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Di recente negli Stati Uniti è stato pubblicato un volume dal titolo The Benedict Option, che ha suscitato un grande dibattito[1]. Il nome fa riferimento a san Benedetto da Norcia (480 circa – 547). The New Yorker lo ha definito come «il più discusso e il più importante libro religioso del decennio»[2]. Il volume sostanzialmente tenta di proporre una maniera in cui i fedeli cristiani e le loro comunità possano non soltanto salvaguardare i loro princìpi e le loro tradizioni religiose, ma anche prosperare in una società molto secolarizzata. Vale dunque la pena soffermarsi su questo libro per valutarne i contenuti.
L’autore del volume è Ray Oliver «Rod» Dreher, scrittore statunitense cinquantenne, giornalista della rivista The American Conservative e collaboratore di riviste e quotidiani quali la National Review e The Wall Street Journal. Dreher, con «l’opzione Benedetto», sembra suggerire che i cristiani, all’interno di comunità «locali» e «piccole», dovrebbero prepararsi a vivere in una società postcristiana, operando come una «polis parallela», in grado di «esercitare le virtù» come forza «contro-culturale» all’interno di un mondo che respinge nettamente il cristianesimo.
L’autore ha il merito di trattare il problema della vita cristiana di fronte alla sfida della secolarizzazione crescente. È lodevole anche il suo intento di immaginare nel mondo attuale una vita cristiana non individualistica, ma comunitaria. Altrettanto encomiabile è il suo desiderio di dare una testimonianza cristiana. L’«opzione» di Dreher è una sorta di ri-adattamento della regola e del carisma di san Benedetto ai nostri tempi.
Ispirandosi a Dopo la virtù (1981) di Alasdair MacIntyre, Dreher fonda l’«opzione Benedetto» su una narrazione che interpreta la storia del passato e il nostro tempo presente. Vengono messi in parallelo i «secoli oscuri» successivi alla caduta dell’Impero romano e la nostra presunta era postcristiana. Secondo Dreher, nel fondare il suo Ordine monastico san Benedetto «rispondeva» al «crollo della civiltà romana». Quella risposta consisteva nella ri–creazione di piccole comunità di uomini virtuosi, in cui la civiltà sarebbe stata conservata per prosperare in epoche successive[3].
In questo senso l’autore sostiene, con una certa finezza stilistica, che i cristiani in Occidente dovrebbero «separarsi» dall’«ordine ufficiale», senza però allontanarsi completamente dalla società. Non si tratta di costruire una «comunità chiusa». Dreher insiste piuttosto sulla costruzione di «pratiche comuni» e di «istituzioni» che siano in grado di «rovesciare» l’«isolamento» vissuto dalle comunità di fedeli cristiani oggi[4].
Anche se l’«opzione Benedetto» potrebbe essere accettabile all’interno della società americana contemporanea, essa certo sembra essere basata su una narrazione del carisma benedettino molto semplificata e discutibile. Secondo Dreher, «l’opzione politica Benedetto parte dal riconoscere che la società occidentale è post-cristiana»[5]. E fonda questa opzione nel nostro tempo, non soltanto interpretando le società occidentali contemporanee come inizio di un’«oscura era post-cristiana», ma affermando altresì che la regola di san Benedetto è una risposta al paganesimo[6].
Il rischio del «piccolo gruppo»
Tuttavia va anche detto che il padre del monachesimo occidentale, nonostante gli elementi originali della sua regola, si è inserito in una tradizione preesistente. Il monachesimo cenobitico apparve e fiorì non principalmente come una «risposta» alla caduta dell’Impero romano nell’oscura età barbarica, ma durante l’epoca imperiale cristiana, subito dopo la fine della persecuzione della Chiesa primitiva.
Di fatto, come già prima di lui Pacomio e Basilio, san Benedetto per lo più non agiva in modo reattivo, in risposta ai pagani incolti che stavano distruggendo l’Impero[7], ma in continuità con la cosiddetta «tradizione del martirio bianco». I monaci cenobiti ricercavano un modo per offrire a Dio la loro vita, in un contesto storico posteriore e diverso rispetto a quello della primitiva Chiesa dei martiri.
