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«Penso che lo studio della teologia assuma grandissima importanza. Un servizio insostituibile nella vita ecclesiale»1.
Lo scorso decennio di pontificato di papa Francesco ha significato un momento di straordinaria attività e di sfida per la Chiesa. Sia con il rinnovamento interno e con la sinodalità, sia con la spinta all’apertura apostolica verso altre fedi, sia contrastando i conflitti e le sempre più vaste conseguenze della crisi ecologica, il Papa si è preso cura della missione della Chiesa. Il suo stile pastorale e colloquiale semplice ha portato molti – tanto i sostenitori quanto i critici – a considerarlo un «pastore» piuttosto che un filosofo come san Giovanni Paolo II o un teologo come Benedetto XVI. Sebbene sia senz’altro vero che il suo stile è unico, sarebbe un errore sminuirlo e sottovalutare la profondità intellettuale e le intuizioni teologiche che formano il suo insegnamento e le sue azioni. Papa Francesco è il primo Papa non europeo dell’epoca contemporanea e, sotto molti aspetti, ci stiamo ancora adattando alle prospettive e alle esperienze che ne derivano.
Un aspetto poco riconosciuto del suo pontificato riguarda la sua visione della teologia, e il bisogno di rinnovamento che egli avverte affinché essa possa servire efficacemente la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Quanto giovano al servizio della Chiesa l’attuale stato della teologia e le varie scuole e metodologie teologiche che operano al suo interno? Ma non è questione di pluralità: c’è mai stata un’epoca in cui nella Chiesa non ci sia stato pluralismo teologico? Il pluralismo e la diversità non danneggiano la teologia cristiana, ma ne costituiscono un arricchimento. Sebbene sia necessario un attento discernimento, è evidente che una fede viva cresce e si approfondisce a contatto con le culture. Come stiamo imparando dal processo sinodale, la missione è una relazione reciproca: tutte le parti della Chiesa sono missionarie le une verso le altre.
Il problema riguarda piuttosto il luogo in cui la teologia formale oggi si svolge effettivamente, e al servizio di chi. A tal proposito, due ambiti culturali sono l’università e il seminario. Non c’è dubbio che molte facoltà di teologia lavorino a pieno ritmo, tanto nell’università quanto nei seminari, ma al centro della teologia formale sussiste un dilemma. Per metterlo in risalto, a rischio di qualche esagerazione, ci accingiamo a evidenziare che in entrambe le sedi operano due dinamiche piuttosto diverse, eppure ugualmente problematiche.
Nell’università, la teologia rischia di rimanere confinata all’interno delle proprie argomentazioni e dispute accademiche, in una crescente tensione a difendere il proprio posto all’interno della cultura accademica laica, per dimostrare la propria rilevanza intellettuale. Di conseguenza, può smarrire il legame con le proprie fonti e con la realtà della vita della Chiesa. Alla stregua di Narciso, innamorata della propria abilità retorica e concettuale, rischia di andare alla continua ricerca del prestigio e dei riconoscimenti, esitando a sfidare i pregiudizi e le mode del tempo per paura di perdere il proprio posto nella grande parata del mondo accademico, all’interno del quale tutte le università avvertono il dovere di mettersi in competizione per rigenerare il mito del potere e della preminenza sociale.
Nel seminario, non meno condizionato da ideologie ed egemonie culturali, la teologia può finire per sentirsi sotto assedio, e in tal caso erige mura ecclesiali. Cade preda di una sterile introversione, sicché la ricerca si volge alle certezze indiscusse di una scialba catechesi. Questo tipo di «teologia da fortino» può indurre una sensazione di sicurezza, specialmente quando crea una mentalità della Chiesa contra mundum. Non può tuttavia affrontare le complessità di un mondo digitalizzato, globalizzato, segnato dalla post-verità, né le promesse soteriologiche dei mercati e della scienza. Il bastione di un fortino offre l’illusione della sopravvivenza e di una fedeltà immacolata, ma per una fede viva è una strategia povera. Sotto il profilo sociale, rischia di scadere al livello di una curiosità, una sorta di museo del quale i difensori di quella fede diventano meri curatori. Sotto il profilo teologico, rifugiandosi nella convinzione di essere custode della rivelazione di Dio e assumendo l’autorità di un magistero alternativo e più sicuro, si illude di rendere Dio proprio prigioniero. Per queste vie, la meravigliosa libertà della misericordia di Dio, animata dalla grazia, può scadere a proprietà esclusiva di coloro che se ne sono autoeletti padroni.
