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L’ecologia dei media, un particolare settore degli studi sulla comunicazione, affronta il proprio oggetto come un ecosistema. Per dirla con la metafora di un ecosistema naturale, questo genere di studi immagina la comunicazione come un ambiente in cui interagiscono molti elementi diversi. Esso contiene non soltanto diversi mezzi di comunicazione, ovvero telefono, radio, televisione, social media, carta stampata e così via, ma anche persone, idee, culture, eventi storici ecc. Come accade in ogni ecosistema, una qualsiasi parte, cambiando, influisce su tutte le altre. Restando all’immagine di un ecosistema naturale, per esempio uno stagno in una foresta, l’introduzione di una nuova specie di rana si ripercuoterà sugli insetti che vivono vicino allo stagno, sulle erbe e sui fiori della zona, sugli uccelli, sui pesci, sugli animali, su tutto.
Nell’ecologia dei media avviene la stessa dinamica. Lo abbiamo visto in maniera clamorosa negli ultimi 15 anni. L’avvento dello smartphone, cioè di un telefono cellulare che permette l’accesso a Internet, ha cambiato tutti i modi di comunicare. Piuttosto che parlare, le persone mandano messaggi; invece di leggere un giornale, seguono l’aggiornarsi continuo dei feed informativi; anziché vedere film o la televisione, guardano videoclip; piuttosto che incontrarsi con gli amici, si collegano ai social media. Potremmo trovare molti altri esempi di questo genere. Comunque lo si voglia spiegare, questo modello di ecosistema descrive l’ambiente comunicativo in cui la Chiesa ha affrontato la pandemia di Covid-19. Ma in questo caso, piuttosto che l’introduzione di una nuova tecnologia di comunicazione, a causare i cambiamenti è stata l’introduzione del virus.
Vedere la Chiesa attraverso l’ecologia dei media
Quando è scoppiata la pandemia, la Chiesa, come tutti gli attori sociali, aveva già affrontato uno sconvolgimento dei suoi modelli comunicativi, seppure relativamente lento. Le istituzioni ecclesiastiche continuavano a utilizzare la carta stampata, e il Vaticano possedeva un’emittente radiotelevisiva, destinata alla diffusione nei Paesi e nelle reti di tutto il mondo. I vertici ecclesiastici nazionali hanno spesso beneficiato di analoghi accordi con le emittenti dei rispettivi Paesi. Internet ha introdotto ulteriori mezzi di distribuzione, proponendo siti web a cura di uffici ecclesiastici. Fondamentalmente, essi mantenevano un modello basato sulla «trasmissione», ovvero sulla distribuzione dei contenuti da parte delle fonti istituzionali. I social media, con la loro comunicazione bidirezionale, hanno aperto nuove opportunità, e per loro stessa natura hanno messo in discussione i modelli di comunicazione già esistenti.
La Chiesa, sia quella universale sia quella locale, ha risposto alla pandemia a tutti i livelli della comunicazione. La comunicazione che ha riguardato la maggior parte delle persone nei Paesi tecnologicamente avanzati si è realizzata online. Quando le autorità sanitarie locali hanno proibito ogni riunione pubblica, le parrocchie hanno proposto le Messe in diretta streaming, e così si sono incrementate notevolmente le celebrazioni eucaristiche televisive e online. Le parrocchie e le diocesi hanno trasferito sui canali online l’istruzione religiosa. Le comunità religiose e altri gruppi ecclesiastici hanno preparato guide devozionali online, aumentando l’offerta di aiuti spirituali: letture, meditazioni guidate, arte, commenti e via dicendo. I singoli parrocchiani hanno proseguito online lo studio della Bibbia e così anche i gruppi di preghiera. Il Vaticano ha continuato a trasmettere le attività del Papa su mezzi di comunicazione più tradizionali, diffondendo, per esempio, l’indimenticabile benedizione Urbi et Orbi da una piazza San Pietro deserta.
Molto probabilmente si verificheranno altri cambiamenti, data la natura della comunicazione online. Ma le innovazioni richiedono tempo per esercitare il loro influsso sull’intera società.
