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ABSTRACT – La «Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio», pubblicata il 20 agosto 2018, segna un momento decisivo nella vita della Chiesa. Considerata insieme alla lettera che il Papa ad aprile ha indirizzato alla Conferenza episcopale del Cile, costituisce un esempio di leadership ispirata che ha tutte le caratteristiche del suo pontificato: è pastorale, concreta, spirituale e profetica.
Il Papa denuncia «le profonde ferite di dolore», nelle vittime e nella Chiesa, che derivano da abusi sessuali perpetrati da sacerdoti, vescovi e cardinali; esprimendo profondo rammarico per il «dolore straziante» delle vittime e dando voce alla vergogna della Chiesa, chiede una profonda conversione da quell’atteggiamento che egli definisce «clericalismo». Questo è un compito che può essere compiuto soltanto da tutto il Popolo di Dio.
Come mai un gruppo, parte della Chiesa, ha potuto pensare che proteggere se stesso fosse un servizio reso a Dio più importante che riconoscere l’enorme mole di dolore e lo scandalo di vite distrutte, le vite di fedeli innocenti? Come poteva la Chiesa tutelare la dignità della persona umana e pretendere di essere colei che difende i poveri e gli inermi, la voce dei senza voce e la memoria dei dimenticati, quando lei stessa è stata abile, come un qualsiasi Stato laico, nel sopprimere il grido di coloro che lei sosteneva di voler amare e onorare? Se la giustificazione è stata quella di impedire che lo scandalo minasse la fede del Popolo di Dio, chi è stato a essere «protetto»: la Chiesa o la «casta» clericale?
Nel cercare di essere attenta alla voce e alla presenza dello Spirito, la Lettera del Papa segna un momento storico decisivo da cui non è possibile tornare indietro. La Lettera non soltanto riconosce le vittime degli abusi clericali, e della cultura che li perpetua, ma descrive anche la desolazione in cui la Chiesa sta vivendo proprio per questo motivo. Eppure, non è una lettera di desolazione, ma di consolazione. Lo Spirito opera attraverso le sue pagine, in almeno tre modi: lo Spirito di testimonianza, lo Spirito del ricordo e dell’intercessione e, appunto, lo Spirito di consolazione e della nuova vita.
Il Cristo risorto non è il prigioniero della storia, ma il suo Signore e salvatore. Una Chiesa che lo confessa e che lo segue deve comprendere che, per essere fedeli a Cristo nella storia, dobbiamo cambiare noi stessi per cambiare la storia. Questa è la condizione dell’esistenza stessa e della missione della Chiesa: testimoniare in modo più chiaro e più efficace il Signore, il solo che può guarire e ristabilire ciò che è umano in un mondo che sta cercando disperatamente di capire che cosa sia l’umano.