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Molti hanno sentito parlare dei missionari gesuiti in Cina nei secoli XVI-XVIII. Il più famoso è Matteo Ricci, passato alla storia come protagonista dell’incontro fra la cultura cinese e quella occidentale e – per quanto riguarda la Chiesa – come modello dell’«inculturazione» dell’annuncio del Vangelo alla Cina e più in generale a popoli di cultura molto diversa da quella europea.
Ma Ricci è solo la prima di una lunga serie di figure di grande rilievo, ricordate perlopiù per meriti scientifici o tecnici (astronomia, matematica, idraulica, fusione di cannoni…), culturali (traduzione dei classici confuciani…), artistici (pittura, architettura…), tanto che vi sono persone che si interrogano se l’impegno principale dei gesuiti non fosse l’incontro culturale piuttosto che l’evangelizzazione.
È bene quindi insistere che l’intenzione più profonda che muoveva i missionari era di offrire la conoscenza del Vangelo e la novità della vita cristiana a esso ispirata. In queste pagine ci intratterremo su un aspetto non molto noto della loro attività di evangelizzazione e della risposta da loro incontrata: le donne cinesi diventate cristiane.
Primi battesimi, prime confessioni, partecipazione alla vita della comunità
Nella società cinese le donne dovevano condurre una vita estremamente ritirata e sotto controllo strettissimo dei genitori, dei mariti e familiari. Perciò il rapporto diretto dei missionari con loro era praticamente impossibile, anzi da evitare, per non suscitare rifiuti e sospetti.
Tanto più che i gesuiti abbandonarono presto gli abiti e lo stile di vita dei bonzi per assumere quello dei letterati e, mentre le donne del popolo frequentavano i bonzi, il controllo sociale sulle donne nelle classi colte era rigidissimo.
La prima residenza che viene stabilita dai gesuiti in Cina, dopo molti tentativi, è quella dei padri Ruggieri e Ricci a Zhaoqing, nel Sud…