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Tra i moltissimi affreschi della Cappella Sistina, uno riguarda il libro di Ester. Michelangelo lo dipinge nel pennacchio all’angolo tra la parete sud e quella centrale dell’altare con il Giudizio universale[1]. La vicinanza non è solo materiale, ma anche tematica: vi è infatti raffigurato il nucleo del libro di Ester con il giudizio di Aman e la sua crocifissione. Ciò che risalta del pennacchio – ma si potrebbe dire della genialità di Michelangelo – è l’originalità: l’affresco rappresenta un unicum nella Cappella Sistina e segna l’apice della maestria del pittore. Scrive uno storico: «Mai, in tutta la storia dell’arte, un libro intero della Sacra Scrittura è stato riassunto così bene in un unico affresco come in questo dipinto di Michelangelo che mostra, in tal modo, tutta la capacità di sintesi dell’arte figurativa, capacità insostituibile»[2].
La «Punizione di Aman»
Per comprendere l’affresco va tenuto presente che le scene dipinte nei quattro pennacchi della Cappella illustrano eventi di salvezza. Speculare a quello di Aman si trova quello che raffigura il serpente di bronzo, innalzato nel deserto, che salva gli ebrei morsi dai serpenti velenosi. Tra i due pennacchi è affrescato il profeta Giona, con il grande pesce e il tradizionale albero di ricino, anche lui segno paradossale di salvezza per i niniviti. I due pennacchi della parete d’ingresso, all’estremità opposta, raffigurano l’uccisione di Golia e quella di Oloferne: altre scene di salvezza, rappresentate spesso nel Rinascimento[3]. I quattro pennacchi raffigurano dunque «quattro interventi di Dio per la salvezza del suo popolo, e […] sottintendono il suo intervento per eccellenza, la salvezza operata attraverso Cristo»[4]. Inoltre si collegano direttamente all’altare centrale, dove viene celebrato il sacrificio di Cristo sulla croce.
Mai, in tutta la storia dell’arte, un libro intero della Sacra Scrittura è stato riassunto così bene in un unico affresco.
Tuttavia la salvezza raffigurata nella punizione di Aman emerge sugli altri affreschi per la crocifissione che rappresenta. Al centro si ha una parete divisoria, con una porta, che crea due ambiti spaziali molto diversi: un ambiente interno a destra e una veduta esterna a sinistra. Nella stanza si vede il re, Assuero, nel suo letto. Quella notte il sovrano soffre d’insonnia, perciò si fa leggere gli annali di corte con la storia del regno. In una pagina si racconta un tentativo di congiura da parte di due eunuchi contro la vita del re; l’intrigo viene scoperto e denunciato da Mardocheo. Il re allora chiede come sia stato ricompensato Mardocheo: non risulta che sia stato fatto nulla.
In quel momento giunge Aman, il primo ministro del re, per una richiesta personale: aveva già ottenuto lo sterminio del popolo giudaico, ma voleva chiedergli anche l’impiccagione di Mardocheo, il giudeo che, quando egli entrava nella reggia, non lo onorava come tutti con l’atto di prostrazione. Qualcuno dei suoi amici glielo aveva fatto notare. L’irritazione del cortigiano è tale che, alle prime luci dell’alba, si presenta dal sovrano per chiedergli quell’immediata impiccagione; aveva già costruito una forca altissima di 50 cubiti[5]. Ma non fa in tempo ad aprir bocca che il re lo incarica di onorare proprio Mardocheo per avergli salvato la vita. Il ministro, con il vestito giallo, sta attraversando la porta per chiamare Mardocheo seduto sui gradini esterni: lo deve guidare in città per onorarlo solennemente.
A sinistra del pennacchio, si ha un minimale banchetto di Ester, una giovane giudea in esilio che aveva ottenuto il favore di Assuero, tanto da diventarne sposa e regina, come si vede dalla corona sul capo. A rischio della propria vita – poiché era proibito presentarsi al re senza essere convocati –, Ester si reca da lui e intercede per il suo popolo, facendogli presente che lo sterminio dei giudei avrebbe comportato anche la propria morte. «Chi è che vuole questo?», chiede il sovrano. La risposta è immediata: «Un nemico, Aman, è quel malvagio» (Est 7,6) che è al banchetto con Ester e con il re, e che nel dipinto si schermisce e sembra voler fuggire.
