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Virginie Riva, giornalista per Europe 1, corrispondente a Roma dal 2014 al 2017, ci offre 11 ritratti di donne francesi convertite all’islam o, secondo la corretta terminologia religiosa, «ritornate» all’islam. Sono donne tra i 26 e i 38 anni, tutte esercitanti una professione, per lo più socio-sanitaria. I percorsi sono inevitabilmente diversi, originali, persino divergenti tra loro.
Per Assia (laurea magistrale e conversione per amore), la posizione della donna nell’islam è non solo protetta, ma addirittura privilegiata. C’è chi vive problemi di integrazione a causa del proprio nubilato. Perrine, sposata con un convertito, ha interiorizzato le norme (non mangia halal), perché secondo lei nell’islam è l’intenzione che conta: occorre essere umili di fronte a Dio e alla propria fede. Cécile Naima, insegnante di musica, è diventata sufi in nome di un islam interiore, pacifico e mistico. Claire, psicologa e femminista, non ha cambiato il suo nome natale con un altro da convertita.
Molteplici sono gli elementi di fascinazione che hanno condotto le protagoniste, spesso provenienti da una regolare educazione cattolica, alla shahadah, la professione di fede ufficiale, sobria nel rito ed essenziale nell’enunciazione (un solo Dio e Mohammed come profeta). Si tratta a volte della preferenza per un monoteismo conciso rispetto al dogma trinitario, oppure vi è l’esigenza di una convivialità più stretta, partecipata, affettuosa, scandita dalle cinque preghiere giornaliere, la prosternazione, le abluzioni, l’impegnativo ma coinvolgente ramadan, le prescrizioni igienico-alimentari.
Talora la conversione si innesta in una sofferta ricerca esistenziale – spesso conseguente a un lutto –, che oppone valori spirituali alla dominante mentalità materialistica. Un peso importante hanno le esperienze sentimentali con partner nati in Paesi musulmani e la comprensibile curiosità verso abitudini comportamentali e strutture familiari allargate e affollate prima sconosciute. Altre volte la spinta decisiva viene dalla solidarietà alla causa palestinese, dalla diffidenza verso la tradizione ebraica, percepita come autoreferenziale, e verso quella cattolica, di cui si lamentano tratti esteriormente clericali. Scatta spesso una reazione orgogliosa verso la semplicistica, scorretta identificazione dell’islam con movimenti radicali, estremisti o addirittura eversivi.
Nello Stato francese, che difende un rigoroso principio di laicità ed espunge i simboli religiosi comunitari, la questione del velo (hijab) assume connotati simbolici dipendenti dal contesto. Nascondere il volto non costituirebbe segno di arretratezza, paura, imposizione servile, deriva spiritualistica o subordinazione al genere maschile, ma coraggiosa figura di resistenza a una cultura dell’ostentazione pubblicitaria, al voyeurismo impudico, al cedimento conformista delle mode.
Queste donne hanno accettato di essere intervistate e di esporre difficoltà e gioie della loro vocazione, che è tuttora in evoluzione. La donna che pratica una delle religioni del Libro non ha alcun obbligo di convertirsi per sposarsi con matrimonio religioso, e forse ciò propizia un percorso spirituale più sincero, in cui la tradizione del diritto occidentale non è affatto demonizzata o censurata, ma si integra con l’istanza islamica di un nuovo stile di vita. La difesa della laicità statale è motivata anche dalla consapevolezza che numerosi convertiti al cattolicesimo in terre musulmane non possono vivere pacificamente la propria fede.
«Forse alcune abbandoneranno un giorno l’islam, in modo particolare a causa del loro isolamento, altre progrediranno nella fede e nell’impegno politico» (p. 22). Per ora queste donne, che vivono difficoltà di integrazione sia in ambito musulmano sia francese, hanno trovato nell’islam due cose: una comunità e una spiritualità.
VIRGINIE RIVA
Convertite
a cura di DANIELA MARIN – ELEONORA SALVADORI
Pisa, ETS, 2020, 188, € 17,00.