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Nel 307, la pace di Massenzio e la conseguente cessazione ufficiale delle persecuzioni comportarono un violento conflitto nella Chiesa. Guidati dal vescovo Donato, i «puri» rifiutarono la riammissione dei traditores (coloro che avevano consegnato i libri e gli oggetti sacri) e dei lapsi (coloro che erano «caduti» durante la persecuzione, a cominciare dai vescovi). Volevano in particolare vietare loro qualsiasi funzione sacerdotale. In varie forme, il conflitto durò fino al VI secolo[1]. Uno dei più grandi avversari del donatismo – movimento che per la sua esigenza di purezza giunse presto a eccessi di ogni tipo – fu Agostino. Diversi tratti del donatismo erano presenti già alla fine del II secolo o all’inizio del III nel movimento montanista, a cui per un certo periodo aderì Tertulliano.
Oggi, il clima sia sociale sia ecclesiale porta a giudizi frettolosi e senza appello, tanto che dobbiamo fermarci un attimo per apprezzare il significato e la portata della decisa posizione assunta allora dalla Chiesa, per mezzo della quale il pentimento espresso da coloro che avevano abiurato ha permesso il loro reinserimento. Soprattutto, la Chiesa non può mai considerarsi composta solo da «santi», escludendo quelli che non lo sarebbero o che non lo sarebbero stati.
La situazione che regna oggi in Cina differisce in molti punti da quella del IV secolo. Ma presenta anche alcune analogie: ci si compiace spesso nel contrapporre coloro che sono considerati «traditori» ai «puri», che rifiutano e rifiuteranno sempre qualsiasi «compromesso»; le motivazioni di coloro che si impegnano nel dialogo con le autorità sono sistematicamente viste con sospetto; in alcuni scritti si avverte persino il fascino del «martirio», che spesso sembra meno legato alla dolcezza e all’amore che all’esecrazione dell’avversario. Già nei movimenti montanisti e donatisti il tema del «martirio» sembrava evocare quello della «guerra santa», a tal punto il fascino della violenza può pervertire le cause più venerabili.
«Semper reformanda»
Il 22 settembre 2018 la Santa Sede ha annunciato di aver firmato un «Accordo provvisorio» con il governo cinese. Esso riguardava un meccanismo per la designazione concertata dei futuri vescovi, il cui esatto contenuto non veniva rivelato. Questo Accordo arrivava in un momento di inasprimento della politica di «sinizzazione» delle religioni intrapresa dal governo cinese[2]. Ma faceva anche parte di un contesto ecclesiale di cui si è tardato a prendere coscienza. Un contesto provocato, negli ultimi due o tre decenni, da fattori sociologici e culturali, e non solo, né soprattutto, politici: il numero di cattolici in Cina ha raggiunto il picco di 12 milioni nel 2005, si è stabilizzato negli ultimi anni e ora è in calo. Anthony Lam stima che la popolazione cattolica totale sia di circa 10,5 milioni. Inoltre, tra il 1996 e il 2014, sempre secondo le stime di Lam, il numero delle vocazioni maschili è passato da 2.300 a 1.260, mentre quello delle vocazioni femminili da 2.500 a 156. Il numero delle ordinazioni è sceso da 134 nel 2000 a 78 nel 2014 (66 nel 2013)[3]. La transizione da un cattolicesimo «dei campi» a un cattolicesimo «delle città» spiega in parte questo fenomeno, che genera anche nuove figure cristiane[4].
Il 26 settembre 2018 – quindi, quattro giorni dopo l’annuncio dell’Accordo – è stato reso pubblico un «Messaggio del Santo Padre Francesco ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale»[5]. Vale la pena ricordarne qui alcuni punti.
Riconciliazione. «Ho deciso di concedere la riconciliazione ai rimanenti sette Vescovi “ufficiali”, ordinati senza Mandato Pontificio e, avendo rimosso ogni relativa sanzione canonica, di riammetterli nella piena comunione ecclesiale. In pari tempo, chiedo loro di esprimere, mediante gesti concreti e visibili, la ritrovata unità con la Sede Apostolica e con le Chiese sparse nel mondo, e di mantenervisi fedeli nonostante le difficoltà» (n. 3).