In entrambi i casi, la teologia finisce per deludere la Chiesa e i suoi membri che cercano il significato della propria fede perché desiderano sviluppare vite e pratiche spirituali che esprimano le «ragioni della speranza». Dunque, che si tratti del teatro dell’università o delle aule dei seminari, c’è bisogno di una teologia che non sia solo scientia ma sapientia, come ha riconosciuto Agostino, e che sia in grado di rendere adeguata giustizia al sensus fidelium. In altre parole, c’è necessità di una teologia intrisa di preghiera, consapevole di trovarsi sempre davanti al mistero inesauribile del Dio Uno e Trino, abbagliata dalla luce di Cristo crocifisso e risorto, e sopraffatta dalla grazia sconfinata dello Spirito Santo. Una simile teologia riconosce la realtà di una Chiesa che, sebbene sia segnata da abusi ed episodi di corruzione, è ancora capace di stupire il mondo con la compassione e l’impegno per gli emarginati e i deboli, ancora in grado di resistere nel proprio servizio anche se i governi lo hanno dimenticato e i media hanno distolto l’attenzione. Tale è una Chiesa in cammino sinodale, che vive nella trascendenza della propria esperienza di perdono e misericordia, di compassione e pentimento. Nella povertà, in comunione con ogni generazione, passata, presente e futura, attinge alla fonte vivificante dei suoi sacramenti. Ogni giorno intraprende la sua metanoia di cuore, mente e spirito; rinnova il suo sguardo sul mondo con l’amore di Cristo e lo rivede attraverso i suoi occhi2. Nel deserto delle istituzioni distrutte e screditate le cui macerie ingombrano la pubblica piazza, tra le rovine della guerra e delle sue memorie mai sanate, delle democrazie precarie e dei regimi autoritari, questa è la Chiesa che il mondo continua a bramare e a sperare che esista.
Identificare la missione della teologia
Nella Costituzione apostolica Veritatis gaudium (VG) e nel Discorso alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, papa Francesco delinea un programma ben più ampio del mero rinnovamento degli studi teologici3. In entrambi i documenti descrive la missione della teologia, riorientandola verso la missione evangelica della Chiesa delineata in Evangelii gaudium; pur attingendo alle fonti dinamiche della tradizione, essa deve guardarsi dal diventare una ristretta impresa solipsistica, per diventare invece una teologia che vive della vitalità generativa della Rivelazione al servizio della Chiesa missionaria4.
Al centro della visione del Papa c’è la realtà di Gesù Cristo, fonte della verità, della redenzione e della speranza dell’umanità. La verità teologica è sempre più della ricerca razionale e coerente sulla conoscenza di Dio e la rivelazione di Dio in Cristo. La tradizione è sempre più delle proposizioni che definiscono e preservano la grammatica e il contenuto della fede della Chiesa. È una comunità di intersoggettività generazionale viva e in evoluzione; una communio cattolica che è radicata nelle culture locali, ma che anche le trascende nella vita della ecclesia. La verità è soprattutto incontro personale e interpersonale con la realtà vivente di Gesù, nutrita dalla vita dello Spirito Santo e manifestata nella vita del popolo di Dio, riconosciuta nelle continuità e nelle discontinuità della storia della salvezza.
Poiché partecipa alla missione evangelizzatrice della Chiesa, la teologia è anche incontro con l’umanità e con le culture umane. Di fatto questo incontro è sempre creativo, perché il Vangelo informa ciò che è veramente umano. L’evangelizzazione, quindi, non è solo testimonianza di Cristo e proclamazione del Vangelo della salvezza, ma si propone di preservare quanto di buono, di nobile e di prezioso vi è nelle culture umane, alle quali nel contempo porta la novità di Cristo. Per esserne in grado, la Chiesa deve farsi consapevole della storia culturale e della forma in cui il Vangelo viene trasmesso. In tal modo, la realtà di Cristo deve far sì «che siano anche permeati della virtù dello stesso Vangelo i modi di pensare, i criteri di giudizio, le norme d’azione; in una parola, è necessario che tutta la cultura dell’uomo sia penetrata dal Vangelo»5. La cultura che scaturisce dall’incontro con il Vangelo chiede di rifondarsi in un umanesimo integrale6. Ciò richiede da parte della Chiesa una coscienza costantemente autocritica, volta a garantire che la forza radicale e generativa del Vangelo non venga indebolita o fatta oggetto di colonizzazione. La teologia non deve fornire giustificazioni agli imperialismi culturali, economici e politici delle nazioni. Se lo facesse, lungi dall’essere una fonte di liberazione e di critica immanente, si asservirebbe alla schiavitù7.
