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Scrittore da molti anni dimenticato, Massimo Ferretti (Chiaravalle, 1935 – Roma, 1974) rappresenta un’anomalia nel contesto culturale italiano del Novecento, attraversando, con lʼanimo indocile e spesso disorientato delle grandi solitudini (E non sono / nel coro. Io sono solo), le diverse correnti dello scacchiere letterario.
La sua notorietà in vita è legata alla pubblicazione della sua unica raccolta poetica, Allergia, la cui versione definitiva, dopo la stampa in proprio di due plaquette giovanili, vede la luce nel 1963 per lʼeditore Garzanti, grazie allʼinteressamento di Pier Paolo Pasolini. Seguono decenni di oblio, difficilmente giustificabile se non in virtù dell’irregolarità e inappartenenza del suo autore, a cui questa edizione tenta di porre rimedio.
Lo stile farsesco, da palco minore, con cui il poeta veste le proprie tentazioni monologiche non deve trarre in inganno: la vita di scrittore è per Ferretti un impegno totalizzante e irrequieto. A questo fine egli profonde tutte le sue energie sin dalla fondazione mitologica del Deoso, lʼeroe di ogni adolescenza letteraria, lʼ«infelice bastardo, figlio non riconosciuto della Paura e del Genere Umano». Il suo destino è propriamente quello di nascere dal caos afono dellʼuovo orfico e delle origini familiari e geografiche come voce inedita e inaudita che si annunci al mondo (Ecco strabocca! / Ti s’è svegliato il cuore! Sobbuglia!), fino ai montaggi del congedo sperimentale ed en plein air dei «versi urbani» di Roma, tra flânerie e détournement situazionistico, fascinazioni beat e moduli della neoavanguardia, riusati sostanzialmente a scopi lirici ed espressivi.
Lʼallergia, che dà titolo al libro, è la dichiarazione esplicita di una malattia non solo allegorica e letteraria, lʼisolamento culturale di unʼesperienza di marginalità che diviene il tratto psicologico di una reazione difensiva volta a proteggere la propria voce «minore» da ogni minaccia di colonizzazione da parte di un mondo esterno inteso come mappa di conflitto fra eserciti di pensiero estetico dominante (un terreno che egli pur attraversa, rimanendone sempre «irritato»). Un’esperienza propriamente biologica e autobiografica: lʼendocardite reumatica, disfunzione cardiaca, che costringerà lo scrittore sin dalla tenera età a continui ricoveri ospedalieri, e con questi a una percezione della necessaria infrequentabilità della vita, per condurlo infine, la notte del 20 novembre 1974, alla prematura scomparsa.
Allergia si pone, dunque, nella generazione di poeti italiani successiva allʼesperienza di Officina, come un oggetto anomalo e sfuggente che, se assimila in parte alcune funzioni sperimentali sia della neo-avanguardia sia del nucleo bolognese, affonda le sue più profonde radici a ritroso, nel solco delle tradizioni vociana e crepuscolare, defluenti inevitabilmente in Pascoli, e da quellʼocchio aperto-chiuso «nella notte nera» indietro, alle ballate acide della scapigliatura lombarda, sino alle «rimembranze del canto» del conterraneo recanatese.
Questo canzoniere si rivela oggi, a 56 anni dalla sua apparizione editoriale, come un capitolo importante della letteratura contemporanea, ma anche come unʼoccasione possibile per ridiscutere il canone obsoleto della poesia italiana del Novecento a partire dai «senza patria», scrittori irregolari, e dalle individualità non facilmente catalogabili in una suddivisione scolastica per correnti estetiche o di obbedienza teorica o ideologica.
MASSIMO FERRETTI
Allergia (1952-1962)
Macerata, Giometti & Antonello, 2019, 192, € 24,00.