Pragmatismo e rifiuto della sovrapoliticizzazione. «Un Accordo non è altro che uno strumento e non potrà da solo risolvere tutti i problemi esistenti» (n. 5).
Incoraggiamento a non lasciarsi rinchiudere in un ghetto. «Sul piano civile e politico, i Cattolici cinesi siano buoni cittadini, amino pienamente la loro Patria e servano il proprio Paese con impegno e onestà, secondo le proprie capacità. Sul piano etico, siano consapevoli che molti concittadini si attendono da loro una misura più alta nel servizio al bene comune e allo sviluppo armonioso dell’intera società. In particolare, i Cattolici sappiano offrire quel contributo profetico e costruttivo che essi traggono dalla propria fede nel regno di Dio. Ciò può richiedere a loro anche la fatica di dire una parola critica, non per sterile contrapposizione, ma allo scopo di edificare una società più giusta, più umana e più rispettosa della dignità di ogni persona» (n. 6).
Incoraggiamento specifico ai giovani cattolici cinesi. «Lasciatevi sorprendere dalla forza rinnovatrice della grazia, anche quando può sembrarvi che il Signore chieda un impegno superiore alle vostre forze. Non abbiate paura di ascoltare la sua voce che vi chiede fraternità, incontro, capacità di dialogo e di perdono, e spirito di servizio, nonostante tante esperienze dolorose del recente passato e le ferite ancora aperte. Spalancate il cuore e la mente per discernere il disegno misericordioso di Dio, che chiede di superare i pregiudizi personali e le contrapposizioni tra i gruppi e le comunità, per aprire un coraggioso e fraterno cammino alla luce di un’autentica cultura dell’incontro» (n. 8).
Nulla in questo Messaggio indica che Francesco abbia qualche «illusione». Ma egli riconosce lo Stato cinese come uno Stato sovrano, un soggetto di diritto incontestato, sia agli occhi della comunità internazionale sia a quelli dei suoi cittadini. Questo punto dovrebbe essere ovvio, e rimane indipendente dal giudizio morale e politico che si può formulare sui meccanismi con i quali questo Stato esercita la sua sovranità, e in particolare sulla sua costituzione come Stato-Partito. È con questo Stato, come con qualsiasi altro Stato, che la Chiesa è tenuta a dialogare, sia per le questioni relative allo statuto dei suoi fedeli e delle sue istituzioni sia per quelle riguardanti il futuro della comunità internazionale. È anche all’interno di questo Stato che i cristiani vivono la loro fede ed esercitano la loro capacità di discernimento individuale e comunitario.
Lo stesso spirito si trova negli «Orientamenti pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del clero in Cina», resi pubblici dalla Sala Stampa della Santa Sede il 28 giugno 2019. Essi riguardano innanzitutto la situazione di sacerdoti e vescovi, finora «sotterranei», che decidono di registrarsi civilmente per facilitare la riunificazione della Chiesa in Cina, ma che si scontrano con requisiti ambigui o inaccettabili. In tal caso, il firmatario «preciserà per iscritto, all’atto della firma, che lo fa senza venir meno alla dovuta fedeltà ai princìpi della dottrina cattolica. Se non è possibile mettere questa precisazione per iscritto, il richiedente la farà anche solo verbalmente e, se possibile, alla presenza di un testimone. In ogni caso, è opportuno che egli certifichi poi al proprio Ordinario l’intenzione con la quale ha fatto la registrazione. Questa, infatti, è sempre da intendersi all’unico fine di favorire il bene della comunità diocesana e la sua crescita nello spirito di unità, come pure un’evangelizzazione adeguata alle nuove esigenze della società cinese, e la gestione responsabile dei beni della Chiesa. In pari tempo, la Santa Sede comprende e rispetta la scelta di coloro che, in coscienza, decidono di non potersi registrare alle presenti condizioni»[6].
Priorità data al bene delle comunità – i pastori sono lì per proteggerle e aiutarle a crescere nella fede – e discernimento realizzato nel rispetto delle persone e della diversità delle situazioni sono due elementi in linea con una tradizione ecclesiologica e morale suscettibile, si direbbe, di ricevere un consenso unanime.