Nell’esporre questa impegnativa vocazione della teologia, papa Francesco individua alcuni elementi centrali.
Innanzitutto, la teologia deve integrare la dimensione spirituale; deve superare il divorzio tra teologia e pastorale: «Questo incontro tra dottrina e pastorale non è opzionale, è costitutivo di una teologia che intende essere ecclesiale»8. Dev’essere una teologia radicalmente incarnazionale, che si prenda cura delle sofferenze e delle prove del popolo. Alla teologia è richiesto di vigilare in due direzioni: a) non diventare un qualsiasi dipartimento accademico, ma rimanere al servizio della Chiesa; b) riconoscere che le vite delle persone sono in sé una fonte di riflessione teologica che non può essere ignorata. La teologia, quindi, deve conformarsi al mistero di Cristo incarnato e risorto identificato nella vita del popolo fedele e santo di Dio. Ecco il contesto necessario per comprendere il sensus fidelium, che è fondamentale per una sinodalità matura, la cui teologia è in continuo sviluppo9.
In questo contesto, VG parla della formazione teologica e della stessa teologia come di «una sorta di provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza»10. Qui la teologia passa dall’essere un’attività soltanto razionale a un’attività che va attestata nella vita di fede ecclesiale. E quindi giunge a comprendere se stessa come fondata sulla pneumatologia, sulla vita dello Spirito.
Una teologia che si occupi delle questioni e delle esigenze della vita dovrà anche essere una «teologia del discernimento», che distingue il messaggio della vita dalle sue forme di trasmissione e dai modi in cui esso è stato codificato con elementi culturali: «Non fare questo esercizio di discernimento porta in un modo o nell’altro a tradire il contenuto del messaggio»11. Per porre mano a questo lavoro, la teologia ha bisogno di coltivare l’umiltà intellettuale, non soltanto come la disposizione appropriata per chiunque cerchi di comprendere un Dio che è semper maior, ma come l’atteggiamento più confacente data la vastità dell’esperienza umana che la teologia contempla. Inoltre, come tutte le discipline, può giungere alla vera conoscenza e comprensione solo quando riconosce i propri limiti ed è aperta alle risorse fornite dalle altre discipline. La teologia è, necessariamente, un’attività inter-disciplinare e trans-disciplinare ma, nella visione di VG, deve attingere ad altre discipline non teologiche se vuole abbracciare la propria missione. Infatti, la contemplazione dell’azione provvidenziale e salvifica di Dio nel mondo esige questa apertura12.
Una teologia animata da questo spirito sarà a sua volta aperta alla pluralità delle espressioni e delle forme in cui il Vangelo si è inculturato. Come già abbiamo osservato, esiste una pluralità legittima che appartiene al potere generativo della Rivelazione. A questo proposito, la teologia può riflettere sulle tensioni e sui conflitti in modo tale da favorire una più profonda «pluriforme unità che genera nuova vita». Quest’opera di riconciliazione non è la riduzione a un comune denominatore, né significa l’egemonia di una forma culturale su un’altra. Piuttosto, è capace di cogliere l’opera salvifica ed evangelizzatrice dello Spirito in molteplici espressioni e forme, per far affiorare la realtà dell’unico Cristo che possiede13. Non si tratta di una riduzione sintetica, ma di una sublimazione riconciliatrice che porta a una maggiore comprensione della Verità: il paradigma della Pentecoste. La teologia deve anche essere cosciente dei propri presupposti culturali e così plasmare per la Chiesa la sua più profonda cattolicità. Il servizio della riconciliazione non è solo per la Chiesa, ma per il mondo nel suo insieme14.
