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Il 5 ottobre scorso è stato reso noto il Rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase) in Francia. Esso è stato chiesto dalla Conferenza episcopale francese e adesso è a disposizione per un esame approfondito, in modo che si possa compiere un nuovo passo qualificato nel campo della lotta contro gli abusi. Il Rapporto mostra come circa 3.000 preti e religiosi abbiano commesso abusi sessuali su minori o persone vulnerabili in 70 anni. Un totale di 216.000 persone in Francia oggi (con un margine di errore di 50.000) sono state abusate da preti e religiosi cattolici. Se si includono le aggressioni commesse da laici (soprattutto nelle scuole), questa stima sale a 330.000 persone. Ma questo è solamente un tassello di un quadro più ampio.
La crisi mondiale degli abusi sessuali da parte del clero ha inferto ferite che impiegheranno molti anni a guarire. Va riconosciuto che la negazione degli abusi è tuttora un problema. La terribile tragedia perpetrata nei confronti di bambini e adulti vulnerabili da parte del clero e le sue conseguenze lasciano tuttora cicatrici in tutto il popolo di Dio e rendono necessaria una teologia che valuti il ruolo della memoria. Essendo convinti che una famiglia che non ricorda scompare, riteniamo che quello della memoria sia un imperativo teologico. Ma quale tipo di memoria? Come si fa a guarire i ricordi? Come Johann Baptist Metz sottolineava a proposito dell’Olocausto ebraico, i componenti del popolo di Dio «non devono lasciarsi bloccare da memorie non riconciliate, nemmeno a livello teologico, ma piuttosto devono valersene con fede e con esse parlare di Dio»[1].
Teologia e ferite dell’uomo
Se è vero che la memoria costituisce il grembo della storia e della teologia, in un mondo violento la teologia deve prendere le mosse proprio dai luoghi delle ferite. Questo articolo offre una rivisitazione del rapporto tra l’umanità e la Chiesa di Dio ferito dagli abusi sessuali del clero sui minori, ma anche dell’autorevolezza della Chiesa oggi minata dalla perdita di credibilità. Occorre formulare una teologia capace di orientare la riconciliazione della memoria e, al tempo stesso, di re-immaginare il valore della salvezza in una Chiesa che si sforza di guarire le ferite delle persone. L’obiettivo, quindi, è quello di affrontare gli aspetti teologici, antropologici, ecclesiali e morali della memoria, ossia di valutare l’ambivalenza della colpa, di soppesare quali specifici ricordi debbano avere la priorità rispetto ad altri, di confrontarsi con memorie collettive e individuali non riconciliate e con il significato vitale del perdono.
«Memorie non riconciliate» è l’espressione precisa che useremo in seguito in un contesto di pedofilia. Essa si contestualizza in molti casi; ne evidenziamo alcuni: 1) La memoria non riconciliata riguarda le numerose vittime che sono sopravvissute alla violenza sessuale da parte di sacerdoti e che devono affrontare il difficile percorso di essere lasciate sole a raccontare la loro storia in un contesto di negazioni degli abusi o di soppressioni della memoria. 2) Si riferisce alla memoria dei bambini nati dallo stupro. 3) Denota anche molte vittime che hanno deciso di allontanarsi il più possibile da coloro che le hanno ferite. 4) Le memorie non riconciliate sono insite anche negli autori degli abusi, in coloro che sono usciti dal carcere e in quelli che si trovano in case di riposo, perché è stato loro vietato di esercitare ogni ministero ecclesiale pubblico o perché sono stati ridotti allo stato laicale. Essi devono trovare un modo di coesistere con le vittime dei loro abusi o con il peso interiore che deriva dal sapere che, se non avessero violentato persone giovani e vulnerabili, l’odierna crisi nella Chiesa non avrebbe raggiunto le attuali dimensioni. 5) Teologicamente, le memorie non riconciliate riguardano quale posto abbia Dio nel mare di sofferenza conseguente agli abusi. 6) Infine, molte persone devono ancora fare i conti con le mancanze istituzionali della Chiesa cattolica, i suoi peccati istituzionali, le complicità e le mancate assunzioni di responsabilità tuttora presenti. Yves Congar non avrebbe potuto dirlo meglio: da parte dei nostri contemporanei, nei confronti della Chiesa, «più che dei peccati dei suoi membri, ci si scandalizzerà delle sue incomprensioni, delle sue grettezze, dei suoi ritardi»[2].