L’ecologia dei media all’opera nella storia
L’ecologia dei media può mostrarci questo fenomeno in una prospettiva storica. L’ecosistema della comunicazione cambia costantemente e talvolta anche in modo radicale. Ma ci sono voluti decenni, per non dire secoli, sia alla società sia alla Chiesa, per adattarsi alla prima esperienza di comunicazione di massa, quella consentita dalla stampa. La risposta si è dipanata nel passaggio dalla cultura manoscritta a una cultura basata sui caratteri a stampa, dalla centralizzazione dei prodotti di comunicazione nelle biblioteche alla distribuzione su larga scala attraverso le librerie. In questo la Chiesa, come altri attori istituzionali, ha cercato di mantenere lo status quo ante, cioè di controllare la produzione che usciva dalle macchine tipografiche, sia promuovendo la stampa di opere affidabili, sia impedendo ai fedeli di leggere opere giudicate inaccettabili (quelle elencate in un Indice dei libri proibiti). D’altra parte, grazie ai canali di distribuzione indipendenti offerti dalla stampa, gli autori della Riforma protestante, pubblicando e diffondendo le proprie opere, iniziarono a sfidare il controllo della Chiesa sull’informazione e la sua stessa autorità.
Un altro sviluppo, ben diverso dalla distribuzione o dal controllo, è legato alla forma dell’informazione. La presentazione orale della cultura manoscritta non si adattava alla pagina stampata[1]. Ci sono voluti diversi secoli perché gli studiosi, la teologia e la Chiesa padroneggiassero il mondo della parola stampata: come inquadrare meglio gli argomenti (passando dallo stile orale a un altro concepito per la lettura); come sfruttare la forma di una pagina stampata (adottando una composizione visiva); come scegliersi il pubblico (usando il latino piuttosto che la lingua volgare); come affermare l’autorità (direttamente o attraverso il controllo dell’informazione). Con il tempo, alcuni elementi dell’ecosistema si sono evoluti e altri sono scomparsi.
Consideriamo un altro esempio. A partire dalla metà del XIX secolo la Chiesa ha affrontato anche un’altra lenta rivoluzione nell’ecosistema mediatico, dovuta al diffondersi delle tecnologie elettriche e al loro impatto sulla comunicazione: il telegrafo, il telefono, la radio, i mezzi di comunicazione di massa, che hanno reso possibili i quotidiani, e nel XX secolo i film e le trasmissioni radiotelevisive. L’aumento della velocità e della portata delle comunicazioni ha permesso alla Chiesa di accrescere la propria centralizzazione, perché i dicasteri vaticani, per esempio, potevano comunicare immediatamente con le diocesi locali, e con la gente.
Allo stesso tempo, la Chiesa si è trovata ad affrontare una nuova concorrenza comunicativa: oltre che con la competizione con altre voci religiose nel contesto della Riforma, ha dovuto confrontarsi con un ecosistema in cui la cultura popolare contribuiva a plasmare le possibilità di comunicazione. I cambiamenti hanno riguardato le forme di governo (la democrazia), l’informazione (le notizie immediate su eventi lontani, il progressivo ruolo assunto dall’informazione in quanto merce, le definizioni dei temi prioritari operate dalla stampa di massa), l’intrattenimento (il passaggio all’intrattenimento di massa, basato su musica, cinema e radio), la migrazione dei popoli (che scoprivano nuovi luoghi e nuove opportunità) e l’occupazione (dall’agricoltura all’industria manifatturiera, all’industria dei prodotti elettrici, al lavoro nel settore dell’informazione ecc.).
Modelli di Chiesa come ecosistema
Le esperienze di controllo centralizzato e della propria realtà di singolo attore sociale fra tanti altri hanno indotto la Chiesa a ripensare i propri modelli ecclesiologici. Le persone, nel momento in cui accoglievano le tecnologie della stampa di massa, della radio, del cinema e della televisione, acconsentivano di fatto all’esistenza di diversi centri di diffusione: una realtà, questa, che richiedeva una maggiore consapevolezza da parte dell’autorità centrale della Chiesa. In essa le caratteristiche autoritative, per esempio, sono mutate, passando dagli schemi propri di una corte medievale e rinascimentale a una burocrazia, organizzata a supporto del magistero.
Riflettendo sulle strutture della Chiesa dopo il Vaticano II, il cardinale Avery Dulles ha osservato che modelli o concezioni diversi di Chiesa rimandavano a modelli diversi di comunicazione[2]. La struttura istituzionale della Chiesa ben si adattava alle trasmissioni radiotelevisive, perché quelle reti prevedevano un’unica fonte. Chi meglio del Papa avrebbe potuto parlare a nome della Chiesa? In effetti, il Vaticano sviluppò una propria emittente – la Radio Vaticana – per sfruttare al meglio tale tecnologia. Strade analoghe hanno portato a emittenti nazionali, che proponevano alle autorità religiose un unico canale di diffusione (negli Stati Uniti i gruppi religiosi più centralizzati hanno ottenuto maggiore accesso alle reti di trasmissione).