Caratteristiche di una teologia rinnovata
Il Discorso alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale parte da VG e individua quattro caratteristiche di una teologia rinnovata al servizio della Chiesa e del mondo:
1) Una teologia dell’accoglienza e del dialogo.Gran parte del pontificato di Francesco ha riguardato, con ogni evidenza, l’apertura di spazi di dialogo con il mondo e con le altre religioni. In effetti, parte del processo globale della sinodalità ha aperto tali spazi anche all’interno della Chiesa. Il dialogo non è solo il pre-requisito necessario per la comprensione, ma è anche parte integrante della riconciliazione. È da notare che papa Francesco non soltanto si è prodigato per facilitare il dialogo tra le religioni e tra le nazioni, soprattutto dove ci sono tensioni e conflitti, ma ha allargato e incoraggiato il dialogo all’interno della Chiesa. Non sorprende quindi che la teologia dell’accoglienza e del dialogo da lui desiderata non si incentri sull’apologetica o sul proselitismo: la vuole radicata nell’amore di Dio per il mondo, manifestato in Gesù Cristo, che illumina un’antropologia la quale riconosce che ogni cuore umano è alla ricerca di questo amore. Pertanto, la teologia è innanzitutto una parola di comprensione dell’amore offerto come accoglienza. Essa dà anche espressione alla base teo-filosofica che fonda la prassi di Francesco. Si basa su un’ontologia relazionale e interrelazionale, la communio che è insita nella natura stessa della creazione e dell’umanità. La vediamo emergere nitidamente, in modo più esplicito, in Laudato si’ e in Fratelli tutti.
In coerenza con questo suo metodo, è necessario che la teologia del dialogo e dell’accoglienza si traduca in una prassi, in un’ermeneutica vissuta. Come metodo di studio, essa presta attenzione ai grandi testi religiosi del cristianesimo e delle altre religioni del mondo. Come ermeneutica, è attenta a un tempo e a un luogo specifici e ai suoi quesiti, ai suoi problemi e alle sue divisioni. Quindi la teologia diventa un processo di discernimento. Si preoccupa di rivelare il mistero di Gesù e di delinearlo nella narrazione di ogni vita umana, che percorre anche tutta la creazione (cfr Col 1,15-22): un movimento di discesa e di ascesa, in cui la figura redentrice della Croce è vista come presente, ora, nel Cristo Risorto e Crocifisso. Questo movimento «dialogico» è un processo di «etnografia spirituale»; permette alla teologia di lavorare dall’interno della realtà umana e di rispondere ad essa. Esercitata in tale maniera, la teologia evita la «sindrome di Babele», cioè non solo la mancata comprensione dell’altro, ma anche il mancato ascolto dell’altro.
2) Una teologia dell’ascolto. L’ermeneutica vissuta presuppone e comporta un ascolto consapevole. È il tentativo non solo di «sentire» ciò che viene detto, ma di comprenderlo nel suo contesto: tanto la sua storia quanto la sua esperienza. Per questa ragione, l’ascolto deve essere profondamente connesso con le culture, i popoli e le loro narrazioni. Significa prendersi cura di tutte le generazioni, specialmente dei giovani: l’ascolto permette loro di dare il proprio contributo alla comunità15.
Una teologia dell’ascolto e del dialogo è cristologicamente determinata. Nella Scrittura, Cristo si mostra immerso nell’ascolto e nel dialogo con l’intero panorama della sua cultura. È in intimo contatto con la tradizione, da cui attinge la propria autocoscienza e quella del suo popolo. L’incontro di Cristo, e l’offerta di salvezza, che è sua, ha sempre una struttura dialogica. Non è mai un monologo: «Nel monologo tutti perdiamo, tutti»16.
3) Una teologia interdisciplinare: i requisiti morali e spirituali della teologia. Una «teologia dell’accoglienza» richiede la capacità di interpretare e discernere, e quindi esige teologi che sappiano lavorare insieme in modo interdisciplinare. Qui, l’ambito dei «teologi» comprende sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne. Nel loro radicamento ecclesiale, sono aperti «alle inesauribili novità dello Spirito» e sanno sfuggire «alle logiche autoreferenziali, competitive e, di fatto, accecanti che spesso esistono anche nelle nostre istituzioni accademiche e nascoste, tante volte, tra le scuole teologiche»17.
