
Negli ultimi decenni l’emergere della Cina come potenza economica ha cambiato il nostro mondo. Frattanto l’India rimaneva incagliata nella condizione di vicina povera. Ma adesso, dopo la ferrea politica antipandemica di Pechino e il suo scontro commerciale e tecnologico con Washington, non poche multinazionali considerano il subcontinente indiano come una base operativa. Grazie a ciò l’economia indiana, pur con perduranti ed enormi problemi di povertà e di infrastrutture, sta cominciando a sollevare la testa e intende rivaleggiare con la grande potenza confinante. A Nuova Delhi vengono sbandierati dati che in precedenza avevano fatto l’orgoglio di Pechino: quest’anno la crescita del Pil è del 7%, grazie alla liberalizzazione economica nel settore privato, a una popolazione attiva in rapida crescita e alla riconfigurazione delle catene distributive globali.
L’India può già contare su una classe media ben istruita, spesso di lingua inglese, che ha aiutato il Paese a sviluppare settori come quelli farmaceutico e delle tecnologie informatiche. Per consolidare la propria ascesa, dovrà sostenere la crescita del settore manufatturiero e diventare una potenza esportatrice. Ne sarà capace? Di fatto l’ex colonia britannica ha appena superato il Pil del Regno Unito – il cui primo ministro, Rishi Sunak, per curiosa coincidenza, è di origine indiana
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