Allora il re ordina di punire Aman e di giustiziarlo sulla forca che egli stesso aveva fatto preparare. Al centro dell’affresco si ha la Punizione, che colpisce per la vivacità della composizione, evidente nella figura nuda del ministro crocifisso a un albero, in un arditissimo scorcio. Il Vasari, contemporaneo di Michelangelo, giudicò «questo personaggio il più suggestivo di tutta la volta, definendolo “figura certamente fra le più difficili e belle, bellissima e difficilissima”»[6].
Nell’affresco di Michelangelo, Aman non viene impiccato, come è detto nel libro (cfr Est 7,9), ma inchiodato a un albero, o meglio crocifisso di traverso, in modo da creare un’angolazione estremamente efficace da un punto di vista pittorico: «Lo stupefacente scorcio della crocifissione sembra attraversare lo spazio come un lampo, in una specie di fuga disperata, in contrasto con il dato iconografico della sua affissione al palo. Lo scorcio è ripreso ed esaltato da quello del tramezzo»[7]. Una posa singolare, forse ispirata dalla ristrettezza dello spazio, ma più probabilmente dalla meditazione del passo biblico.
Come mai Michelangelo ha pensato di rappresentare Aman crocifisso? Uno storico, pur sottolineando che la scena del pennacchio illustra l’opera di salvezza di Dio per il suo popolo, afferma: «Michelangelo modificò la vicenda originaria dell’esecuzione di Aman quale è narrata nel libro di Ester, rappresentando Aman che muore su una croce anziché impiccato»[8]. Ma si tratta solo di «modificazione», oppure vi è un chiaro intento di comunicare qualcosa d’importante della Bibbia? Prima di Michelangelo – per quel che è dato sapere – nessuno ha rappresentato Aman crocifisso.
La genialità di Michelangelo
Si è già accennato al tema salvifico dei pennacchi. Così è anche per la morte di Aman, da cui deriva la salvezza del popolo ebraico. Si tratta appunto dell’assunto fondamentale del libro di Ester: è quanto ha colto la genialità di Michelangelo. È noto che la realizzazione dell’affresco ha coinvolto l’artista più di altre vicende, e gli storici ne sottolineano la laboriosità e l’impegno[9]. Sappiamo anche che Michelangelo non aveva dimestichezza con il latino, e che le sue conoscenze bibliche si basavano sulle versioni della Scrittura in volgare. Al suo tempo, del resto, se ne davano diverse, proprio negli anni degli affreschi della Sistina[10], ed egli era un appassionato lettore della Bibbia e dei commentatori. Inoltre, «nei suoi anni giovanili, a Firenze, aveva ammirato il grande riformatore religioso, Girolamo Savonarola. Durante quegli anni si era legato, almeno per certi aspetti, agli umanisti e ai filosofi neoplatonici della cerchia dei Medici. Michelangelo amava Dante, ed era egli stesso poeta, e persino poeta geniale»[11]. Ora, proprio Dante, nel Purgatorio, ha una sorta di visione in cui appare Aman, «un crucifisso dispettoso e fero / nella sua vista, e cotal si morìa: / intorno ad esso era il grande Assuero, / Ester sua sposa e ’l giusto Mardoceo, / che fu al dire ed al far così intero»[12]. Non è certo tuttavia che l’artista si sia ispirato a Dante. In ogni caso rimane il problema: come si spiega che Dante abbia potuto immaginare Aman come crocifisso[13]?
Certo Michelangelo prima di eseguire l’affresco deve essersi informato accuratamente. Secondo Pfeiffer, potrebbe aver attinto l’idea dalla Concordia di Gioacchino da Fiore, dove si legge: «Aman, per ordine del re, alla fine è stato appeso alla croce che era straordinariamente alta e che egli stesso aveva preparato per Mardocheo»[14]. Nell’affresco quindi il pittore ha dato un’interpretazione della punizione. Tuttavia il punto è un altro: perché lo rappresenta crocifisso?