Questa teologia dell’accoglienza, del dialogo, dell’ascolto e del discernimento richiede doti morali, spirituali e umane, oltre che intellettuali. Reclama uomini e donne di compassione che siano aperti alla sofferenza e ai bisogni degli altri. Senza compassione e comunione con le realtà della vita delle persone e con il grido vitale della nostra biosfera, la teologia rischia di diventare un mero esercizio intellettuale. Se non si nutre di preghiera, essa non solo smarrisce la sua anima, ma perde anche l’intelligenza e la capacità di interpretare cristianamente la realtà. Non riesce a vedere la gloria e la bellezza di Dio, presente e operante salvificamente in tutte le cose. Rischia di essere «inghiottita nella condizione del privilegio di chi si colloca prudentemente fuori dal mondo e non condivide nulla di rischioso con la maggioranza dell’umanità»18. Il lavoro interdisciplinare necessita anche della libertà e dell’impegno a rivisitare e riconsiderare continuamente la tradizione, di continuare a porsi domande, perché la tradizione è il fiume di una fede viva.
4) Una teologia in rete. Con l’espressione «in rete» s’intende il necessario lavoro interdisciplinare in cui la teologia deve impegnarsi. Tuttavia, essa si riferisce anche alla costruzione di relazioni e delle competenze e visioni condivise da parte delle università ecclesiastiche che, a modo loro, testimoniano una «società inclusiva e fraterna». Il Papa vede tutti questi livelli di messa in rete come lavoro evangelico, vale a dire «in comunione con lo Spirito di Gesù che è Spirito di pace, Spirito di amore all’opera nella creazione […]. L’interdisciplinarità e il fare rete vogliono favorire il discernimento della presenza dello Spirito del Risorto nella realtà»19.
I podcast de «La Civiltà Cattolica» | UCRAINA. TRE ANNI DI GUERRA, AL FIANCO DEI RIFUGIATI
In questi tre anni di conflitto, il Jesuit Refugee Service, con lo Xavier Network, ha portato avanti l’iniziativa «One Proposal» attraverso cui è stato possibile sostenere più di 127 mila rifugiati. Con una puntata speciale di Ipertèsti Focus raccontiamo le difficoltà di quanti sono ancora in fuga dalla guerra con la testimonianza di David D’Agnelli, Project Officer per l’Ucraina di JRS.
«In solidarietà con tutti i naufraghi della storia»
Nel 1990, la Congregazione per la dottrina della fede ha definito la «vocazione ecclesiale del teologo»20. La visione che Francesco esprime della vocazione della teologia e del teologo ne è un palese sviluppo. Adesso non la si legge nei termini di un atteggiamento difensivo, ma nei panni di una Chiesa missionaria o evangelica profondamente impegnata verso il mondo, specialmente i poveri, gli abbandonati e i sofferenti. Ora il lavoro della teologia viene riconfigurato: non è solo speculativo, ma anche performativo e trasformativo, e opera con tutte le altre agenzie accademiche e sociali per il duraturo bene umano ed ecologico. Se il servizio della teologia è concepito in questo modo, che cosa si richiede al teologo? Qui Francesco offre un quadro che critica una teologia «professionale» condotta prevalentemente in ambito universitario, in competizione per conquistare risorse e prestigio accademico. Respinge anche un approccio strumentale alla teologia come parte della formazione al ministero ecclesiale, dove troppo facilmente tende a diventare un qualsiasi credito da guadagnare o a ridursi a una forma più alta di catechesi con intenti apologetici.
Nel discorso che ha rivolto al Congresso teologico internazionale svoltosi in Argentina nel 2015, papa Francesco ha descritto tre tratti identitari del teologo:
1) Un teologo è in prima istanza un figlio del suo popolo. Questa è la fonte e la risorsa per la teologia che il teologo è chiamato a sviluppare, questo è il terreno in cui la teologia si radica e da cui trae la sua autocomprensione.
2) Il teologo è un credente. Si tratta di una sfida rivolta a coloro che cercano di praticare la teologia in modo «neutrale rispetto alla fede», come se fosse una qualsiasi disciplina accademica. Senza sacrificare le esigenze intellettuali e la consapevolezza di altre discipline rilevanti che sono richieste a una teologia contemporanea impegnata e radicata, il teologo è colui che cerca di conoscere Dio e riconosce che senza Dio non può vivere. Questo Dio si rivela in Cristo, «si rende presente, come parola, come silenzio, come ferita, come guarigione, come morte e come resurrezione. Il teologo è colui che sa che la sua vita è segnata da questa impronta, da questo marchio, che ha lasciato aperte la sua sete, la sua ansia, la sua curiosità, la sua esistenza. […] Non è teologo chi non può dire: “Non posso vivere senza Cristo”»21.