I sostenitori dell’«opzione Benedetto», come già descritto, tendono a scorgere un’analogia tra i secoli oscuri successivi all’epoca romana e la nostra società. È difficile restare indifferenti al tono «apocalittico» con il quale Dreher espone la sua tesi. I «secoli oscuri» del nostro tempo, l’inevitabilità del diventare «più poveri» e «più emarginati», la necessità di imparare dagli oppositori della tirannide comunista in Cecoslovacchia, l’impiego di termini come «politiche antipolitiche» oppure «polis parallela», la previsione di perdere «carriere» a causa di sottili «persecuzioni», la sottolineatura dei danni della tecnologia, di internet e della pratica sessuale libertina… tutte queste affermazioni vengono fatte all’interno della narrazione di una Chiesa perseguitata, in analogia a quanto è accaduto ai primi martiri.
Se è vero che i cristiani contemporanei possono imparare dalla regola benedettina e adattarla ai tempi attuali, è anche vero che esaltare la realtà della persecuzione potrebbe comportare un rischio: quello di percepire il proprio «piccolo gruppo» come la Chiesa vera e migliore delle altre. In definitiva, questo è il rischio dell’arroganza, connesso a un peccato ecclesiale contro l’unità e la comunione.
La tentazione donatista e la reazione di Agostino
Era esattamente questa la tentazione dell’eresia donatista. Il «donatismo» fu un movimento religioso sorto in Africa, nel 311, dalle idee del vescovo di Numidia Donato di Case Nere. Esso nacque proprio in un’epoca di persecuzioni. Donato muoveva una dura critica nei confronti di quei vescovi che non avevano resistito alle persecuzioni di Diocleziano e che avevano consegnato ai magistrati romani i Libri sacri. Secondo i seguaci di Donato i sacramenti amministrati da questi vescovi non sarebbero stati validi. Questa posizione presupponeva, dunque, che i sacramenti non avessero efficacia di per sé, ma che la loro validità dipendesse dalla dignità di chi li amministrava.
Come ha notato il teologo Yves Congar, i donatisti esaltavano l’atto del martirio, tendevano alla rigidità e alla purezza morale, e manifestavano una forte ostilità verso le autorità e le istituzioni secolari[8]. Per i donatisti, la persecuzione della Chiesa è stata un criterio importante per corroborare la propria appartenenza alla vera Chiesa di Cristo. Essi infatti erano orgogliosi di essere perseguitati e si sentivano legati alla Chiesa dei martiri. Va aggiunto che questo sentimento era del tutto giustificato dalla violenta opposizione che le autorità imperiali avevano scatenato contro di loro[9].
Sant’Agostino si oppose alla loro teologia sacramentale, citando Cipriano – il grande martire elogiato dagli scismatici –, al fine di dimostrare che il martirio e, in generale, la persecuzione sono fruttuosi soltanto quando richiesti dalla grazia e vissuti in unione con la Chiesa. Secondo il vescovo di Ippona, unità, carità e umiltà sono intrinsecamente legate tra loro. Pertanto, chi è scismatico cade in un peccato ecclesiale, rompendo l’unità (e, di conseguenza, la carità e l’umiltà)[10]. Per Agostino, il grande peccato degli scismatici sarebbe quello dell’orgoglio o dell’arroganza: il credere che uno sia giusto in contrapposizione a tutti gli altri, distruggendo in questo modo la comunione.
Da una parte, Agostino propone una teologia più articolata e coesa di quella dei donatisti, mostrando loro che le sole persecuzioni potrebbero non attestare la loro fedeltà alla Chiesa di Cristo: per cercare l’unità sono indispensabili la carità e l’umiltà. D’altra parte, egli sembra trovare un modo coerente per lodare il martirio della Chiesa primitiva, riuscendo al tempo stesso ad adattare le pratiche e le tradizioni della Chiesa alla nuova epoca storica.
Al termine di questa controversia, la Chiesa scelse di reintegrare, dopo alcune penitenze, i traditores piuttosto che cacciarli via[11].
