Sempre più le ricerche e scoperte a livello tecnologico e farmaceutico stimolano la riflessione filosofica, delineando nuovi scenari. Uno di questi, da tempo al centro dell’attenzione mediatica, è il cosiddetto «movimento trans e postumano». Indicare con precisione il significato dei due termini e cosa li differenzi è parte del problema: a seconda degli autori e dell’ambito di competenza, la prospettiva presentata varia notevolmente, segno di quella liquidità che caratterizza sempre più il panorama culturale odierno.
In questa sede, dovendo scegliere, preferiamo anzitutto distinguere tra l’ambito pratico-applicativo e la matrice teorica a esso sottesa. In altre parole, le possibili applicazioni dei nuovi ritrovati non sono proprietà esclusiva di questa prospettiva di pensiero, anche se possono certamente diventare canale di propaganda di una inedita visione antropologica.
Transumano e postumano: somiglianze e differenze
Il movimento transumanista nasce sulla scorta delle scoperte e applicazioni in ambito digitale e biotecnologico, in particolare dalla confluenza di quattro direttrici di ricerca: la nanotecnologia; la biotecnologia; l’informatica; le scienze cognitive; il tutto compendiato dalla sigla Nbic.
Esso mette l’accento sulle potenzialità che queste potrebbero rappresentare per l’essere umano, a livello medico (contribuendo a plasmare un corpo sempre più efficiente, non soggetto a malattie, invecchiamento e morte), cognitivo e informatico (potenziamento della memoria e dell’intelligenza mediante l’inserimento di appositi microchip o addirittura il trasferimento dall’organismo biologico al non biologico) e robotico.
Uno dei suoi teorici, il filosofo Fereidoun M. Esfandiary, ha spiegato in questi termini la sua decisione di cambiare il nome in FM-2030: «Il nome 2030 riflette la mia convinzione che gli anni intorno al 2030 saranno un momento magico. Nel 2030 saremo senza età e tutti avranno un’ottima possibilità di vivere per sempre. Il 2030 è un sogno e un traguardo».
Per quanto riguarda il postumanesimo…