Il libro Dalla ragione allo spirito. La dinamica affettiva del conoscere umano di Paul Gilbert, per molti anni professore di metafisica in diverse Università, è degno di nota[1]. Il percorso speculativo dell’autore ha sempre cercato di mettere in dialogo il patrimonio della tradizione storica con le sfide della modernità, che ha più volte posto in discussione la legittimità di un tale sapere in ordine alla rilevazione dei massimi problemi dell’essere[2].
Questo libro riprende l’ultimo corso di metafisica svolto all’Università Gregoriana ed è un viaggio avvincente alla scoperta delle caratteristiche peculiari dell’essere umano che si interroga sulla verità delle cose, dando voce alle sue facoltà speculative e alla dimensione pratica, e in particolare, come recita il sottotitolo, al ruolo degli affetti in ordine alla conoscenza.
La metafisica è animata dal desiderio di conoscere l’essere nella sua totalità, più che le singole cose che lo manifestano (enti) e, per presentarlo in modo rispettoso della sua complessità, l’autore riprende la triade, resa celebre da Paul Ricœur, di «avere», «potere» e «valere», che il filosofo francese interpreta come conoscenza, pratica e creatività artistica. A esse corrispondono le facoltà conoscitive della ragione, dell’intelletto e degli affetti, che, prese in ordine ascendente, rivelano la peculiarità dell’essere umano, che non si riduce al possesso (ragione) ma sa scendere nelle profondità delle cose (potere), mostrandosi nella sua capacità di trascenderle come spirito (valere). Nello stesso tempo, nessuna di queste facoltà può considerarsi separata dalle altre e racchiude, come una cipolla, una varietà enorme di problematiche e prospettive differenti[3].
Avere
È la situazione di base di ogni ente per continuare a vivere, e speculativamente è il campo proprio della ragione, intesa come «un modo di possedere il mondo, di togliergli i suoi misteri e le sue minacce per appropriarsi tranquillamente di esso. L’espressione “avere ragione” non significherebbe una simile pretesa?» (25).
L’approccio della ragione alla realtà non è tuttavia asettico e distaccato; la stessa ricerca scientifica, per quanto si voglia oggettiva, è sempre opera di un soggetto che ha interessi selettivi che influenzano il campo di osservazione. Egli si appassiona se può trovarne una spiegazione e si inquieta quando la sua ipotesi non trova riscontri. La stessa parola «oggettivo» dice della relazione a un soggetto (ob-iectum): le cose possono essere rilevate e nominate in quanto date a me, che ne considero un aspetto, mai esaustivo. Non c’è conoscenza senza un punto di vista dell’osservatore. Ripercorrendo la storia della
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