Quando la rigidità è a costo dell’unità e della pace
Senza, ovviamente, cadere nell’eresia, in Dreher si colgono gli echi della voce di Donato: «Se le Chiese di oggi vogliono sopravvivere alla nuova età oscura, devono smettere di “essere normali”. Avremo bisogno di impegnarci più profondamente nella nostra fede, e avremo bisogno di farlo in modi che appaiono strani agli occhi contemporanei. Se riscopriamo il passato, se recuperiamo il culto liturgico e l’ascetismo, se incentriamo la nostra vita sulla comunità ecclesiale e se rafforziamo la disciplina della Chiesa, riusciremo, con la grazia di Dio, a ritornare quel popolo speciale che avremmo sempre dovuto essere. Questo concentrarsi sulla formazione cristiana darà come frutto non soltanto cristiani più forti, ma anche una nuova evangelizzazione, perché il sale riacquisterà il suo sapore»[12].
Nella loro volontà di identificarsi con la Chiesa primitiva dei martiri perseguitati, i donatisti non accettavano un modo diverso di vivere e praticare la fede. Anche nel nuovo contesto storico, in cui la persecuzione era terminata, sentivano che il loro essere perseguitati dava conferma del loro essere i veri e buoni cristiani. Così facendo, quei cristiani scismatici costituirono un piccolo partito di «gente pura». Contrapponendo integer a profanus come la principale differenza tra chi apparteneva e chi non apparteneva alla Chiesa, i donatisti tendevano ad ammettere soltanto membri irreprensibili.
La ferma risposta di Agostino
Alla loro rigidità e all’enfasi sull’ascetismo Agostino diede alcune risposte che può essere molto utile rileggere oggi. Il vescovo di Ippona fa due distinzioni, che i donatisti non erano in grado di fare. In primo luogo, distingue tra la Chiesa storica presente e quella futura escatologica. La Chiesa pura, costituita soltanto da uomini irreprensibili, si avvera alla fine dei tempi nell’ecclesia qualis futura est. Adesso, nell’epoca presente, Dio è paziente e permette a diversi tipi di uomini e donne di partecipare all’ecclesia talis nunc est. La Chiesa presente è pro mixta societas, ovvero una società frammista di persone buone e cattive. Una Chiesa è formata da credenti migliori e peggiori (o non tanto virtuosi)[13].
Mentre l’«opzione Benedetto» di Dreher vuole costruire comunità in cui la disciplina è «rafforzata», al fine di assicurare un cristianesimo che si presume più vero e più sano, gli scritti di Agostino indirizzati ai donatisti sottolineano altri aspetti, come, per esempio, la pazienza verso i peccatori, anche in considerazione del valore del mantenimento della comunione.
Agostino nota l’arroganza di coloro che vogliono separare i buoni dai cattivi, il «giusto» dall’«ingiusto» prima del tempo opportuno. In questo contesto chiede «umiltà», «pazienza» e «tolleranza». L’umiltà appare una virtù cristiana fondamentale, senza la quale all’interno del corpo mistico di Cristo non sono possibili l’unità e la comunione. Il vescovo di Ippona si basa in larga misura sull’autorità di Cipriano, e mostra come questo martire abbia tentato di accogliere opinioni diverse al fine di mantenere l’unità della Chiesa[14].
L’«opzione Benedetto» non implica automaticamente l’arroganza che Agostino percepiva nell’atteggiamento dei donatisti. Tuttavia l’appello a un «rafforzamento della disciplina nella Chiesa» riecheggia la rigidità morale donatista. Inoltre, la volontà di costruire piccole comunità di «cristiani forti» potrebbe cancellare l’importanza di virtù cristiane quali l’umiltà, la pazienza e la tolleranza – che risaltano negli scritti di Agostino –, compromettendo la comunione tra i credenti e la formazione di relazioni di pace nel mondo.
