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A 10 anni dall’elezione di papa Francesco, ci sembra opportuno tornare a uno dei pilastri del suo pontificato: la misericordia. Essa si può identificare come il «nome di Dio», ma anche il suo «tempo».
Che la misericordia sia un pilastro lo si deduce, innanzitutto, dal fatto che alla vigilia della IV domenica di Quaresima, in San Pietro, il 13 marzo 2015 – secondo anniversario della sua elezione –, davanti a un’assemblea riunita per celebrare la liturgia penitenziale, papa Francesco aveva annunciato l’indizione di «un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio».
L’11 aprile successivo, vigilia della II domenica di Pasqua, detta «della Divina Misericordia», il Pontefice aveva indetto il Giubileo con la Bolla Misericordiae Vultus.
«Super misericordia et infinita patientia…»
«Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». Così si esprime papa Francesco nell’intervista a La Civiltà Cattolica nel 2013. Egli si definisce un peccatore che ha sperimentato la misericordia. E infatti mi ha sussurrato la frase latina che ha pronunciato dopo la sua elezione: «Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Iesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto». «Sono un peccatore», afferma con chiarezza il Papa.
Questo dovrebbe portarlo a una percezione di sfiducia in sé stesso. E tuttavia non è così, perché la sua risposta è stata: «Accetto». L’unico motivo che fonda la sua decisione è la fiducia «nella misericordia e nella infinita pazienza del Signore nostro Gesù Cristo». E l’accettazione del pontificato avviene in «spirito di penitenza».
Se Bergoglio non avesse confidato nella misericordia (super misericordia…), non avrebbe accettato. Le sue sono parole forti, non «pie» o di circostanza. E numerose sono le testimonianze del fatto che la misericordia è la parola chiave.…