Nel libro di Ester, la punizione di Aman è la causa di salvezza del popolo; una salvezza che nel Nuovo Testamento è data dalla crocifissione di Gesù. Michelangelo quindi collega i due fatti fino a introdurre in quel testo un’anticipazione della salvezza portata da Cristo, in qualche modo un antitipo. Non a caso nel pennacchio opposto si trova l’innalzamento del serpente di bronzo, che Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni interpreta tipologicamente: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Il fedele che guardava l’altare, alzando lo sguardo al pennacchio di destra, vedeva la prefigurazione della morte salvifica di Gesù in croce, ma si aspettava di vedere sul pennacchio opposto la crocifissione: invece «era colpito da uno sconcertante rovesciamento. L’uomo sulla croce non era il Salvatore, ma l’individuo diabolico dal quale si cerca la salvezza. A prefigurare il sacrificio di sé del Redentore compariva l’esempio più crudele di una giusta vendetta: l’immagine di una crocifissione»[15].
Quando, trent’anni dopo, Michelangelo affrescò il Giudizio universale, rafforzò tale interpretazione dipingendo sotto la Punizione di Aman gli angeli che portano la croce di Cristo e la corona di spine, e sotto il Serpente di bronzo la colonna della flagellazione sostenuta e abbracciata da alcuni uomini, cioè gli strumenti di passione e morte che hanno portato la salvezza[16].
Ecco allora l’interpretazione di Michelangelo del libro di Ester: la punizione del reo diventa segno paradossale di salvezza per il popolo eletto; e la sua condanna si configura come sacramento che annuncia «la vittoria dell’iniziativa di Dio per la redenzione del suo popolo, anzi per la redenzione di tutta l’umanità. […] Una premonizione di quel mistero che si manifesterà nella pienezza dei tempi. È la Pasqua del Signore: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Ed io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,31-32)»[17]. Quindi la crocifissione di Aman sarebbe una prefigurazione di Cristo che muore in croce. «I teologi non tardarono a riconoscere in questo episodio un parallelo con Cristo, notando che entrambe le crocifissioni furono seguite dalla redenzione. L’immagine della salvezza attraverso la croce era perfetta per la parte dell’altare nella Cappella Sistina»[18].
Tuttavia il testo ebraico non autorizza alcuna crocifissione; infatti il giudizio di Assuero è chiaro: «Appendetelo al legno!»[19]. Solo il testo greco dei Settanta parla in un punto di crocifissione: «Sia crocifisso»[20]. Ma in greco il verbo è sinonimo di «appendere», «impiccare»[21]. Va osservato invece che la Vulgata latina traduce lignum (alla lettera, dall’ebraico: «Ecco il legno che lui ha fatto per Mardocheo»), cui segue: «Adpendite eum in eo» (Est 7,9), che si precisa al capitolo seguente: «Ipsum iussi adfigi cruci» (8,7)[22].
Il termine lignum si ritrova nel Nuovo Testamento per indicare la croce di Gesù: «Qui peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum» (1 Pt 2,24), dove è sottintesa la croce, il lignum crucis[23]. Nella liturgia del Venerdì Santo più volte è invocato il lignum crucis, che redime il mondo.
Ma qual è l’intento del libro di Ester?
Il libro di Ester
Il testo narra una vicenda drammatica della storia del popolo giudaico che, disperso nell’Impero persiano a causa della deportazione di Nabucodonosor, deve accettare di vivere confuso con il paganesimo circostante. Deve cioè giostrarsi all’interno di istituzioni che sono oppressive per chiunque: per Vasti, la regina che viene ripudiata dal re perché si rifiuta di presentarsi al suo banchetto solenne – forse vestita della sola corona reale –, dove gli invitati sono boriosi e alticci; per Ester, la giudea divenuta sposa e regina, che ha il coraggio, a rischio della propria vita, di presentarsi ad Assuero senza essere stata convocata e che vuole intercedere per il popolo votato allo sterminio.
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Va notato che il libro dimostra più simpatia per la dignità femminile di Vasti, e per l’onore di Ester, che non per la vuotaggine volubile e imperiosa del re, il cui immenso impero si estende dall’India all’Etiopia (cfr Est 1,1). Mardocheo, cugino e tutore di Ester, scopre una congiura per uccidere il re, la denuncia e salva il sovrano, ma non ottiene alcun riconoscimento. In tale contesto il popolo di Dio non gode di alcun privilegio; al contrario, il potere sembra in origine affidato ad altri, in particolare ad Aman, il primo ministro. Questi si ritiene offeso dal comportamento di Mardocheo, che gli rifiuta la prostrazione; perciò cerca di vendicarsi dell’offesa con una persecuzione contro i giudei, il popolo a cui egli appartiene. Aman ottiene dal sovrano, per decreto, l’autorizzazione a sterminarli tutti nel giorno deciso dalla sorte, il pûr (cfr Est 3,7). Solo al termine della vicenda il potere finirà nelle mani dei fedeli del Signore, Mardocheo ed Ester, che fino a quel punto hanno più l’aspetto di «poveri», di subordinati, che di personaggi influenti. È da notare che questa convivenza è accettata cordialmente, senza resistenze o restrizioni: sia Mardocheo sia Ester svolgono il loro ruolo, il primo per salvare il re dalla congiura, la regina per salvare il suo popolo[24].
