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Rodolfo Acquaviva, che fu beatificato nel 1893, è una figura particolarmente significativa di quella che fu l’azione missionaria extraeuropea della Compagnia di Gesù nella seconda metà del Cinquecento. Questo libro, che raccoglie i contributi di sette fra storici e ricercatori, ci offre un profilo del beato che va al di là degli aspetti biografici e agiografici, soffermandosi anche sul complesso contesto culturale e geopolitico di quel tempo.
Rodolfo, nato ad Atri il 2 ottobre 1550, all’età di 14 anni fu particolarmente colpito dalla predicazione e dalle conversazioni avute con Niccolò Bobadilla, uno dei primi 10 compagni di Ignazio di Loyola. Ben presto si delineò la sua vocazione religiosa e missionaria, frutto anche di una preghiera estatica, in linea con quella spiritualità ignaziana, «secondo la quale proprio la perfezione della contemplazione genera le virtù perfette» e l’amore per il prossimo, che Rodolfo concretizzava prendendosi «cura dei carcerati, degli ammalati negli ospedali, dei poveri» (p. 5).
In questo contesto spirituale, come si evince dalla biografia scritta nel 1654 dal confratello Scipione Paolucci, Rodolfo maturò anche il desiderio del martirio, che si concretizzò nel villaggio di Cuncolim, nella penisola di Salsette, in India, nel 1583.
La vita di Acquaviva si svolge in un’epoca di grande fervore religioso, documentato da oltre 16.000 litterae indipetae, scritte al Generale della Compagnia di Gesù dai gesuiti che chiedevano di essere inviati nelle Indie (petebant Indias). Pur non essendo state finora rinvenute indipetae di Rodolfo, queste missive ben documentano il clima missionario del tempo, e si comprende perché da subito il martirio di Aquaviva «diventò per molti candidati alle missioni un ideale da imitare e la sua storia una fonte di ispirazione per gli aspiranti missionari. Rodolfo viene citato soprattutto nelle indipetae scritte durante il generalato dello zio, Claudio Acquaviva (1581-1615): difficile resistere alla tentazione di far sapere al generale che il desiderio missionario era nato da una speciale devozione a suo nipote» (p. 24).
La raccolta di studi ci porta a considerare anche un altro aspetto della breve, ma intensa vita di Rodolfo: la sua azione missionaria svoltasi per tre anni alla corte di Moghul, presso il grande imperatore Akbar. Partito da Lisbona nel 1578 per la colonia portoghese di Goa, assieme ad altri compagni, tra i quali il maceratese Matteo Ricci, nel 1580 Rodolfo giunse a Fatehpur Sikri, capitale dell’Impero Moghul. La ragione principale di questa iniziativa era determinata dal fatto che Akbar si era dimostrato interessato a conoscere il cristianesimo. Nella capitale aveva fatto costruire una «casa del culto», in cui si svolgevano le dispute teologiche, volte a dimostrare l’inconsistenza della fede altrui, e che vengono ricordate dallo stesso Rodolfo nelle sue lettere. Queste dispute e questi incontri fra culture diverse avevano anche favorito lo studio delle lingue locali, con finalità principalmente catechetiche, dottrinali.
La conversione dell’imperatore al cristianesimo, che la missione dei gesuiti, guidata da Rodolfo, aveva desiderato, non avvenne mai, e forse Akbar, musulmano che aveva sposato una indù ed era a capo di un vasto territorio, punto d’incontro dell’islam e dell’induismo, «aveva tentato una nuova sintesi religiosa», nella ricerca costruttiva «di un’unità del regno nella sua pluralità» (p. 87) contro i fanatismi e all’insegna della tolleranza, come si evince da un suo editto del 1591-92: «Nessuno sia molestato per cause di religione e a ognuno sia concesso di passare a una fede che gli piace» (p. 93).
Sono pagine interessanti dello studio articolato sul beato Rodolfo, che ci ricordano modalità missionarie oggi impensabili e che spesso erano precedute dalla distruzione dei luoghi di culto locali. Lo stesso martirio di Acquaviva e di quattro confratelli, avvenuto in un villaggio non controllato dai portoghesi, ebbe luogo in un clima di ostilità, proprio perché preceduto dall’azione violenta della conquista lusitana, dalle conversioni forzate e dalle campagne di distruzione dei templi e degli idoli.
Il volume è un’indagine accurata, un importante contributo che offre molteplici chiavi di lettura della storia di un gesuita missionario e martire, elevato a significativo modello di riferimento, e che si inserisce nella più complessa storia delle missioni e della colonizzazione delle potenze europee del XVI secolo.