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È decisamente opportuno il volume, prefato da Gad Lerner, che il giornalista Jacopo Scaramuzzi dedica ai rapporti tra il cristianesimo e il suo uso strumentale messo in opera dagli attuali populismi.
In primo luogo, è opportuno perché, quasi in modo inosservato, permette di «unire i puntini» di una storia a puntate lunga un secolo. È una storia che rimanda lontano, al passato remoto dei totalitarismi degli anni Venti e Trenta e al loro utilizzo strumentale del fatto religioso. Ed è una storia che rimanda vicino, al passato prossimo degli «atei devoti», che – riletto a qualche anno di distanza – sembra costituire il prologo all’attuale (per)versione dei rapporti tra religione e potere.
In secondo luogo, questo libro è opportuno perché non ignora il sentire populista di casa nostra, ma lo relativizza, inserendolo in un quadro più ampio. Dunque, con una scrittura netta come colpi di scalpello, l’autore conduce il lettore a conoscere uno per uno quei leader che issano una croce – avrebbe detto Pio XI – «che non è la croce di Cristo». Ecco dunque l’America di Trump, capace di intercettare «le ansie della destra cristiana» (p. 47) dopo la fine dell’America bianca cristiana; la Russia di Putin (buono a sfruttare le elaborazioni ideologiche di Alexander Dugin, come Trump quelle di Steve Bannon), sottoposta a una cura di autoritarismo man mano rivestito di pose e ammiccamenti al cristianesimo ortodosso; l’Ungheria di Orban, partito anticlericale e giunto a essere campione della democrazia (cristiana) illiberale; il Brasile di Bolsonaro, autoproclamatosi rappresentante d’una «volontà divina» (p. 94) che somiglia molto a quella dei grandi gruppi di potere e delle Chiese evangeliche più radicali; e infine la Gran Bretagna, con la sua «noia» (p. 98) per la democrazia; la Francia del Front National, «non a favore del cristianesimo, ma contro l’islam» (p. 111); e l’Italia di Salvini (e Meloni) e di una Lega l’altro ieri pagana e oggi ultra-tradizionalista.
Un quadro sinteticamente efficace, in cui l’autore distingue per unire e unisce per distinguere: «Non c’è un burattinaio che tira le fila dall’Europa all’Asia e alle Americhe. È lo spirito del tempo, la conseguenza del collasso della globalizzazione, l’onda lunga di una crisi economica epocale» (p. 123). È un’epoca in cui un certo numero di ideologi con pochi scrupoli ha «colto anzitempo che il nazionalismo risorgente aveva a disposizione un patrimonio formidabile, riconosciuto da tutti: il cristianesimo; e a tal fine lo ha trasformato in riempitivo a buon mercato per colmare vuoti di idee o di ideologie, stoffa facilmente reperibile per ammantare di eternità, e indiscutibilità, le svolte strategiche» (p. 123). In questo, tuttavia, si sono trovati davanti un avversario formidabile – papa Francesco –, che vede nei populismi «cosa il cristianesimo non è» (p. 139), e che, non a caso, è diventato il loro obiettivo numero uno.
Infine, il volume è opportuno perché mette il lettore davanti alle tre sfide che i populismi pongono al cristianesimo e che saranno decisive nel determinarne il futuro: 1) «una sfida culturale, poiché il nazionalismo è una chiara minaccia per il cattolicesimo, e il nazional-cattolicesimo sarà lacerante nella chiesa»; 2) «una sfida esistenziale, poiché dovrà decidere se essere identità chiusa o aperta, sigillo dei confini o ponte tra culture, difesa di una nazione o difesa degli oppressi di ogni nazione»; 3) «una sfida teologica, perché, distinguendo cristianesimo e cristianità, i populismi non fanno che riportare a galla un plurisecolare binomio tra scontro di civiltà e conversione personale, tra retorica e persuasione, e tra religione e fede» (pp. 128 s).
IACOPO SCARAMUZZI
Dio? In fondo a destra. Perché i populismi sfruttano il cristianesimo
Verona, Emi, 2020, 128, € 13,00.
Alberto Guasco