In tale prospettiva, non è marginale che i nomi di Mardocheo e di Ester riprendano quelli delle antiche divinità babilonesi, Marduk e Ishtar. Analogamente, la festa di pûrim, di cui il testo fornisce l’eziologia, e con cui si conclude il libro, deriva il nome dall’estrazione delle sorti in uso nell’Impero persiano al termine dell’anno. Siamo dunque di nuovo in questo clima di accettazione piena: i dati della cultura pagana e le memorie più profane dell’umanità circostante vengono accolti e fatti propri, come da chi sa di esserne il destinatario. Nel libro non c’è perciò nemmeno un’ombra di ripugnanza verso i contatti con il patrimonio idolatrico che caratterizzava gli scritti anteriori all’esilio o dei primi secoli dopo l’esilio: forse perché l’Impero persiano non compare mai nel libro vincolato a precise istituzioni religiose, e nemmeno a quel valore riassuntivo che, nell’Oriente biblico, come più tardi nell’Impero romano, è la religione del potere politico.
Un libro apocalittico
Il libro di Ester è stato tramandato in ebraico e in greco. Il testo ebraico, composto forse a metà del II secolo a.C., è entrato nel canone, ma con difficoltà, poiché non vi ricorre mai il nome di Dio[25]. Hanno provveduto a esplicitarlo il testo greco dei Settanta e un’altra recensione (chiamata A), che sono molto più estesi rispetto all’originale: vi si riportano le due preghiere fondamentali del libro, quella di Mardocheo e di Ester (Est ebraico 4,1-17, greco 4,1-30), e la loro fede nell’Unico che può salvare il popolo.
La versione dei Settanta colloca all’inizio un capitolo, assente in ebraico, con il sogno di Mardocheo: vi si rivela il carattere apocalittico del libro[26]. L’interpretazione in tale chiave è confermata anche dall’ellenizzazione del nome pûrim in greco, phrourai, che non significa «sorte», ma «veglia, vigilanza, sentinella», poiché richiama l’azione di Dio che si manifesta al termine della storia realizzando il suo disegno. Non a caso il testo greco conclude rinviando al sogno iniziale che si è compiuto «per volere di Dio» (Est 10,3a). In tal modo, la strage che termina il racconto è solo una delle molte varianti letterarie dello scontro escatologico tra il popolo di Dio e i pagani coalizzati: uno scontro che termina tradizionalmente con la sconfitta dei pagani. Non un evento storico, dunque, ma ancora una volta – come nel libro di Giuditta, e come negli scritti che hanno una componente apocalittica – uno schema dell’esperienza presente nel suo significato finale. Assuero, Aman, Mardocheo, Vasti, Ester sono puri simboli; lo svolgimento narrativo serve solo a formulare il contenuto e a caratterizzarne i rapporti, secondo una logica che s’impone a tutti attraverso la mediazione dei rappresentanti di Dio nella storia[27].
La festa di «pûrim» e la crocifissione di Aman
Pûrim indica un ribaltamento delle sorti che fonda la festa ebraica, una festa simile al nostro carnevale, con maschere, banchetti e abbondanza di vino. Ma è anche l’idea cardine del libro: il capovolgimento di una situazione in cui il popolo di Dio, che stava per essere sterminato, trionfa a danno di coloro che ne volevano la rovina[28]. Vi sono numerosi esempi nella Bibbia – la storia di Giuseppe in Egitto, di Daniele, di Giobbe –, ma quello più luminoso è proprio la Pasqua, la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e soprattutto la risurrezione del Signore Gesù, con una dimensione universale, poiché la salvezza è per l’umanità intera.