Critiche ricorrenti
Eppure non è così. La registrazione civile, ha dichiarato il card. Zen, «incoraggia i fedeli in Cina a entrare in una Chiesa scismatica, cioè indipendente dal Papa e agli ordini del Partito comunista cinese». Tutti gli ordini del Pcc dovranno necessariamente essere rispettati, «incluso il divieto ai minori di 18 anni di partecipare a qualsiasi attività religiosa». Il cardinale teme che questi «Orientamenti pastorali» siano «radicalmente invertiti» da Pechino, così che «ciò che è normale diventi anormale, ciò che è legittimo diventi tollerato»[7].
Le critiche mosse dal card. Zen non solo ribadiscono quelle da lui espresse in diverse occasioni, ma si aggiungono ad altre, come, ad esempio, quelle di Bernardo Cervellera: «Per diversi sacerdoti ufficiali e sotterranei, il documento è “ambiguo”, perché lascia che ognuno decida per conto proprio, senza indicare alcuna regula fidei. […] Il silenzio da parte vaticana e della Chiesa mondiale sulle persecuzioni, distruzioni e divieti conferma Pechino nella sua visione: la Chiesa cinese è una Chiesa nazionale che appartiene soltanto allo Stato»[8]. Suor Beatrice Leung ha fatto notare che «l’accordo [del 22 settembre 2018] è servito ben poco per la causa cattolica, ma ha aiutato la politica di sinizzazione delle religioni perseguita da Xi Jinping»[9].
A volte capita che le critiche espresse contro l’Accordo diventino molto più violente, specialmente quando sono supportate da siti specializzati in una disapprovazione sistematica degli orientamenti ecclesiali promossi da papa Francesco. Si sviluppa allora una retorica secondo la quale la politica cinese della Santa Sede contribuirebbe, assieme ad altri fattori (l’enciclica Amoris laetitia, il Sinodo per l’Amazzonia ecc.), a una «distruzione» della Tradizione e dei suoi princìpi. Va anche rilevato che, purtroppo, gruppi che sostengono tale opposizione non esitano a diffonderla nella stessa Cina, e la Chiesa in Cina (già abbastanza provata) diventa la posta in gioco in un campo di battaglia simile a un tavolo da biliardo in cui si prende di mira la biglia «Cina» per colpire meglio, di rimbalzo, la biglia «Roma».
Vivere la resilienza cristiana nella pazienza di ogni giorno
Le analisi condotte dal card. Zen o da Bernardo Cervellera colgono abbastanza bene l’obiettivo perseguito dallo Stato-Partito a partire dagli anni 2015-17[10]: rendere tutte le comunità di credenti delle religioni «nazionali» subordinate a una «religione civile», di cui il Partito cerca – non senza grandi difficoltà – di elaborare il contenuto e le espressioni rituali[11]. Questo obiettivo si concretizza in restrizioni che si stanno progressivamente ampliando, sebbene la loro natura e la loro applicazione continuino a differire in qualche modo da un luogo all’altro.
Vanno comunque segnalati alcuni fatti evidenti:
- Per quanto restrittivo sia il quadro legale in cui si sviluppano le religioni, e per quanto sia ideologicamente carico, esso non richiede certo l’apostasia, e l’articolo 36 della Costituzione cinese continua a garantire formalmente la libertà religiosa; l’epoca attuale non può essere identificata con quella della Rivoluzione culturale, anche se l’«indulgenza» che alcuni recenti discorsi ufficiali sembrano manifestare verso quella epoca è preoccupante.
- Il desiderio di rendere le religioni docili collaboratrici della «religione civile» che il Partito tenta a ogni costo di costruire si estende a tutte le religioni e anche a tutte le espressioni della società civile. Rispetto alla pressione esercitata sugli organi dirigenti del protestantesimo cinese, si può persino pensare che la Chiesa cattolica venga – per il momento – relativamente risparmiata, probabilmente in seguito all’Accordo del settembre 2018.