Il concetto di memoria nella teologia
Se si tengono presenti tali memorie non riconciliate e irreconciliabili, qual è, allora, il luogo della memoria nella teologia? Il concetto di memoria trae origine dal verbo ebraico zakar e significa non soltanto «ricordare», ma anche «ripetere», nel senso di tornare a raccontarlo, ad attestarlo[3]. Non è difficile cogliere quale sia l’importanza di ricordare crimini come gli abusi sessuali del clero. Infatti, «i crimini commessi nel passato non appartengono al passato, ma sono, al contrario, del tutto attuali. Essi hanno segnato le nostre società […], nelle quali il trauma che hanno impresso resta molto presente»[4].
Queste possono sembrare affermazioni generiche, tuttavia danno un’idea di quanto il passato incida sulle vite e sulle comunità. L’appello a ricordare non è soltanto un invito a volgersi verso il passato, ma è anche un appello per il presente e per il futuro. Ci fa capire che per molte persone il presente è doloroso. Per molte vittime di abusi sessuali da parte del clero il passato non è passato; pertanto, «ricordare significa essere presenti. Ma è anche qualcosa su cui agire, e agire ancora, oggi e domani, per costruire una società in cui simili azioni mostruose e criminali siano semplicemente impensabili»[5]. Ricordare le vittime degli attacchi terroristici a New York, Nairobi, Parigi e Bruxelles ha questo scopo.
La teologia cristiana riconosce che, quanto all’orientamento dell’essere umano verso Dio, siamo essenzialmente persone caratterizzate dalla memoria. I cristiani ricordano ciò che Dio ha fatto nella vita, morte e risurrezione di Gesù e attraverso di esse. Ricordano la presenza viva dello Spirito di Dio nella Chiesa. E celebrano l’invito di Gesù a spezzare il pane e a condividere un calice di vino in memoria di lui (cfr Lc 22,19; 1 Cor 11,24). La teologia cristiana riveste un ruolo fondamentale nel rapporto con la memoria e nel delineare l’identità delle persone. «L’intelligibilità del cristianesimo è trasponibile in termini non puramente speculativi, bensì narrativi: cristianesimo narrativo-pratico»[6].
Si stabilisce così una correlazione fondamentale tra la fede delle persone e la loro situazione contemporanea. La teologia ha una dimensione relazionale inevitabile. Nel fare teologia occorre essere immersi nella vita del popolo di Dio e vedere come il messaggio di Gesù sul regno di Dio possa dare orientamento a tale vita. Sostanzialmente, la teologia è un’incessante risposta a Dio, che per primo resta continuamente in noi. Questa risposta, radicata nella fede, ci aiuta a capire qualcosa sul mondo, sulla vita umana con il suo orientamento verso il Signore, su Dio che è assoluta trascendenza eppure realtà immanente, e su noi stessi.
La teologia è radicata nella storia e nelle realtà politiche ed economiche del nostro mondo, che spesso sono segnate dalla gioia, ma anche dalla sofferenza del popolo di Dio. Inevitabilmente, essa riguarda l’esperienza umana, il linguaggio, le idee e le azioni. Sono questi i media attraverso i quali cerchiamo di impegnarci in una relazione con Dio. C’è, quindi, un orizzonte intellettuale ed esperienziale che è costitutivo della teologia come iniziativa umana, radicata nel ricordo di come Dio continua ad agire nella storia.
La memoria è fondamentale per la formazione dell’identità umana. Per Paul Ricœur, essa si colloca nella dimensione dell’affettività: noi possiamo ricordare, perché alla cosa ricordata è legato un particolare amore o odio (dispiacere)[7]. Aristotele propone una riflessione analoga nell’Etica Nicomachea, dove afferma che ciò che siamo è dovuto a coloro che ci hanno preceduto e fanno parte di noi, e noi raccogliamo i loro ricordi. Sottolinea che la memoria ci permette di rispettare gli altri, di ricompensarli come è dovuto. È una questione di giustizia.