Vi è anche una curiosa coincidenza di date: il giorno estratto a sorte per lo sterminio degli ebrei è il 13 di Adar (cfr Est 3,7. 14), mentre la data in cui gli scribi redassero il decreto di Aman è il 13 di Nisan, il primo mese dell’anno (cfr Est 3,12), il giorno che ricorda l’Esodo (cfr Es 12,1-7) e la celebrazione del memoriale della Pasqua: al tramonto del giorno, iniziava il 14 di Nisan, quando veniva immolato l’agnello pasquale[29]. Il Targum di Ester ricorda che quel giorno era di lutto e di angoscia per gli ebrei, poiché celebrava l’anniversario della morte di Mosè; ma in quello stesso giorno Mosè era anche nato. Vi affiora dunque anche il ricordo del liberatore dalla schiavitù[30].
Nella versione dei Settanta, che è divenuta la Bibbia dei cristiani e che di solito è citata nel Nuovo Testamento, l’impiccagione è interpretata come crocifissione: così «per molti ebrei di lingua greca, e forse anche per altri ebrei, l’esecuzione di Aman era una crocifissione»[31].
Anche Flavio Giuseppe, nelle Antichità Giudaiche, interpreta la punizione di Aman come crocifissione: l’eunuco Sabuchada comunica ad Assuero che nella casa del primo ministro aveva trovato «una croce preparata per Mardocheo. […] Udito questo, il re decise di non infliggergli altro castigo che quello da lui preparato contro Mardocheo, e diede ordine di appenderlo immediatamente a quella stessa croce fino alla morte»[32].
La fama di Aman e di Mardocheo dal libro di Ester si era diffusa per vie diverse già nei primi secoli della storia del cristianesimo, insieme alle usanze ebraiche per festeggiare la punizione del ministro. Michelangelo forse ne ha avuto sentore. Ma la sua genialità è stata quella di aver saputo cogliere il significato teologico del libro di Ester, rappresentandolo nella crocifissione di Aman, come antitipo di Cristo, appunto il ribaltamento di uno sterminio che prefigura la salvezza del popolo. L’attenzione del Buonarroti al testo biblico non può non meravigliare: ne è nato il capolavoro della Punizione di Aman nella Cappella Sistina.
L’importanza del libro di Ester nella storia
Il libro di Ester termina con un’esortazione: «Questi giorni devono essere commemorati e celebrati di generazione in generazione, in ogni famiglia, in ogni provincia, in ogni città. […] Il loro ricordo non dovrà mai cancellarsi» (Est 9,28). La memoria diventa «memoriale», cioè liturgia, che ha origine dalla Sacra Scrittura e realizza ciò che vi è narrato. Come per la Pasqua (cfr Es 12,14), la liturgia rende attuale e presente nella storia la liberazione e la festa: si glorifica Dio che ascolta la preghiera del povero e opera meraviglie, con una particolare cura per l’oppresso, lo schiavo, l’indigente.
Data l’importanza del libro di Ester, Maimonide, nel tardo giudaismo, sostiene che la sua eccellenza è superata solo dalla Torah; inoltre, quando verrà il Messia, tutti i libri profetici e agiografici della Bibbia cadranno in disuso, tranne quello di Ester. Nel tempo messianico non sarà più necessario leggerli, poiché la presenza del Messia li renderà obsoleti, ma si continuerà a leggere il libro di Ester e a celebrare la festa di pûrim[33].
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[1]. Cfr su internet: «Cappella Sistina, la Punizione di Aman». L’affresco è databile tra il 1508 e il 1512.
[2]. H. W. Pfeiffer, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano-Roma, Jaca Book – Libreria Editrice Vaticana, 2010, 122.
[3]. Cfr la Porta del Paradiso, di Ghiberti, nel Battistero di Firenze. Si veda J. O’Malley, «Il mistero della volta. Gli affreschi di Michelangelo alla luce del pensiero teologico del Rinascimento», in La Cappella Sistina. I primi restauri: la scoperta del colore, Novara, De Agostini, 1986, 130-134.
[4]. Ivi, 136.
[5]. Circa 20 metri.
[6]. R. King, Il Papa e il suo pittore. Michelangelo e la nascita avventurosa della Cappella Sistina, Milano, Rizzoli, 2003, 362.
[7]. A. Chastel, «I contemporanei di fronte alla rivelazione della volta», in La Cappella Sistina…, cit., 169.
[8] . J. O’Malley, «Il mistero della volta…», cit., 130.