- La stragrande maggioranza dei cattolici cinesi di oggi è nata sotto l’attuale governo e ne ha «addomesticato» la retorica: sa ascoltarla con una distanza critica, come molti dei loro concittadini. Che si siano convertiti o che abbiano perseverato nella loro fede, i cattolici cinesi distinguono le cose, «si adattano» al sistema; in breve, sanno mettere in atto un discernimento quotidiano, che nessuno è autorizzato a operare al loro posto.
- Infine, l’amore per il Paese è tanto forte fra i cattolici cinesi quanto tra i loro concittadini, e questo sentimento richiede, da parte loro, di adottare un atteggiamento responsabile e prudente piuttosto che di ricorrere precipitosamente all’intransigenza: un atteggiamento, quest’ultimo, che li porterebbe presto all’isolamento, a essere emarginati dalla nazione.
Ciò di cui noi siamo testimoni, in particolare a Shanghai[12], è la resilienza di parrocchie ufficiali vive, che attirano un numero regolare di catecumeni, i quali spesso contribuiscono attivamente alla vita parrocchiale dopo il battesimo. I gruppi di laici incaricati del funzionamento della parrocchia – 12 gruppi, in una parrocchia di medie dimensioni – assicurano servizi di lettura, intrattenimento musicale, accoglienza di nuovi arrivati e formazione spesso molto più curati di quelli offerti dalle parrocchie occidentali delle stesse dimensioni. I sacerdoti in carica devono partecipare regolarmente a «corsi di formazione» organizzati dall’Ufficio per gli affari religiosi, ma lo fanno sapendo di salvaguardare così l’esistenza della loro comunità. Sentono di non aver dovuto compiere finora atti moralmente reprensibili, e sono pronti a fare un discernimento, qualora venissero loro richieste cose che vanno oltre una certa soglia. Qui si ritrova quel fine che gli «Orientamenti pastorali» di giugno 2019, già citati, si propongono esplicitamente: «Favorire il bene della comunità diocesana e la sua crescita nello spirito di unità, come anche un’evangelizzazione adeguata alle nuove esigenze della società cinese e la gestione responsabile dei beni della Chiesa».
Dovrebbero forse i cristiani – a partire dai convertiti che hanno trovato una parrocchia che li ha accolti e dove il loro cammino è maturato fino al battesimo – decidere di abbandonare il luogo delle loro radici ecclesiali per soddisfare agli obblighi stabiliti a New York, a Hong Kong o a Roma? Essi non sono forse in grado di fare da se stessi un discernimento tra le situazioni che consentono loro di esistere come comunità aperte e altri casi (se e quando si presentano) in cui andrebbe assolutamente presa una decisione drastica?
A noi sembra che molti dei critici di una politica vaticana che cerca innanzitutto di «favorire il bene e la crescita delle comunità» ne «sovrapoliticizzino» la posta in gioco. Alcuni discorsi fanno pensare a quelli che facevano gli «emigrati» francesi rifugiati fuori della Francia durante e dopo la Rivoluzione francese: discorsi caratterizzati da un continuo rincarare la dose. Molto spesso si ha l’impressione che chi si dedica a tali discorsi «eroici» di fatto subordini il bene dei cristiani all’obiettivo inconfessato di scuotere lo Stato-Partito, coinvolgendo così i cristiani cinesi in una lotta che non è la loro. Occorre lasciare che queste comunità cinesi vivano secondo le proprie caratteristiche, nel proprio contesto, l’incontro quotidiano con Gesù Cristo. Occorre riconoscere che esse portano la loro croce e continueranno a portarla, senza dover cercare il martirio a ogni costo, nel modo in cui lo cercava Poliuto[13]. È profondamente irresponsabile volerle portare sulla via dello scontro diretto, tanto più quando non si vive in mezzo a loro.
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Nel suo testamento spirituale, reso pubblico qualche tempo dopo la sua morte, il cardinale cubano Jaime Ortega y Alamino ha lasciato trasparire una certa amarezza di fronte a «critiche, attacchi e incomprensioni da parte di fratelli cubani che vivono all’estero»[14]. Questo risentimento verso i responsabili ecclesiastici cinesi talvolta è percepibile. È vero che spesso è molto difficile discernere, ma quando la difficoltà aumenta, è bene rileggere la parabola del buon grano e della zizzania (cfr Mt 13,24-30). Non ci si può mai sbagliare, se si sceglie di non tagliare la vita alla radice, se si sceglie di lasciar crescere insieme il grano e la zizzania. Non ci si può mai sbagliare quando si ricorda che colui che giudica sarà a sua volta giudicato.