I teologi contemporanei ne convengono. Per esempio, Elizabeth Johnson scrive: «Ricordare la grande folla di amici di Dio e profeti apre possibilità per il futuro; le loro vite esprimono un programma inconcluso che è ora nelle nostre mani; la loro memoria è un incentivo all’azione»[8]. Per Elie Wiesel, la memoria congiunge passato e presente: «È perché ricordo la nostra comune origine che mi avvicino agli uomini miei fratelli. È perché rifiuto di dimenticare che il loro futuro è importante quanto il mio […]. Che ne sarebbe del futuro dell’uomo se fosse privo di memoria?»[9].
Se guardiamo agli strazianti ricordi non riconciliati dovuti agli abusi sessuali del clero, le espressioni che abbiamo letto fanno da presupposto e da logica in base a cui cogliere ciò che significa esplorare il «lavorio della memoria», e indicano in che modo la teologia può contribuire a liberare sia la persona ferita sia la Chiesa.
Trasformare la memoria delle persone
Il compito di trasformare e (ri)formare la memoria delle persone e la loro identità non può restare ai margini della riflessione teologica sistematica, dal momento che la teologia, alla luce della memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù, riserva uno spazio particolare al ricordo della natura del peccato e della sofferenza, al ruolo dei testimoni e degli spettatori.
Flora Keshgegian, pastora della Chiesa episcopale, afferma che il punto cruciale non è precisare che cosa la teologia possa fare dopo tanta sofferenza, e nemmeno elaborare una riflessione sulla storia e sulla memoria, ma piuttosto mostrare la «situazione del cristianesimo, che più volte si è messo in pericolo per la complicità con i regimi dittatoriali che hanno perpetrato abusi, persecuzione e violenza»[10].
Veniamo giudicati non soltanto da Dio, ma anche dalla nostra solidarietà con il peccato e con il silenzio davanti a coloro che soffrono. Forse «ci possono essere momenti in cui siamo impotenti a prevenire l’ingiustizia, ma non ci deve mai essere un momento in cui manchiamo di protestare»[11]. A tale riguardo, la neutralità non è ammissibile, e si deve prendere posizione. Come ha affermato Elie Wiesel, «a volte dobbiamo interferire. Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti»[12].
I teologi dovrebbero non soltanto riflettere sulle implicazioni del peccato umano, ma anche tener conto della testimonianza del passato e del presente, offrendo speranza per il futuro e rendendo giustizia ai morti e ai vivi. Si devono proporre un’apologia della speranza e il carattere distintivo della speranza cristiana[13] per aiutare gli uomini a comprendere che la memoria ha un impatto su quello che possiamo diventare, ma che ciò lo si può fare soltanto quando una memoria costruttiva plasma il modo di guardare il passato e così scongiura un continuo impatto distruttivo sul presente.
La memoria in un’epoca di abusi sessuali
Che cosa significa «riconciliare la memoria» in un’epoca di abusi sessuali del clero e di insabbiamenti? In parte, ciò significa smascherare le bugie dell’autore del male, il quale se ne serve per continuare a perpetrare il suo oltraggio. È un processo liberatorio rispetto al potere del passato, compiuto lavorando sui ricordi delle ferite inflitte[14]. La vittima e il colpevole – i bambini e i sacerdoti – sono legati da una relazione di sospetto; ma una volta che hanno imparato in modo costruttivo dal passato, essi possono meglio lavorare per riuscire a svincolarsi l’una dall’altro, e colui che perdona compie sempre qualcosa di inconcepibile.
La trasformazione della memoria può comportare un processo in cui si cammina a fianco delle vittime, nel tentativo di capire che cosa è successo, come ha fatto Gesù con i discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Egli li ha aiutati a comprendere che, nel loro andare verso qualcosa, in effetti stavano fuggendo da qualcosa: dalla tremenda crocifissione del loro amico Gesù. Purificare la memoria significa dire di no, empaticamente, a chi vuole chiudere con il passato[15]. Significa affermare che il futuro è nel cammino, in quello sforzo dinamico verso la liberazione legato alla creazione di uno spazio per la riconciliazione, ed è nello stesso tempo offrire a chi è «imperdonabile» il dono divino del perdono. Si tratta di un atto rituale che proclama la possibilità – per il sopravvissuto e per il colpevole – di avere un futuro diverso. In questo modo affermiamo che la memoria riconciliante è un dovere verso gli afflitti, i bambini violati, e verso i sacerdoti.
