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Questo volume è un’antologia degli scritti più significativi di Giorgio La Pira, ordinati in tre sezioni – fede; politica; profezia – da Alberto Mattioli. L’opera, che nasce su iniziativa della Fondazione La Pira, comprende commenti e saggi di protagonisti della cultura cattolica del nostro tempo – storici, giuristi, saggisti e giornalisti –, accomunati dallo stesso ideale di libertà e di pace. Non tanto per ricordare i 120 anni dalla nascita del «mistico prestato alla politica», ma per sottolineare il senso profondo di un’esistenza che è stata tutta testimonianza e missione.
Giorgio La Pira (Pozzallo [Rg], 1904 – Firenze, 1977), frequenta a Messina scuole a indirizzo tecnico – dove conosce gli studenti Salvatore Pugliatti e Salvatore Quasimodo –, consegue privatamente la maturità classica e si iscrive a giurisprudenza. Segue, per gli ultimi esami e per la tesi in diritto romano, il professore Emilio Betti, che si era trasferito a Firenze. Lo studio – la storia del diritto – è la sua passione. È un contemplativo, ma vive nel cuore della società, tra i giovani e tra i poveri, con l’occhio attento a quel che succede intorno. Terziario domenicano, attivo nella Conferenza di San Vincenzo sin dagli anni della Fuci, è «tra i primi undici Missionari della Regalità, l’istituto voluto da padre Agostino Gemelli» (p. 27). In una lettera dell’aprile del 1931, leggiamo: «Lo stato attuale mio si esprime in una sola parola: sono un libero apostolo del Signore felice di amarne e di proclamarne l’ineffabile bellezza e misericordia» (p. 27).
Docente, sempre animato da un senso vivo della storia, storico e costruttore di futuro. Membro dell’Assemblea Costituente, parlamentare, sottosegretario al Lavoro, più volte sindaco di Firenze. Politico, ma «solo a Dio soggetto». Antifascista, e perseguitato dal fascismo. Nel dopoguerra fa parte del gruppo dei «professorini» (Fanfani, Lazzati, Dossetti ecc.).
Il suo impegno politico e sociale è inscindibile da quello religioso ed ecclesiale. Costruttore di relazioni rivolte alla pace, alla solidarietà e alla giustizia, viaggia e incontra capi di Stato in Occidente e in Oriente; è amico ed estimatore dei Papi; intreccia rapporti con ebrei e musulmani, intellettuali e leader religiosi. Il suo metodo è il dialogo.
Ecco un frammento di una storiografia del profondo: «Quando pensai alle cose da dire, vidi, riflettendo, come un libro formato da tanti capitoli e reso unitario da una finalità sola, da una ispirazione sola, da una intuizione sola, da un’unica idea. Un libro che si potrebbe intitolare così: In aedificationem corporis Christi» (p. 56). Senza Cristo, il mondo è privo di anima.
Umile e sempre disponibile all’ascolto, risponde con rispetto a chi non lo comprende. Non lo comprende il cardinale Ottaviani, ma nemmeno don Luigi Sturzo, e nemmeno don Giuseppe De Luca. Montini – poi Paolo VI – lo sostiene con amicizia, ma anche con prudenza. All’amico Fanfani spiega l’atteggiamento forte e ribelle assunto come sindaco di Firenze in occasione della crisi dell’azienda Pignone e del programmato licenziamento di quasi 2.000 operai: «Non sono un sindaco, ma un testimone dell’Evangelo. Di fronte a scelte sbagliate, favorevoli a pochi ricchi e dannose per tanti poveri, gridare è il solo dovere: come san Giovanni nel deserto» (p. 105). La disoccupazione, sottolinea Mattioli, è «un’autentica bestemmia verso Dio» (p. 18).
La Pira risponde puntualmente a tutti, ricordando il Vangelo e l’insegnamento sociale della Chiesa, ma anche la dottrina di Keynes. Politico, «più realista – scrive Giovagnoli – di quello che potrebbero far pensare il suo spirito evangelico e le sue prospettive utopiche» (p. 197). E Riccardi aggiunge che «il nostro tempo disorientato e globalizzato ha bisogno di tornare a riflettere su figure come la sua» (p. 192). Riflettere su La Pira significa «ricostruire un tessuto di dialogo umano e religioso» (p. 193). Il libro ispira pensieri per un umanesimo nuovo. È una lezione di pedagogia politica. La politica è fatica, «è rinunzia a sé stessi per il bene degli altri» («Lettera a Fanfani», p. 12).
Il padre gesuita Piersandro Vanzan così concludeva un articolo pubblicato su La Civiltà Cattolica (cfr Civ. Catt. 2004 II 26-36) in occasione del centenario della nascita di La Pira: la ricorrenza del centenario aiuta a «riscoprire l’anima profonda della politica, che è la ricerca del bene comune e la risposta alle “attese della povera gente”».