L’enfasi sulla «purezza» e l’ostilità verso le istituzioni secolari
Un’ulteriore caratteristica dell’atteggiamento donatista che molto colpì il teologo domenicano Yves Congar verte sull’ostilità nei confronti delle istituzioni secolari. I donatisti tendevano a rifiutarsi di collaborare con le autorità dell’Impero, che per loro rappresentavano dei poteri pagani. Nella loro prospettiva teologica, la purezza di una pratica cristiana implicava il rifiuto di partecipare, collaborare o impegnarsi con i pagani nelle loro istituzioni non cristiane.
In questo senso, i donatisti erano effettivamente una «polis parallela». Al contrario, i cattolici come Agostino rimasero legati ad alcune istituzioni imperiali e si sentirono costretti a considerare i donatisti dei cristiani scismatici.
Questo accento sulla purezza, quale precauzione contro ogni contaminazione da qualsiasi elemento esterno all’ambiente cristiano, è connesso con l’interpretazione che i donatisti davano del concetto teologico di «cattolicità». Secondo loro, «cattolico» indicava perfezione e pienezza sacramentale. In questo senso, i donatisti ritenevano che il vero cattolicesimo fosse limitato alla loro Chiesa locale e piccola, nel Nord Africa.
Seguendo la teologia di Ottato, Agostino proponeva un’altra interpretazione di «cattolicità», mettendo in evidenza l’universalità come unità di tutta la Chiesa in quanto corpo mistico di Cristo[15]. Egli insisteva sul fatto che le Chiese locali sparse in tutto il mondo dovrebbero essere in comunione, al fine di realizzare le profezie bibliche in merito all’efficacia dell’annuncio della risurrezione di Cristo[16].
Tutto sommato, l’argomentazione di Agostino cercava di dimostrare che i donatisti, quand’anche fossero stati più virtuosi di tutti gli altri fedeli cristiani, non avrebbero mai potuto avere l’esclusiva della vera Chiesa. Egli voleva far capire che isolarsi da altri cristiani e dalla società in generale non era un segnale positivo.
Sebbene Dreher non auspichi l’isolamento delle comunità cristiane, la sua «opzione Benedetto» esige «separazione» dai poteri politici e dalle istituzioni secolari, al punto di sviluppare il più possibile la vita all’interno di istituzioni cristiane, in cui gli imprenditori cristiani assumano in prevalenza lavoratori appartenenti alle proprie Chiese[17]. Inoltre, l’accento posto sugli aspetti negativi della tecnologia e di internet può essere inteso come un monito a non essere contaminati dalla cultura pagana. Quindi, questa opzione potrebbe «chiudere» le comunità cristiane.
In tal senso, per Dreher, il principio della difesa della libertà religiosa serve a stabilire la possibilità di esistere e di agire per istituzioni conformi all’«opzione Benedetto». Dreher non si mostra interessato a instaurare un vero dialogo con chi ha un retroterra culturale e religioso diverso e segue stili di vita differenti. Risulta difficile finanche immaginare una possibilità di collaborazione con persone di opzioni diverse.
Di conseguenza, sull’«opzione Benedetto» grava uno sguardo pessimista nei confronti della società contemporanea. Sebbene sia essenziale l’affermazione della libertà religiosa, se si vuole che i cristiani possano praticare la loro fede, Dreher non sembra interessato a mostrare l’importanza del dialogo vero, che scaturisce da quella dignità umana da cui derivano tutte le libertà. Per quanto internet possa essere «la tecnologia più radicale, distruttiva e rivoluzionaria» che un cristiano deve evitare e limitare, soprattutto per quanto riguarda i bambini[18], l’opzione di Dreher non propone un modo di vivere dentro questo nuovo «luogo» e di evangelizzarlo.
Guardando alla controversia donatista, appare chiaro che l’opzione di Agostino, in particolare, e la Chiesa cattolica, in generale, non sono pensate per stabilire distinzioni tra l’essere un buon cittadino e l’essere un buon cristiano. Naturalmente, come cristiani, dobbiamo essere prudenti nel collaborare con le persone e con le istituzioni secolari. Possiamo rifarci alla metafora di Dreher: i cristiani non devono «bruciare incenso a Cesare»[19]. Tuttavia, trovare modi che «non compromettano» le nostre «coscienze» cristiane, nel contesto dell’«opzione Benedetto», rischia di impedire lo sviluppo di sane relazioni con tutti gli uomini di buona volontà e l’impegno sociale insieme ad essi. Una giusta attenzione per le devozioni della religiosità popolare e una propensione a un dialogo aperto al di fuori della Chiesa sembrano giustificare, quantomeno, opzioni diverse da quella di Dreher.