La complessità della storia di abusi sessuali da parte del clero racchiude questioni vitali per la teologia: l’importanza dell’umiltà, della necessità di un pluralismo di prospettive, la necessità della compassione, la profondità del discepolato cristiano, la revisione della formazione del clero. È indispensabile ascoltare l’esigente parola di Dio in un’epoca in cui così tante persone sono state ferite, e ascoltarsi l’un l’altro. Karl Rahner ha affermato che «quando abbiamo detto di noi tutto ciò che si può dirne […], non abbiamo ancora detto niente su di noi, se non […] abbiamo aggiunto che siamo esseri orientati verso Dio, che è incomprensibile»[16].
Dal momento che gli abusi sessuali commessi da esponenti del clero hanno rovinato la vita di tanti bambini, dobbiamo riscoprire le implicazioni di quella realtà che Rahner chiama «esistenziale soprannaturale» e «potenza obbedienziale». La prima espressione si riferisce al fatto che siamo un’umanità a cui è stata donata la grazia: tutto ciò che siamo è legato alla nostra relazione con Dio. «Non c’è niente di ciò che siamo come esseri umani che sia estraneo al nostro rapporto con Dio […]. Con una capacità di trascendere qualsiasi cosa che noi possiamo controllare […], siamo definiti da un’apertura che in definitiva soltanto Dio può soddisfare […]. Non c’è natura umana senza Dio». La seconda espressione – «potenza obbedienziale» – si riferisce alla nostra capacità di ascoltare la parola di Dio; riguarda «non solo quel che facciamo con le nostre orecchie […], ma l’essere aperti con tutta la nostra umanità alla parola di Dio, essere aperti alla presenza di Dio in tutto l’universo creato»[17].
Abbiamo bisogno di capire come Dio agisce nella storia e di riconoscere che gli interrogativi fondamentali della teologia scaturiscono dalla nostra comune umanità, quando affrontiamo insieme la sfida del destino umano. Il compito della teologia è formulare domande fondamentali di significato e di verità su come vada accostato il mistero di Dio e, inoltre, domande sulla nostra esistenza in quanto esseri umani, sulla società e sull’intera creazione; e fare tutto ciò con fede, dando risposte rigorose. Pertanto le teologie nascono da coloro che ragionano con la loro testa, e con la fede cercano di mostrare il mistero incomprensibile di Dio e in che modo esso dia senso alla vita del suo popolo.
La riconciliazione della memoria
Nel contesto delle ferite degli abusi sessuali del clero, la teologia deve liberarsi dalla chiusura di una Chiesa che è stata plasmata da sensibilità borghesi e classiste ed è stata condizionata dal suo essere preoccupata per la rispettabilità, il successo materiale, l’autoritarismo, da una concezione debole o facile del Dio di Gesù Cristo e di un servizio del suo Vangelo fatto solo di parole. La Chiesa purtroppo è venuta meno al suo dovere di onorare le persone, peccando così contro il loro Creatore e rinnegando se stessa.
Non ci può essere un’autentica teologia cristiana se voltiamo le spalle alle ferite di quanti sono stati abusati da preti e vescovi; così facendo, verremmo meno al dovere di prendere sul serio il passato. Ricordare le ferite della pedofilia non è mai una mera ri-presentazione «fattuale» del passato in quanto passato. Hannah Arendt ci offre un’analogia calzante: «Descrivere i campi di concentramento sine ira non significa essere “obiettivi”, ma assolverli»[18]. Ma da dove viene la nostra «ira», la nostra indignazione? Per re-immaginare l’umano e la Chiesa è essenziale la riconciliazione della memoria. Pertanto, come possiamo effettivamente affrontare i ricordi non riconciliati?
In primo luogo, la riconciliazione della memoria deve riconoscere che le «negazioni dell’abuso» costituiscono ancora un problema, e deve mettere al primo posto la verità su quanto è accaduto, sul perché è accaduto e su chi ha compiuto il male. La memoria degli abusi sessuali del clero deve diventare la base a partire dalla quale affrontare la realtà attuale e chiedere cambiamento e assunzione di responsabilità. Scrivendo della forza della verità, sant’Agostino precisa: «Si dica allora la verità, specialmente quando qualche problema spinge a dirla; e lasciamo che quelli che ne sono capaci comprendano; altrimenti, se si tace per quelli che non possono capire, non solo sono defraudati della verità, ma sono addirittura conquistati dal falso quelli che potrebbero conquistare il vero e con esso mettersi al riparo dalla falsità»[19].