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CONTROVERSIES REGARDING THE CHURCH IN CHINA: THE DONATIST TEMPTATION
In a social and ecclesial context that leads to rapid judgments without the possibility to appeal, it is good to recall and appreciate the Church’s position during the Donatist crisis, when she realized that she could never see herself as composed only of “saints”. In this light, this article summarizes the spirit and the letter of the policy pursued by Pope Francis to promote the unity and renewal of the Chinese Church. It then examines the criticism leveled against that policy. While recognizing that it is right to emphasize the attempts made by the State/Party to make religions its docile collaborators, the author insists on the resilience of local Christian communities, which are able to discern the position to adopt in the situations that are evolving.
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[1]. Sui rischi di possibili derive neodonatiste, cfr A. Gonçalves Lind, «Qual è il compito dei cristiani nella società di oggi? “Opzione Benedetto” ed eresia donatista», in Civ. Catt. 2018 I 105-115.
[2]. Cfr B. Vermander, «Sinicizing Religions, Sinicizing Religious Studies», in Religions 10 (2019) 1-23; Id., «Rendere più cinese il cristianesimo?», in Civ. Catt. 2018 I 432-441.
[3]. Cfr A. Lam Sui-ky, «The decline of China’s Catholic population and its impact on the Church», in AsiaNews.it, 23 agosto 2016. Cfr anche I. Johnson, «How the top-heavy Catholic Church is losing the ground game in China», in America, 18 settembre 2017.
[4]. Gli abitanti delle città rappresentavano il 12% della popolazione cinese nel 1950, il 20% nel 1978, il 52% nel 2012, e oltre il 60% nel 2019.
[5]. Francesco, «Messaggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale», 26 settembre 2018.
[6]. «Orientamenti pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del clero in Cina», 28 giugno 2019.
[7]. «Lettera del 27 settembre 2019, inviata dal cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito de Hong Kong, a tutti i membri del Collegio dei cardinali», citata in C. Lesegretain (con CNA, Ucanews), «Polémique autour d’une lettre du cardinal chinois Zen», in La Croix, 9 gennaio 2020. Riportiamo il testo della lettera inviata dal cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, a tutti i cardinali:
Vaticano, 26 febbraio 2020
Prot. N, 1/2020
Signor Cardinale,
Con riferimento ai vari interventi pubblici del Card. Joseph Zen Ze-kiun, S.D.B., e in particolare alla lettera del 27 settembre 2019, che il Vescovo emerito di Hong Kong ha inviato a noi membri del Collegio cardinalizio, sento il dovere di condividere alcune considerazioni e di offrire elementi che favoriscano una serena valutazione di questioni complesse riguardanti la Chiesa in Cina.
Desidero anzitutto far risaltare che, nell’approccio alla situazione della Chiesa cattolica in Cina, c’è una profonda sintonia di pensiero e di azione degli ultimi tre Pontefici, i quali – nel rispetto della verità – hanno favorito il dialogo tra le due Parti e non la contrapposizione. In particolare essi avevano in mente la delicata e importante questione della nomina dei Vescovi.
Così San Giovanni Paolo II, se da una parte favorì il ritorno alla piena comunione dei Vescovi consacrati illecitamente nel corso degli anni a partire dal 1958, e nel contempo fu suo desiderio sostenere la vita delle comunità «clandestine» che erano guidate da Vescovi e sacerdoti «non ufficiali», dall’altra promosse l’idea di pervenire a un Accordo formale con le Autorità governative sulla nomina dei Vescovi. Tale Accordo, la cui stesura ha preso molto tempo, più di un ventennio, è stato poi firmato a Pechino il 22 settembre 2018.
Il Card. Zen varie volte ha affermato che sarebbe stato meglio nessun Accordo piuttosto che un «brutto Accordo». I tre ultimi Pontefici non hanno condiviso tale posizione e hanno sostenuto e accompagnato la stesura dell’Accordo che, al momento attuale, è parso l’unico possibile.