E le ingiustizie sociali?
L’«opzione Benedetto» corre anche il rischio di «stabilire» (o «ri-stabilire») comunità e pratiche cristiane forti a scapito di un’assistenza sociale organizzata. Ovviamente, le pratiche e le istituzioni cristiane non vanno ridotte ad attività sociali in stile «Ong». Tuttavia, ciò non significa che le pratiche e le istituzioni cristiane possano restare indifferenti verso i poveri e i più emarginati nella società occidentale e, anzi, in tutto il mondo.
Secondo Yves Congar, i donatisti non si preoccupavano molto delle ingiustizie sociali[20]. Il libro di Dreher sembra trovare il modo di salvaguardare, animare e attivare pratiche cristiane, ma non è facile scorgere come tali pratiche possano tener conto dell’«opzione preferenziale per i poveri».
Nel contesto della crescente globalizzazione, i fedeli cristiani potrebbero optare per l’ampliamento delle loro relazioni con altre comunità, anche al di fuori delle loro Chiese, al fine di accrescere le sinergie per la costruzione della pace e della giustizia. Questo potrebbe anche essere un modo per vivere, praticare e testimoniare le virtù cristiane e la vera fede.
L’importanza dell’umiltà e della misericordia
Dreher afferma che «l’opzione Benedetto in ultima analisi deve essere una questione di amore»[21]. Nessuno che si riconosca nella tradizione cristiana potrebbe dissentire su questa affermazione. E tuttavia l’«opzione Benedetto» non è immune dai rischi ricorrenti che sono insiti nella rigidezza morale e nelle forze controculturali. Il rischio principale di tali atteggiamenti riguarda la mancanza di comunione, di unità e di pace all’interno della Chiesa e con la società in cui viviamo.
Per papa Francesco, la misericordia è «il messaggio di Gesù», «è il messaggio più forte del Signore»[22]. Se Agostino ha disapprovato la rigidità che i donatisti adottavano a scapito dell’unità della Chiesa, anche oggi papa Francesco si adopera per introdurre pratiche più misericordiose verso le ferite e le difficoltà che gli uomini e le donne contemporanei sperimentano. Questo atteggiamento spirituale non può essere ridotto a una strategia politica: ha un fondamento biblico e teologico.
Rispondendo a Pietro che gli domanda quante volte il discepolo debba perdonare, Gesù dice: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22). Dopo aver detto questo, Gesù racconta la parabola del «servo spietato», il quale, pur avendo ricevuto il perdono del suo padrone, è incapace di perdonare il proprio prossimo. Alla fine, egli viene condannato dal suo padrone (cfr Mt 18,23-35).
Per il Papa, «la parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli»[23]. Forse, nell’impegno per ristabilire «piccole» comunità nelle quali i membri siano cristiani «forti» e agiscano come una sorta di «società parallela», i credenti potrebbero discostarsi da tale criterio. Di fronte a Dio e al mondo intero, i cristiani devono essere credibili nel testimoniare la natura misericordiosa di Dio, rendendone possibile l’esperienza all’interno di istituzioni cristiane.
Non c’è alcun dubbio che quella del secolarismo sia una grande sfida per le comunità cristiane. Papa Francesco sta rispondendo alla secolarizzazione del mondo attuale con un atteggiamento umile, con un dialogo seguìto da gesti di bontà e di maggiore comprensione verso tutti: un’«opzione» veramente evangelica per i cristiani di oggi.
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[1]. R. Dreher, The Benedict Option. A Strategy for Christians in a Post-Christian Nation, New York, Sentinel, 2017.
