soltanto Chamberlain: le poche persone che lo ritennero un abile manipolatore, paradossalmente, non lo avevano mai conosciuto di persona.
Questa difficoltà nasce dal fatto che ogni incontro non è mai asettico, ma colorato di congetture non tematizzate, in particolare di ciò che l’autore chiama «la presunzione di onestà, il presupposto che tutte le persone con cui abbiamo a che fare siano sincere» (p. 73). Anche quando la realtà è ben diversa. Come nel caso di Larry Nassar, medico della nazionale di ginnastica femminile Usa, che per anni abusò delle atlete, senza che nessuno si accorgesse dell’accaduto. E questo perché la loro idea di abusatore non si adattava alla figura di Nassar: era garbato, non mostrava accessi d’ira, non beveva, copriva i suoi gesti in modo professionale. Era una persona degna di fiducia, al punto che molte vittime lo difesero al processo.
La difficoltà di comprendere le intenzioni dell’altro/a emerge soprattutto nei casi di incontri sessuali nel corso di una festa dove entrambi i partner sono ubriachi: «È come cercare di indovinare se una persona ha mal di testa basandosi solo sulla sua espressione facciale» (p. 199). E così un atteggiamento disinibito può essere letto come consenso o come violenza. Con conseguenze gravi a livello penale, anche se difficili da chiarire: «Il consenso da ubriachi è pur sempre un consenso?» (p. 194).
Poter stabilire la verità di ciò che si comunica è particolarmente difficile nel caso degli interrogatori di terroristi. Solitamente si ritiene che la maniera più efficace sia piegarne la volontà con la forza. E invece non è così. Studi condotti su dichiarazioni rese prima e dopo situazioni di forte stress (privazione del sonno, waterboarding) hanno mostrato gravi impedimenti nella corteccia prefrontale, il che rendeva il racconto nebuloso, pieno di errori e confusioni. Il fatto che si trattasse di volontari confermava l’obiettiva incapacità di ricordare con precisione. Una confessione vera può essere resa solo da chi ha l’intenzione di farlo: «Cercare di ottenere informazioni da qualcuno che è stato privato del sonno è un po’ come cercare di ottenere un segnale migliore prendendo la radio a martellate. Non ha alcun senso» (p. 233).
Per questo dare fiducia è indispensabile per vivere, «è il presupposto su cui si regge la società moderna, e quando qualcuno tradisce la nostra fiducia i danni possono essere notevoli. Ma l’alternativa, ovvero accantonare del tutto la fiducia per difendersi dall’inganno e dagli atteggiamenti predatori, è ancora peggiore» (p. 306). Per mostrarlo, il libro si apre e si chiude con la vicenda dell’afroamericana Sandra Bland, messa in carcere (dove poi si suiciderà) perché «aveva una gestualità e un atteggiamento aggressivi. Non sembrava una persona a posto» (p. 293). Questa sospettosità pregiudizievole – soprattutto nei confronti delle persone di colore – ha portato a numerosi casi di omicidio di persone innocenti da parte della polizia statunitense che, per fronteggiare il crimine, venne per anni addestrata a ignorare la presunzione di onestà, lasciandosi facilmente ingannare dai «falsi positivi».
Guardare con sospetto cronico le persone attorno a noi non rende il mondo più sicuro, lo rende invivibile. Si può accedere al mistero della coscienza dell’altro/a solo in un clima di fiducia e di libertà. Nessuna tecnica può renderlo possibile: «Più fatichiamo affinché gli sconosciuti si rivelino per quello che sono, più loro ci sfuggono […]. Dobbiamo accettare il fatto che ogni tentativo di comprendere uno sconosciuto ha i propri limiti […]. Ma se non si ha fiducia negli altri già in partenza, ci si preclude di incontrare persone che possono avere un ruolo importante nella propria vita» (pp. 236; 100).
MALCOLM GLADWELL
Il dilemma dello sconosciuto. Perché è così difficile capire chi non conosciamo
Milano, Utet, 2020, 368, € 20,00.