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«La scuola sarà sempre meglio della merda» (p. 23). Lo dice un ragazzo che ha 36 mucche nella stalla di famiglia che a lui ogni giorno tocca pulire. Sarà anche vero che andare a scuola è comunque più gratificante che pulire una stalla di mucche, ma se la scuola perde i ragazzi più difficili ed è incapace di combattere le disuguaglianze, «non è più scuola, è un ospedale che cura i sani e respinge i malati» (p. 37). «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far le parti uguali fra disuguali» (p. 87).
Nella Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana, don Lorenzo Milani ha legato la sua figura di prete a quella di educatore. Oltre cinquant’anni dopo la sua pubblicazione, quest’opera mantiene ancora oggi il suo carattere intensamente provocatorio, a tratti urticante e discutibile; resta attuale, in particolare, all’epoca del ministero dell’Istruzione e del Merito, il dibattito sulla scuola del merito e su quella che non lasci indietro nessuno. Nel 2021 il tasso di popolazione che ha abbandonato prematuramente i percorsi formativi si è attestato in Italia al 12,7%, lontano dall’obiettivo fissato dal Consiglio dell’Ue: 9% entro il 2030. Soprattutto nella scuola primaria, i fattori che più influiscono sull’insuccesso scolastico sono legati proprio alla famiglia e all’ambiente circostante, e incidono ancora più pesantemente dopo la pandemia da Covid-19.
Alla Lettera, peraltro, non esiste una risposta ufficiale e completa, nonostante l’auspicio dei ragazzi della scuola di Barbiana: «Ora siamo qui ad aspettare. Ci sarà bene qualcuno che ci scriverà» (p. 241). Marco Pappalardo, docente di lettere e pubblicista, è convinto che gli insegnamenti di don Milani abbiano ancora molto da dire e prova a rispondere con questo libro, che ha il pregio di riportare l’originale, e poi, dopo ogni paragrafo, le riflessioni con cui l’autore condivide l’esperienza di ascolto vissuta a scuola, le domande degli alunni, i loro temi, i dialoghi in aula, nei corridoi, sui social. Non sempre ci sono le risposte, però l’importante è ascoltare, dedicare tutto il tempo necessario, dare a ciascuno lo spazio richiesto.
«A distanza di tanti anni, se la scuola è diversa e migliore, è pure merito della scuola di Barbiana» (p. 243). Tuttavia, al di là dell’importanza di una rilettura analitica della Lettera a una professoressa nel centesimo anniversario della nascita di don Milani, Pappalardo, in questa sua risposta, tende a individuare «l’unico vero esame abilitante per l’insegnamento, cioè quello che richiede la pazienza, l’ascolto, la coerenza, la credibilità» (p. 241), la responsabilità: «I “figlioli degli altri” sono anche figli miei nel momento in cui mi vengono affidati» (p. 241).
Non si tratta di fare scuola, ma di essere scuola. «Proprio la consapevolezza che esiste un amore allo studio per sé e un amore allo studio “per gli altri” fa la differenza tra uno studente e un maestro» (p. 187). «La nostra professione è fondata sulla parola e sull’esempio. […] L’azione dei docenti è generatrice di futuro nel momento in cui, attraverso le discipline e la passione per lo studio, invita le nuove generazioni ad amare la vita in pienezza» (p. 243).