[2]. J. Rothman, «Rod Dreher’s monastic vision», in The New Yorker (www.newyorker.com/magazine/2017/05/01/rod-drehers-monastic-vision), 1° maggio 2017.
[3]. Cfr R. Dreher, The Benedict Option…, cit., 2-4; 16-18.
[4]. Cfr ivi, 88-96.
[5]. Ivi, 12 s.
[6]. Si potrebbe dire che l’appello di Alasdair MacIntyre a «un altro san Benedetto, senza dubbio molto diverso» venga formulato nel contesto del contrasto tra due tradizioni morali: quella liberale e quella aristotelica. Mentre cerca di mostrare l’intelligibilità e la possibilità della seconda, egli propone l’esempio di san Benedetto. In questo senso, la prospettiva di MacIntyre presume che vi siano uomini e comunità non cristiane virtuose. Inoltre, egli è consapevole dei pericoli insiti nel parallelismo tra la nostra epoca e la caduta dell’Impero romano. Infatti, riconosce anche che il parallelismo tra la buia età pagana successiva alla caduta dell’Impero romano e la nostra società occidentale contemporanea tende a essere troppo riduttivo: «È sempre rischioso tracciare paralleli troppo precisi fra un periodo storico e un altro, e fra i più fuorvianti di tali paralleli vi sono quelli che sono stati tracciati fra la nostra epoca in Europa e nel Nordamerica e l’epoca in cui l’Impero romano declinava verso i secoli oscuri» (A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Roma, Armando, 2007, 314).
[7]. Cfr M. Dunn, The Emergence of Monasticism. From the Desert Fathers to the Early Middle Ages, Oxford, Blackwell, 2003.
[8]. Cfr Y. Congar, «Introduction générale aux traités anti-donatistes de Saint Augustin», in Œuvres de Saint Augustin. Traités anti-donatistes. Vol. I, Paris, Desclée de Brouwer, 1963, 29 s.
[9]. Cfr ivi, 17; 45.
[10]. Cfr Agostino, s., Sul battesimo contro i Donatisti, l. II, 4-6.
[11]. Ciò conferma la visione che papa Francesco ha della storia della Chiesa: «Due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione» (Amoris laetitia [AL], n. 296). Sulla controversia con i donatisti, cfr anche J. L. Narvaja, «Sant’Agostino a proposito della tradizione e dello sviluppo del dogma», in Civ. Catt. 2017 I 390-400.
[12]. R. Dreher, The Benedict Option…, cit., 101 s.
[13]. Cfr Y. Congar, «Introduction générale aux traités anti-donatistes de Saint Augustin», cit., 62-64; 95 s.
[14]. Cfr Agostino, s., Sul battesimo contro i Donatisti, l. IV, 12-13; l. VI, 2; 7; 35.
[15]. Cfr Y. Congar, «Introduction générale aux traités anti-donatistes de Saint Augustin», cit., 77 s.
[16]. Cfr Agostino, s., Sul battesimo contro i Donatisti, l. I, 4.
[17]. Cfr R. Dreher, The Benedict Option…, cit., 176-194.
[18]. Cfr ivi, 218-236.
[19]. Ivi, 179 s.
[20]. Cfr Y. Congar, «Introduction générale aux traités anti-donatistes de Saint Augustin», cit., 35.
[21]. R. Dreher, The Benedict Option…, cit., 237.
[22]. Francesco, Il nome di Dio è misericordia, Milano, Piemme, 2016.
[23]. Id., Misericordiae Vultus. Bolla d’indizione del Giubileo della misericordia, 11 aprile 2015, n. 9.
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WHAT IS A CHRISTIAN’S TASK IN TODAY’S SOCIETY? «The Benedict Option» and the donatist heresy
The recent publication of a book entitled The Benedict Option in the United States has sparked off much debate. The book’s theme is St. Benedict of Norcia and intends to illustrate a strategy for Christians in a «post-Christian» period. The article aims to contribute to this debate, and in particular, points out that this «option» involves the risk of an exclusive concentration on moral rigidity, doctrinal purity and the reconstitution of a parallel society, rather than on the construction of unity and communion within the Church and with all men of good will.