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Prendendo tra le mani questo libro, la prima domanda che ci si pone: «Perché Detroit?», è la stessa che viene posta da un portiere d’albergo di Filadelfia all’autore, Giuseppe Berta, storico dell’economia industriale di lungo corso. È un libro che per lo stesso autore ha rappresentato una doppia sfida: la prima, che lo riguarda dal punto di vista della salute personale, dovendo egli combattere contro un tumore e le relative terapie di contrasto; l’altra, da accademico, che questa volta compie un percorso narrativo di tipo singolare al di fuori dei canoni classici di ricerca universitaria, unendo, peraltro, al rigore consueto una narrazione di tipo giornalistico da instant book. Il libro infatti è il frutto di considerazioni e riflessioni maturate a seguito di due viaggi compiuti da Berta a Detroit.
Il primo capitolo si sofferma sulla deindustrializzazione che ha caratterizzato Detroit e le aree metropolitane del Midwest degli Stati Uniti negli ultimi decenni del secolo scorso, simbolo di una trasformazione ben più profonda che ha coinvolto non solo questa parte degli Usa, ma il mondo intero.
Gli altri cinque capitoli sono legati alla trattazione di luoghi simbolo della Detroit che fu, la cosiddetta «Motor City» per la contestuale presenza delle fabbriche di Ford, General Motors e Chrysler e di cui si conservano ancora alcune parti, ma completamente stravolte rispetto al disegno funzionale originario.
Scorrono così le pagine dedicate all’Institute of Arts, sponsorizzato negli anni trenta del XX secolo dalla famiglia Ford e che ospita i murales dell’artista messicano Diego Rivera, marito di Frida Kahlo; quelle dedicate all’Highland Park e al Ford Museum, che raccoglie le testimonianze del fordismo – a cominciare dal famoso «modello T» – e di ciò che esso ha rappresentato per lo sviluppo industriale degli Usa, non solo nei primi decenni del secolo scorso; quindi al River Rouge, con la fabbrica – simbolo della produzione di massa – costruita sempre dai Ford negli anni Venti del secolo scorso.
L’autore poi ci conduce al Brush Park, spazio che segnava il passaggio alla Black Detroit, la città degli afroamericani, che attualmente è caratterizzata da un’ambigua prospettiva di gentrificazione, ossia di trasformazione da quartiere popolare a zona abitativa di pregio. Essa in passato vide i comizi sia di Malcom X e del suo movimento Black Power, sia di Martin Luther King: entrambi, anche se con modalità diverse, paladini di un riscatto della comunità nera, trattata ancora, negli anni Sessanta, in modo discriminato rispetto a quella dei bianchi. Infine, l’itinerario di visita si conclude al Renaissance Center, ove venne stabilito il quartiere generale della General Motors e che, se costituisce l’ultimo monumento della Motor City di un tempo, rappresenta oggi anche (nomen omen) il simbolo di un ponte verso una nuova epoca dell’economia.
Quali sono le lezioni che si possono trarre da questo affresco, sapientemente tratteggiato da Berta, di una realtà in trasformazione e altalenante tra sviluppo esplosivo, declino apparentemente irrimediabile e rilancio?
La prima è il vaticinio che Berta fa su Detroit: una città che può sopravvivere alla conversione dell’industria dell’auto nei nuovi paradigmi della mobilità, svolgendo addirittura un ruolo da protagonista.
La seconda è la constatazione, venata da una malcelata ammirazione, dello spirito di iniziativa e di riscatto contro il declino socioeconomico che si coglie nei suoi abitanti, che si impegnano allo spasimo per una riqualificazione e una nuova valorizzazione dei motori economici della città, sapendo che nulla è da darsi per scontato in un senso o nell’altro.
La terza è un paragone con Torino e il Piemonte, che sono stati segnati – in positivo prima e in negativo dopo – dallo sviluppo e dalla successiva crisi del modello tradizionale di industria dell’auto. Con l’auspicio che, sia pure in modi diversi rispetto a quelli di Detroit e del Midwest statunitense, si possa favorire il loro rilancio.
GIUSEPPE BERTA
Detroit. Viaggio nella città degli estremi
Bologna, il Mulino, 2019, 252, € 16,00.