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Beppe Giunti è un frate francescano conventuale che da molti anni opera nelle carceri, accompagnando in particolare i collaboratori di giustizia che hanno deciso di contribuire alla lotta al crimine organizzato. Tempo fa avevamo già segnalato un suo piccolo libro di riflessioni spirituali: Padre nostro che sei in galera. I carcerati commentano la preghiera di Gesù (cfr Civ. Catt. 2019 II 198 s).
Ora, nel centenario della nascita di don Milani, insieme alla giornalista Marina Lomunno, ci offre un’agile ed efficacissima raccolta di testimonianze e riflessioni sulla scuola fatte dagli stessi collaboratori di giustizia. Lo studio, infatti, è una via essenziale per sconfiggere la criminalità. La pubblicazione è intenzionalmente molto piccola; non è infatti una ricerca scientifica o sociologica, ma mira a una diffusione ampia, anche nelle scuole, a essere strumento per avvicinare la società al carcere e far comprendere l’urgenza dell’impegno nello studio, anche a livello superiore, per una giustizia riparativa. Per chi non la conoscesse, è anche uno strumento prezioso per informare sull’esperienza e sui risultati estremamente positivi del Polo universitario per studenti detenuti, istituito dall’Università di Torino nel 1998, primo in Italia e in Europa. Chi lo ha frequentato e si è reinserito nella società presenta una «recidiva zero»: con la scuola, la vita può ricominciare. I brevi 10 capitoli sono introdotti dalla Prefazione di Maria Teresa Pichetto, vera colonna del Polo universitario, e conclusi dalla Postfazione di Elena Lombardi Vallauri, attualmente direttrice della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno di Torino (per i torinesi, «Le Vallette»).
Nel secondo libro, con la collaborazione della teologa Segoloni Ruta, fra’ Beppe ci offre una serie di testimonianze e riflessioni sulla vita quotidiana delle mogli, delle figlie, delle sorelle, dei collaboratori di giustizia, costrette a una vita praticamente «invisibile» a causa della protezione necessaria per loro e le loro famiglie. Perciò gli sguardi diventano spesso anche più significativi delle parole, e nella loro intensità conducono a evocare gli occhi di Chiara, di Francesco, di Gesù. L’amore sincero e fedele di queste donne è un sostegno determinante nel lungo e faticoso cammino dei detenuti verso il ritorno alla vita e alla libertà.
La lettura di questi due libretti, che avvince e si può fare in un batter d’occhio, aiuta anche noi a rinnovare ed educare lo sguardo verso la realtà del carcere e l’esperienza di chi vi è recluso. E pur nella drammaticità e nella sofferenza che le abitano, possiamo scoprire delle luci di speranza. L’intelligenza e l’amore possono rimanere vivi, anzi crescere e liberare dalla schiavitù del crimine, fino al ritorno nella dignità della convivenza, nella giustizia e nella pace.