[9] . Cfr R. King, Il Papa e il suo pittore…, cit., 362; cfr M. Hirst, «I disegni preparatori», in La Cappella Sistina. La volta restaurata: il trionfo del colore, Milano, De Agostini, 1992, 20-25.
[10]. Cfr G. Pani, Paolo, Agostino, Lutero: alle origini del mondo moderno, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2005, 18.
[11]. J. O’Malley, «Il mistero della volta…», cit., 105.
[12]. Dante, Purgatorio XVII,26-28. Va tenuto presente che Dante, pur riferendosi ad Aman, non lo nomina.
[13]. Cfr E. Wind, «La crocifissione di Aman», in J. G. Frazer, La crocifissione di Cristo; seguito da La crocifissione di Aman di E. Wind, Macerata, Quodlibet, 2007, 118. Il Frazer è un grande storico delle religioni.
[14]. H. W. Pfeiffer, La Sistina svelata…, cit., 123.
[15]. E. Wind, «La crocifissione di Aman», cit., 121.
[16]. Cfr ivi, 123.
[17]. P. Stancari, Per una ricerca sull’esercizio del potere. Lettura spirituale del libro di Ester, Rende (CO), R-Accogliere, 2021, 126.
[18]. R. King, Il Papa e il suo pittore…, cit., 362.
[19]. Est 7,9. Cfr B. Ego, Ester, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2017, 320, 334.
[20]. Cfr Ester (testo greco) 7,9, dove ricorre proprio stauroõ; si veda E. Noffke, Ester, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2017, 171.
[21]. Cfr ivi, apparato critico.
[22]. Ma già prima, in Est 5,14, la Vulgata rende: «Iussit excelsam parari crucem»; e poi in 9,25: «Filios [di Aman] affixerunt cruci».
[23]. Cfr anche Gal 3,13 («Maledetto chi pende dal legno»); At 5,30; 10,39; 13,29.
[24]. Mardocheo, nel momento più drammatico, esorta Ester ad assumersi le sue responsabilità, con una singolare ammonizione: «Non pensare di salvarti tu sola, fra tutti i giudei, per il fatto che ti trovi nella reggia. […] Chi sa che tu non sia stata elevata regina proprio per una circostanza come questa?» (Est 4,13-14).
[25]. Viene rilevato espressamente nella Meghillà di Ester: cfr S. Bekhor, Meghillà di Ester, Milano, DLI, 1996, 60.
[26]. Cfr Est G 1,1a-1r. Cfr A. Minissale, Ester, Milano, Paoline, 2012, 64, nota 4.
[27]. In Est 1,16-22 si sottolinea il tema, che viene accettato senza difficoltà o attenuazione, della difesa dell’autorità, per quanto scadente essa sia. Allo stesso fine, si trova in 1,19 il primo accenno a quei decreti «irrevocabili» che hanno tanto peso nella letteratura biblica di ispirazione persiana (cfr 8,8; Dn 6,16).
[28]. Cfr S. Cavalletti, Ruth – Ester, Roma, Paoline, 1968, 36-39.
[29]. Cfr S. Gallazzi, Ester, Roma, Borla, 1987, 74 s.
[30]. Cfr ivi, 76; S. Cavalletti, Ruth – Ester, cit., 38.
[31]. T. C. G. Thornton, «The Crucifixion of Haman and the Scandal of the Cross», in Journal of Theological Studies 37 (1986) 422.
[32]. F. Giuseppe, Antichità Giudaiche, XI, 266 s; nei volumi a cura di L. Moraldi, II, Torino, Utet, 1998, 689.
[33]. Cfr A. Damascelli, «Purim e Passione. Note in margine ai testi di Frazer e di Wind», in J. G. Frazer, La crocifissione di Cristo…, cit., 152 s. Nel contesto è rilevante un’altra osservazione di Maimonide: «Nella storia di Ester, dove Dio sembra completamente assente, [si nasconde] la condizione paradigmatica del popolo ebraico, indicando che sta all’uomo cercare la presenza divina nella storia, anche quando l’oscurità dell’esilio è divenuta più fitta, o quando la disumanità […] rischia di trasfigurare il volto umano» (R. Della Rocca, «La Meghillat Ester: lo svelamento del nascosto», in Hebraica. Miscellanea di studi in onore di Sergio J. Sierra per il suo 75° compleanno, Torino, Istituto di studi ebraici – Scuola rabbinica S. H. Margulies – D. Disegni, 1998, 219).