«Iraqi Freedom»
Quest’anno ricorre il 20° anniversario dell’inizio della guerra e dell’occupazione dell’Iraq da parte di una nutrita coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. L’obiettivo allora dichiarato era rovesciare Saddam Hussein, al potere dal 1979, accusato di nascondere armi di distruzione di massa e di proteggere e finanziare gruppi terroristici, in particolare al-Qaeda[1]. L’operazione, denominata Iraqi Freedom, rientrava nella cosiddetta «guerra globale al terrorismo» ingaggiata dagli Usa e che già nel 2001 aveva portato alla rapida invasione dell’Afghanistan e successivamente, nel marzo del 2003, a quella dell’Iraq. Due guerre parallele, animate dallo spirito di vendetta (per la violazione del territorio statunitense da parte di al-Qaeda e per le migliaia di cittadini uccisi) e nello stesso tempo dal desiderio di portare la democrazia di stampo occidentale in Medio Oriente. Esse, nonostante la straordinaria rapidità delle operazioni (che misero in campo una potenza di fuoco mai vista prima), in realtà durarono molti anni – la prima 20 e la seconda 9 – e risultarono disastrose sia per il bilancio degli Usa sia per il numero di vittime, tra militari e civili. È stato detto che in entrambe le situazioni, mentre i militari e il Pentagono «fecero in fretta il loro lavoro, i politici non seppero vincere la pace»[2].
Nel momento in cui Saddam venne deposto dall’esercito della coalizione e il partito Baath marginalizzato, fu naturale per gli sciiti in cerca di rivalsa guardare non tanto alle élite secolari su cui in parte puntavano i nuovi conquistatori – uomini come Ahmad Chalabi[3] e Iyad Allawi –, quanto piuttosto a esponenti del mondo religioso come l’ayatollah Ali al-Sistani[4], ai chierici del Consiglio supremo per la rivoluzione in Iraq e a personalità come Muqtada al-Sadr. La caduta del dittatore costituiva un’opportunità unica, per la comunità sciita irachena, per conquistare una posizione di forza che da decenni le era negata, ma che al tempo stesso avrebbe aperto la porta a «un buio scenario di lotte fratricide che per alcuni versi ricalcava quanto era accaduto in Pakistan nel decennio precedente»[5].
I fatti prima dell’invasione
I fatti che precedettero l’invasione sono ormai noti e fanno parte della storia. Innanzitutto il discorso del presidente George W. Bush, che davanti al popolo americano propose, nel suo messaggio sullo stato dell’Unione 2003, un rapido e breve intervento radicale in Iraq per scongiurare una crescente minaccia per gli Usa in una delle
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