In secondo luogo, dobbiamo sostenere le vittime e riconoscere le responsabilità dei ministri della Chiesa. Questa è la teologia della memoria. Nessuno ha detto che ciò è o sarà facile. È un lavoro arduo, anzi impossibile, se fatto in solitudine; ma con il perdono otteniamo la riconciliazione della memoria nel nostro rapporto con Dio e tra di noi, nel contesto degli abusi sessuali del clero nella Chiesa.
In terzo luogo, nel cammino verso la riconciliazione della memoria la Chiesa farebbe bene a prestare attenzione a quanto afferma il gesuita William O’Neill: «La memoria nata dalla testimonianza deve attribuire le responsabilità delle storture sistemiche dell’ideologia suprematista, ma deve anche rifiutarsi di “essenzializzare” vittima e carnefice. Le vittime possono diventare carnefici»[20]. Questa riconciliazione della memoria è quindi un compito rivolto a tutti i fratelli nella fede.
In quarto luogo, pensare al compito della teologia in un’epoca di abusi sessuali del clero esige che si assuma il fermo impegno che una nuova teologia verrà scritta con il sangue delle vittime. Questo significa prendere seri provvedimenti contro chi ha abusato; significa prendere sul serio il passato e il presente. Riflettendo sulle visite da lei fatte alle tombe dei suoi parenti e amici, Maggy Barankitse, una signora tutsi del Burundi, ha scritto: «La ragione che mi spinge a tornare su quelle tombe non è rivivere il trauma, ma riuscire a vedere il futuro in modo più chiaro»[21]. La memoria deve prevedere e guidare gli atteggiamenti delle vittime verso la vita e, allo stesso tempo, aiutare loro e tutta la Chiesa «a rendersi consapevoli che si può vedere chiaramente il futuro solo ricordando il passato»[22].
In quinto luogo, molte persone si lamentano perché in Vaticano e in altre istituzioni della Chiesa si fa un gran parlare di guarigione, mentre andrebbero rafforzate le misure per rendere i vescovi locali responsabili di quello che sta accadendo. Allo stesso tempo, i ricordi dolorosi delle vittime vanno ascoltati e rispettati.
In sesto luogo, la riconciliazione delle memorie dovrebbe costruire un’apologia della speranza per ispirare una nuova teologia per una Chiesa rinnovata, in modo che si possano ascoltare ancora una volta, nonostante le nostre ferite ecclesiali, queste parole di Dio: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). È questa speranza che ci consente di immaginare il perdono dell’imperdonabile.
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Concludiamo il nostro ragionamento con le parole che papa Francesco ha usato alla fine dell’Udienza generale del 6 ottobre scorso, riferendosi al Rapporto francese citato all’inizio. Esse esprimono in forma di appello considerazioni che abbiamo esposto in queste nostre pagine: «Desidero esprimere alle vittime la mia tristezza e il mio dolore per i traumi che hanno subito e la mia vergogna, la nostra vergogna, la mia vergogna, per la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterle al centro delle sue preoccupazioni, assicurando loro la mia preghiera. E prego e preghiamo insieme tutti: “A te Signore la gloria, a noi la vergogna”: questo è il momento della vergogna. Incoraggio i vescovi e voi, cari fratelli che siete venuti qui a condividere questo momento, incoraggio i vescovi e i superiori religiosi a continuare a compiere tutti gli sforzi affinché drammi simili non si ripetano. Esprimo ai sacerdoti di Francia vicinanza e paterno sostegno davanti a questa prova, che è dura ma è salutare, e invito i cattolici francesi ad assumere le loro responsabilità per garantire che la Chiesa sia una casa sicura per tutti».
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A THEOLOGY OF MEMORY WHEN SEXUAL ABUSE IS COMMITTED BY THE CLERGY
The article offers a review of the relationship between humanity and God’s Church, which has been wounded by sexual abuse of minors by the clergy, but also a revisiting of the Church’s authority, which is undermined today by a loss of credibility. We need to formulate a theology capable of guiding the reconciliation of memory. The wounds inflicted on the victims by clergy must be an ongoing challenge for us. In reawakening the faith of the apostle Thomas by having him touch his wounds, Jesus tells him: “It is where you touch human suffering that you will realize I am alive. You will meet me wherever people are suffering.” This article on memory offers an insight into how to imagine the forgiveness of the unforgivable.