In particolare, sorprende l’affermazione del Porporato che «l’accordo firmato è lo stesso che Papa Benedetto aveva, a suo tempo, rifiutato di firmare». Tale asserzione non corrisponde a verità. Dopo aver preso conoscenza di persona dei documenti esistenti presso l’Archivio Corrente della Segreteria di Stato, sono in grado di assicurare a Vostra Eminenza che Papa Benedetto XVI aveva approvato il progetto di Accordo sulla nomina dei Vescovi in Cina, che soltanto nel 2018 è stato possibile firmare.
L’Accordo prevede l’intervento dell’autorità del Papa nel processo di nomina dei Vescovi in Cina. Anche a partire da questo dato certo, l’espressione «Chiesa indipendente» non può più essere interpretata in maniera assoluta, come «separazione» dal Papa, così come avveniva in passato.
Purtroppo, c’è lentezza nel trarre in loco tutte le conseguenze che discendono da tale cambiamento epocale sia sul piano dottrinale che su quello pratico e permangono tensioni e situazioni dolorose. È impensabile, d’altra parte, che un Accordo parziale – l’Accordo tocca, infatti, solo il tema della nomina dei Vescovi – cambi le cose quasi in maniera automatica e immediata anche negli altri aspetti della vita della Chiesa.
II Card. Zen, valutando gli Orientamenti Pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del Clero in Cina, del 28 giugno 2019, scrive: «Si firma un testo contro la fede e si dichiara che l’intenzione è di favorire il bene della comunità, un’evangelizzazione più adeguata, la gestione responsabile dei beni della Chiesa. Questa norma generale è ovviamente contro ogni principio di moralità. Se accettata, giustificherebbe l’apostasia» (vedi Dubia). Gli Orientamenti Pastorali, al contrario, sono stati pensati proprio per salvaguardare la fede in situazioni talmente complicate e difficili da porre in crisi la coscienza personale.
Il Porporato, poi, nella sua lettera parla anche dell’«uccisione della Chiesa in Cina da parte di chi dovrebbe proteggerla e difenderla dai nemici» e, in particolare, in un’intervista, si rivolge ai cattolici con queste parole: «Attendete tempi migliori, tornate alle catacombe, il comunismo non è eterno» (New York Times, 24 ottobre 2018). Si tratta, purtroppo, di affermazioni molto pesanti che contestano la stessa guida pastorale del Santo Padre anche nei confronti dei cattolici «clandestini», nonostante che il Papa non abbia mancato di ascoltare ripetute volte l’Em.mo Cardinale e di leggere le sue numerose missive.
Caro confratello, questo sofferto intervento del Card. Zen ci aiuta a comprendere quanto sia ancora difficile il cammino della Chiesa in Cina e quanto complessa la missione dei Pastori e del Santo Padre! Siamo, pertanto, tutti chiamati a unirci strettamente a Lui e a pregare intensamente affinché lo Spirito Santo lo sostenga e sostenga le comunità della Chiesa cattolica in Cina, che pur nella sofferenza da lungo tempo mostrano la loro fedeltà al Signore, nel cammino della riconciliazione, dell’unità e della missione a servizio del Vangelo.
Augurando ogni bene, cordialmente saluto.
Aff.mo
Card. Re
[8]. B. Cervellera, «La politica religiosa in Cina prima e dopo l’accordo sino-vaticano», in AsiaNews.it, 12 settembre 2019.
[9]. B. Leung, «The Catholic Church in China: One Year After the Sino-Vatican Agreement», 26 novembre 2019, Georgetown University – Berkley Center.
[10]. Occorre notare che si tratta chiaramente di un cambio di rotta rispetto alla politica perseguita tra il 1982 e il 2012.
[11]. Cfr B. Vermander, «Le rêve chinois de religion civile», in Esprit, n. 451, 2019, 171-182.
[12]. Anche se, in questa diocesi, il vescovo non è più in grado di esercitare normalmente il suo ufficio dal luglio 2012.
[13]. È il protagonista della tragedia omonima, scritta da Pierre Coneille nel 1641.
[14]. J. Ortega y Alamino, «Todo es nada, solo Dios», in Palabra Nueva, 23 gennaio 2020.