Ho conosciuto mons. Víctor Manuel Fernández[1] – che il 30 settembre sarà creato cardinale – in Argentina, nel settembre del 2014, presso la Pontificia Università Cattolica Argentina, della quale egli era allora rettore. Esattamente un anno dopo mons. Fernández venne nella sede de «La Civiltà Cattolica» a Roma, per tenere una relazione per il seminario internazionale dal titolo «La riforma e le riforme nella Chiesa»[2]. In quella occasione egli intervenne sul tema «Il Vangelo, lo Spirito e la riforma ecclesiale alla luce del pensiero di Francesco». Successivamente l’esperienza sinodale ha fatto intrecciare i nostri percorsi.
Ora che sta assumendo l’incarico di Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, ho sentito importante far ascoltare ai lettori della nostra rivista la sua viva voce per comprenderne meglio la formazione e quali sono le prospettive con le quali si accinge a svolgere il suo compito impegnativo.
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Eccellenza, qual è il rapporto tra la fede e la ragione?
La Chiesa rifiuta il fideismo, difende il valore della ragione e la necessità del dialogo tra la fede e la ragione, che non sono in contraddizione. Ma attenzione, perché talvolta si colloca al centro della Chiesa «una» certa ragione, una serie di princìpi che reggono tutto, anche se si tratta in definitiva di una forma mentis, più filosofica che teologica, alla quale tutto il resto deve sottomettersi, e che alla fine prende il posto della Rivelazione!
Pertanto, coloro che determinano la corretta interpretazione della Rivelazione e della verità sarebbero coloro che possiedono questa forma mentis, questo modo di ragionare, questa unica struttura possibile di princìpi razionali. Soltanto loro sarebbero «seri», «intelligenti», «fedeli». Ciò spiega il potere che si arrogano alcuni ecclesiastici, arrivando a stabilire ciò che il Papa può o non può dire, e presentandosi come garanti della legittimità e dell’unità della fede. In fondo, la forma mentis di cui essi si considerano guardiani assoluti è una fonte di potere che si vuole salvaguardare contro tutto. Non è la ragione, è il potere.
Quale considera essere il suo «maestro» in teologia?
Benché la formazione che ho ricevuto sia stata strettamente tomista, il mio grande maestro è un altro gigante della scolastica, san Bonaventura. Mi sono addentrato nel suo pensiero da seminarista, ho continuato a leggerlo con profitto e ho dedicato la mia tesi di dottorato alla relazione tra conoscenza e vita nel suo pensiero. Mi ha lasciato un’impronta indelebile l’insistenza, derivata dal background francescano,
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