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[1]. J. B. Metz, A Passion for God: The Mystical-Political Dimension of Christianity, New York, Paulist Press, 1998, 2.
[2]. Y. Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano, Jaca Book, 2015, 58.
[3]. Cfr C. Fournet, The Crime of Destruction and the Law of Genocide: Their Impact on Collective Memory, Burlington, Ashgate, 2007, XXX.
[4]. Ivi.
[5]. J. Chirac, «Discours prononcé lors de l’inauguration de la nouvelle exposition du pavillon d’Auschwitz», in Libération, 27 gennaio 2005.
[6]. J. B. Metz, La fede, nella storia e nella società, Brescia, Queriniana, 1978, 162.
[7]. Cfr P. Ricœur, Memory, History, Forgetting, Chicago, University of Chicago Press, 2004, 17 (in it. La memoria, la storia, l’oblio, Milano, Raffaello Cortina, 2003).
[8]. E. A. Johnson, Friends of God and Prophets: A Feminist Theological Reading of the Communion of Saints, New York, Continuum, 1998, 169.
[9]. E. Wiesel, From the Kingdom of Memory. Reminiscences, New York, Schocken Books, 1990, 10.
[10]. F. A. Keshgegian, Redeeming Memories: A Theology of Healing and Transformation, Nashville, Abingdon, 2000, 17.
[11]. E. Wiesel, «Discorso di accettazione del Premio Nobel per la pace», 10 dicembre 1986.
[12]. Ivi.
[13]. Cfr M. Uwineza, «On Christian Hope: What makes it distinctive and credible?», in America, 4 aprile 2016, 24.
[14]. Fra coloro che meglio ci hanno mostrato che cosa significhi trasformare ricordi tragici possiamo menzionare Nelson Mandela. Egli era stato in prigione per 27 anni durante il regime dell’apartheid in Sud Africa. Quando venne rilasciato, non ignorò il calvario che aveva vissuto, ma lo trasformò in un’occasione di benedizione per il suo Paese, cercando di associare nel suo governo sia bianchi sia neri, piuttosto che emarginare coloro che lo avevano torturato. Mostrando ai suoi ex nemici che il mondo era più grande delle loro ristrette vedute, Mandela ha rivelato il fondamento di ciò che significa essere umani.
[15]. Di certo era questo il sogno di Martin Luther King e di altri attivisti per i diritti civili, che hanno saputo imparare dagli orrori della schiavitù e hanno cercato di ottenere la libertà per tutti in America.
[16]. K. Rahner, «Theology and Anthropology», in Id., Theological Investigations, vol. 9, New York, Seabury, 1972, 216; cfr Id., «On the Theology of the Incarnation», in Id., Theological Investigations, vol. 4, ivi, 1982, 108.
[17]. R. Lennan, Karl Rahner: Theologian of Grace, 12 Lectures on 5 CDs, North Bethesda, NYKM, 2015, CD 1, track 23-25. Cfr K. Rahner, Hearer of the Word, New York, Continuum, 1994 (in it. Uditori della parola, Roma, Borla, 1988).
[18]. H. Arendt, «Una replica a Eric Voegelin», in S. Forti (ed.), Archivio Arendt 2. 1950-1954, Milano, Feltrinelli, 1994, 175.
[19]. Agostino d’Ippona, s., Il dono della perseveranza, 16, 40.
[20]. W. O’Neill, «Saying “never again” again: Theology after the Genocide against the Tutsi in Rwanda», in un articolo di prossima pubblicazione su America.
[21]. E. Katongole, Born from Lament: The Theology and Politics of Hope in Africa, Grand Rapids, William B. Eerdmans, 2017, 260.
[22]. Id., «“Memoria Passionis” as Social Reconciliation in Eastern Africa: Remembering the Future at Maison Shalom», in J. J. Carney – L. Johnston (edd.), The Surprise of Reconciliation in the Catholic Tradition, New York, Paulist Press, 2018, 277.