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La Terra Santa ha ospitato comunità cristiane fin dalla prima metà del I secolo. I loro membri hanno svolto un ruolo importante sia nello sviluppo del cristianesimo sia nell’evoluzione sociale dell’area. Quando, nel 1948, con l’istituzione dello Stato di Israele, i cristiani divennero cittadini di una nazione che si definiva ebrea, per la prima volta si stabilì una maggioranza ebraica nei confronti di una minoranza cristiana. Una realtà storica nuova sia per gli ebrei sia per i cristiani.
Nei mesi scorsi i capi delle comunità cristiane tradizionali della Terra Santa si sono scontrati con le autorità civili israeliane. Le autorità ecclesiastiche locali hanno dichiarato che «le antiche comunità cristiane indigene in Terra Santa stanno rapidamente scomparendo».
Ci sono ragioni concrete per affermarlo: «Oggi la nostra esistenza è fortemente minacciata. Molte delle nostre comunità subiscono non soltanto il declino della popolazione, ma anche le intimidazioni e i soprusi nei luoghi in cui vivono ed esercitano il culto».
Secondo gli esponenti della Chiesa, gli ebrei radicali israeliani stanno conducendo una campagna coordinata che ha i seguenti scopi: sequestrare proprietà appartenenti ai cristiani, intimidire i membri di questa comunità con abusi e violenze e profanarne i luoghi santi. E sostengono che le discriminazioni nei confronti dei cristiani sono inevitabili, dal momento che nel governo locale è assente la rappresentanza cristiana.
Le autorità israeliane, dal canto loro, hanno ribattuto che tra tutte le popolazioni cristiane in Medio Oriente quella in Israele è la sola a crescere costantemente di numero. Hanno inoltre affermato che l’84% dei cristiani in Israele si sono dichiarati soddisfatti della vita che conducono da cittadini di uno Stato ebraico.
Di fronte a tali contrastanti dichiarazioni sulla presenza cristiana in Israele, viene da chiedersi: chi sono oggi i cristiani in Israele? Quali sono le sfide che si trovano ad affrontare? Qual è il loro futuro?