|
Il focus da cui parte la profonda dissertazione del teologo tedesco Gisbert Greshake è il presente della Chiesa, tra fervida vita cristiana, da una parte, e crescente secolarizzazione, dall’altra, con l’auspicio di far germogliare una forma nuova e più credibile di Chiesa, che risponda agli interrogativi dell’uomo postmoderno.
L’A. sottolinea l’esigenza di una «real-utopia» ecclesiale e afferma che c’è bisogno di un rinnovamento radicale, senza nostalgia del passato. Egli puntualizza che le «real-utopie» non sono visioni di ciò che sarà, ma si fondano sulla realtà stessa. L’analisi attuale decreta la fine della «Chiesa di popolo», che si distingueva per una salda unità di società e Chiesa. Se verso la fine del Medioevo il numero dei religiosi era elevato, oggi assistiamo a un drastico calo delle vocazioni. «Forse l’attuale situazione della chiesa, alla fine dell’epoca caratterizzata dalla chiesa di popolo, si lascia esprimere dalla metafora biblica: oggi Dio stesso sembra ricondurre nuovamente il suo popolo “nel deserto”» (p. 60). La società odierna è profondamente cambiata rispetto al passato, presentando una diffusa instabilità nelle relazioni tra gli uomini. Tuttavia, a livello individuale, è forte il desiderio di avere dei punti di riferimento: «In altre parole, si continua ad anelare ad una comunità stabile anche nel contesto di instabilità» (p. 69).
Tipico dell’età moderna è il progressivo allontanamento di Dio dalla vita dell’uomo: in sostanza, non si ha più bisogno di Dio, la cui presenza diventa superflua. Questo porta a un graduale impoverimento della fede stessa. «Soltanto una rivitalizzazione della fede nel senso originario e pienamente biblico può dare alla chiesa un nuovo futuro, il che significa nello stesso tempo che il centro spirituale della chiesa deve emergere molto più fortemente e deve essere realizzato» (p. 103). Assistiamo al continuo proliferare di forme neoreligiose, come esoterismo, nuova religiosità giovanile e New Age, lontane dalla fede come scelta di credere in un Dio personale, vivo, misericordioso e vicino alla vita dell’uomo.
Ci sono però alcune linee di fondo che resisteranno anche nella Chiesa del futuro: innanzitutto la Chiesa, in quanto mistero, pur essendo una piccola minoranza, continuerà a essere sacramento, communio e missio universale, ossia comunione con Dio e tra gli uomini e testimonianza nella fede. Anche se nella Chiesa del futuro ci sarà un numero di fedeli sempre più esiguo, non verrà meno il suo aspetto «spirituale» e «mistico». Essa non sarà più un «gruppo industriale»; la sua struttura sarà meno rigida; circolerà dunque meno denaro, e si tornerà a una Chiesa primitiva, meno gerarchizzata: insomma, a una Chiesa delle origini così come era al tempo di Gesù. «Essa conoscerà una nuova fioritura perché la sua forza dominante all’interno della società non si attuerà più attraverso una molteplicità di opere (istituzionali), ma tramite l’impegno e la testimonianza dei singoli fedeli. Il motto del futuro sarà: non istituzioni, ma persone» (p. 155).
Non bisogna escludere che in futuro possa trovare posto anche un sacerdozio coniugato, come già accade nelle Chiese orientali cattoliche. Inoltre, la mancanza di preti e la carenza dei fedeli porterà inevitabilmente alla fine della parrocchia e alla nascita di nuove forme comunitarie, centri spirituali aperti a tutti, dove i presbiteri saranno coadiuvati da diaconi e laici, in una sorta di fluid church intorno al cuore del Vangelo, sulla scia delle comunità pentecostali. Sarà forte il senso del mandato pastorale della Chiesa, quello di continuare a guidare le persone a fare esperienza di Dio, e un impulso di vitalità sarà dato dalla presenza dei laici e dal ruolo centrale del vescovo, quale vero padre spirituale della diocesi.
Lo spirito che animerà la Chiesa, in «una rete di luoghi vitali di incontro cristiano», come sottolinea il gesuita tedesco Medard Kehl, sarà caratterizzata dalla consapevolezza che «non sono gli esseri umani, per quanto possano anch’essi ricevere i doni grandi e numerosi dello Spirito, a “fare” la chiesa, a edificare la comunità e a guidarla, ma solamente Cristo, a cui il ministero sacramentale rimanda nel suo operato specifico, che rende presente e che rappresenta» (p. 206).