3) Il teologo è un profeta. La teologia inizia con l’ascolto di Dio e dello Spirito Santo che operano nella vita del popolo fedele di Dio e nel mondo. Se il teologo è chiamato ad essere profeta, prima di tutto è chiamato ad essere discepolo. La crisi della società contemporanea è anche crisi di fede. La società pensa di poter prescindere dalla fede in Dio e crede solo in se stessa. Ciò crea una crepa nelle identità personali e sociali. In questa situazione di alienazione, spirituale oltre che sociale, il teologo ha una missione profetica: risanare le divisioni. La fede mette a disposizione la ricchezza del passato e la chiamata del futuro. In questo senso, il teologo è anche l’araldo della storia della salvezza, che testimonia l’azione salvifica di Dio nella storia (tradizione) e la promessa del futuro data in Cristo. La visione profetica è sempre segnata da una eccentricità epistemologica, perché ha una visione teocentrica. L’opera profetica della teologia è applicare tale prospettiva a tutte le cose. Perciò non prende le mosse solo dalle realtà del mondo, ma anche dalla preghiera: «È una reciprocità tra la Pasqua e tante vite non realizzate che si domandano: “Dov’è Dio?”»22. È vissuta dinanzi allo sguardo di Colui che fa nuove tutte le cose23.
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1. Francesco, Videomessaggio al Congresso internazionale di teologia presso la Pontificia università cattolica argentina, 1-3 settembre 2015.
2. Costituzione pastorale Gaudium et spes, 1-3.
3. Nel mondo accademico anglosassone sono echeggiati numerosi appelli al rinnovamento della teologia, provenienti da varie «scuole» e confessioni. Per esempio A. Louth, Discerning the Mystery: An Essay on the Nature of Theology, Oxford, Clarendon Press, 1989; E. Farley, The Fragility of Knowledge: Theological Education in the Church and the University, Philadelphia, Fortress Press, 1988. Per una panoramica più polemica della situazione contemporanea negli Stati Uniti, cfr M. Faggioli – M. Hollerich, «The Future of Academic Theology: An Exchange», in Commonweal 145, 9, 2018, 7; e J. M. Ashley, Renewing Theology: Ignatian Spirituality and Karl Rahner, Ignacio Ellacuría, and Pope Francis, Notre Dame, Notre Dame University Press, 2022.
4. Una tale teologia evangelica non mette al centro l’apologetica, né i manuali. Cfr Francesco, Intervento all’incontro sul tema «La teologia dopo “Veritatis gaudium” nel contesto del Mediterraneo» promosso dalla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, 21 giugno 2019. Cfr anche P. Di Luccio – F. Ramirez Fueyo, «Teologia e rinnovamento degli studi ecclesiastici. Le indicazioni di Francesco nel discorso di Posillipo», in Civ. Catt. 2019 III 471-481.
5. VG 2, che cita Francesco, Videomessaggio, cit.
6. VG 4.
7. Cfr E. A. Foster, African Catholic: Decolonization and the Transformation of the Church, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2019; A. Tomaselli – A. Xanthaki, «The Struggle of Indigenous Peoples to Maintain their Spirituality in Latin America: Freedom of and from Religion(s), and Other Threats», in Religions 12, 10, 2021, 869.
8 . Francesco, Videomessaggio, cit.
9 . Per la trattazione di questa realtà fondamentale, cfr Commissione Teologica Internazionale, Il «Sensus Fidei» nella vita della Chiesa, 10 giugno 2014; O. Rush, The Eyes of Faith, Washington D.C., Catholic University of America Press, 2011.
10. VG 3.
11. Francesco, Videomessaggio, cit. Cfr VG 4, che individua le tre dimensioni necessarie alla missione evangelica della Chiesa: discernimento, purificazione, riforma.
12. VG 4, b e c.
13. VG 4, d.
14. Ivi.
15. Cfr Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, 65.
16. Francesco, Intervento all’incontro sul tema «La teologia dopo “Veritatis gaudium” nel contesto del Mediterraneo», cit.
17. Ivi.
18. Ivi.
19. Ivi.
20. Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione Donum Veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo, 24 maggio 1990.
21. Francesco, Videomessaggio, cit.
22. Ivi.
23. Ivi.
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