Nel 1622 a Nagasaki e nel 1623 a Edo (oggi, Tokyo) ci fu un’imponente persecuzione contro i cristiani. Il quarto centenario della persecuzione che ha distrutto la grande e fiorente missione del Giappone, iniziata nel 1549 da san Francesco Saverio, è passato quasi sotto silenzio: eppure si è trattato di una storia forse unica nella Chiesa per le sue dimensioni. Tutti i missionari vennero espulsi nel 1614, ma alcuni di loro riuscirono a rimanere in clandestinità. Nella persecuzione ci furono 4.045 casi di martirio attestato: non sono mancati coloro che hanno abiurato, ma nell’insieme emerge una testimonianza cristiana di uno spessore evangelico straordinario[1]. Se la maggioranza di essi erano cristiani giapponesi – uomini, donne e perfino bambini –, vanno messi in conto anche diversi sacerdoti e religiosi: domenicani, francescani, agostiniani e gesuiti. Nel 1639 le frontiere del Giappone furono chiuse agli occidentali e per più di due secoli non fu concesso ad alcuno straniero di potervi entrare.
Alla missione in Giappone la Compagnia di Gesù ha partecipato con numerosi martiri: lo testimonia il grande gruppo della beatificazione di 205 cristiani riguardante l’eccidio di Nagasaki del 1622 e di Tokyo, l’anno seguente[2]. Di questi, la maggioranza era formata da laici, ma vi furono alcuni gesuiti, tra cui cinque italiani: Carlo Spinola, Camillo Costanzo, Pietro Paolo Navarro, Giovanni Battista Zola e Girolamo de Angelis.
Uno dei più noti tra i martiri di Nagasaki è p. Carlo Spinola, straordinaria figura di evangelizzatore e di organizzatore della missione, di cui è stata pubblicata recentemente una nuova biografia[3]. Il fatto che sia un gruppo numeroso fa un po’ dimenticare i singoli, ma ognuno ha la sua storia affascinante e impressionante. Quattro secoli rischiano di offuscare la memoria di questi grandi testimoni della fede, che hanno dato un’impronta eccezionale al cristianesimo del Giappone.
Il p. Girolamo de Angelis, apostolo della zona più settentrionale del Paese, è stato martirizzato quattro secoli fa, il 4 dicembre 1623, con altri 75 cristiani a Edo, nei dintorni dell’attuale Tokyo. Qui si vuole ricordare la figura di questo missionario che, nell’arco di un paio di decenni, ha lasciato nel Giappone la sua impronta di sacerdote e di scienziato: ha scoperto che il grande regno di Yezo era un’isola grandissima, l’attuale Hokkaido. Nativo di Enna, viene ricordato con ammirazione nella città, dove ancora si conserva la sua reliquia nella chiesa di san Bartolomeo apostolo[4]. Un anno fa
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