
«La piscina si trova nelle profondità della terra, in una vasta sala cavernosa molti metri sotto le strade della nostra città». Così inizia l’ultimo romanzo, Nuoto libero[1] (The swimmers. A Novel, 2022) di Julie Otsuka, scrittrice statunitense di origini giapponesi. Alla sua terza prova, dopo Quando l’imperatore era un dio[2] (When the Emperor was Divine, 2002) e Venivamo tutte per mare[3] (The Buddha in the Attic, 2011), con il quale nel 2012 ha vinto il PEN/Faulkner Award per la narrativa, con questo ultimo romanzo racconta il decorso della progressiva perdita di memoria della madre, recuperando il racconto già pubblicato Diem perdidi.
Il tema della malattia che implica la perdita progressiva della memoria è stato affrontato anche da altri autori. Ricordiamo due scrittrici, entrambe Premi Nobel: Alice Munro, vincitrice nel 2013, e Annie Ernaux, vincitrice nel 2022. L’autrice canadese ha dedicato alle conseguenze della perdita della memoria il racconto «The Bear Came Over the Mountain»[4]. Nell’arco di una cinquantina di pagine Munro racconta la storia di due coniugi, Fiona e Grant, che vengono momentaneamente separati, per un periodo di ospedalizzazione di prova della moglie, e si rincontrano dopo un mese. Munro trasforma la malattia in una straordinaria occasione di narrazione, ricca di mezzi toni, sfumature, domande aperte, ambiguità, reticenze, mentre, pagina dopo pagina, emerge la storia della relazione tra i due coniugi, svelando gli innumerevoli strati di cui si compone una vita trascorsa insieme. Quanto è vero? Quanto è consapevole? Quanto è scelto, voluto o subìto?
La perdita della memoria per Alzheimer è raccontata anche da Ernaux nel libro Una donna[5], che la scrittrice francese dedica alla vita della madre. Ernaux racconta una situazione simile a quella di Otsuka con uno stile più tradizionale, raccogliendo, in una decina di pagine misuratissime, eventi ed emozioni dei lunghi mesi di decadimento fisico e mentale della madre. Il percorso «clinico» è analogo: le dimenticanze, gli sbalzi di umore, il ricovero, i silenzi e i momenti di intimità. «Ha detto “mi piace quando mi pettini”. Da allora ho preso a farlo tutte le volte»[6]. E infine il rimpianto, la consapevolezza della fine di un mondo. Così Ernaux conclude il suo romanzo memoir: «Non ascolterò più la sua voce. Era lei, le sue parole, le sue mani, i suoi gesti, la sua maniera di ridere e camminare, a unire la donna che sono alla bambina che
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