Altre idee di Chiesa, secondo modelli spesso più adatti alla Chiesa locale – ad esempio, quello che vede la Chiesa come comunità di credenti –, sono state espresse in chiave di comunicazione interpersonale o di gruppo. Dulles indicava anche altre interpretazioni della Chiesa: come sacramento, come annunciatrice della parola di Dio, come serva, come luogo di dialogo con la cultura secolare e così via. Esse sono tutte presenti simultaneamente, e ognuna comporta pratiche diverse di comunicazione. Nel considerare la comunicazione, la concezione ecclesiologica di Dulles ricalca un modello ecologico in cui molte parti diverse interagiscono e si sostengono a vicenda all’interno di un sistema equilibrato.
Ciascuno degli esempi storici e dei modelli offerti da Dulles lascia intravedere quanto un approccio ecologico ai media possa aiutare a comprendere passaggi concreti della storia della Chiesa. Poiché il modello ecologico si concentra sulla comunicazione, non cerca di spiegare tutti gli eventi o le azioni o i punti di vista della Chiesa. Tuttavia esso è suggestivo rispetto alla situazione odierna, in cui la Chiesa si trova ad affrontare le sfide poste dalla pandemia.
Due sostenitori dell’osservazione dei media come sistema ecologico – il teorico canadese Marshall McLuhan e il figlio e collaboratore, Eric McLuhan (1988) – hanno tentato di riassumere in «quattro leggi dei media» alcuni modi in cui l’ecologia dei media funziona[3]. Che cosa succede, si sono chiesti, quando l’ecosistema dei media viene alterato? Ne hanno tratto la proposta di alcune caratteristiche particolari, presentate sotto forma di una «tetrade» di domande:
- «Quale ricorrenza o quale recupero di azioni e servizi precedenti vengono messi in gioco contemporaneamente dalla nuova forma?».
- «Se spinta al limite del suo potenziale, la nuova forma tenderà a invertire quelle che erano state le sue caratteristiche originali. Qual è il potenziale di inversione della nuova forma?».
- «Se qualche aspetto di una situazione viene ampliato o potenziato, nello stesso tempo l’antica condizione o la situazione non potenziata viene accantonata. Che cosa viene messo da parte o reso obsoleto dal nuovo “organo”?».
- «Che cos’è che il nuovo medium amplifica o intensifica o rende possibile o accelera?»[4].
Marshall Soules fornisce l’esempio di Internet, che potenzia il decentramento, la velocità di accesso e la comunicazione in rete, invertendo la tendenza al sovraccarico di informazioni e all’isolamento, rendendo obsoleti i viaggi, le distanze e la vendita al dettaglio e recuperando la scrittura, i piccoli gruppi e l’attivismo locale[5].
Queste «leggi», pur concentrandosi principalmente sui media, illustrano due aspetti più generali. In primo luogo, i mezzi di comunicazione e gli altri eventi sono in una relazione reciproca tra loro. Qualunque cosa accada in un mezzo di comunicazione, influisce sugli altri. Sebbene lo notiamo soprattutto nei confronti delle nuove tecnologie di comunicazione che influenzano quelle più vecchie (la stampa aumenta l’efficienza della copiatura degli scrivani), il fenomeno si verifica anche quando le persone cercano nuovi utilizzi delle tecnologie di comunicazione esistenti (ad esempio, la Chiesa che trasmette la Messa in televisione).
La simultanea dipendenza dalle forme antiche e il cambiamento con quelle nuove derivano dal fatto che ogni mezzo di comunicazione ha le proprie risorse, vale a dire cose che esso consente o rende più facili da realizzare. Non è indispensabile che esse vengano usate di fatto, ma restano aperte a ulteriori sviluppi. Anche qui abbondano gli esempi storici di risorse non utilizzate, come nel caso del primo tentativo europeo di sviluppare il telefono come mezzo di trasmissione con cui gli individui potessero ascoltare programmi di intrattenimento. Questo tentativo ha anticipato il successivo uso della radio, sebbene non abbia avuto successo con il telefono. Ma altre possibilità portano a un’adozione riuscita (Internet come social medium o la possibilità di trasmettere la Messa in diretta streaming).
In secondo luogo, queste «leggi dei media» si possono applicare ad altri tipi di cambiamenti storici (le vie romane hanno reso più facile la migrazione dei popoli; la peste bubbonica ha condotto indirettamente allo sviluppo di dispositivi atti a risparmiare manodopera, tra cui la stampa). Ogni volta che ci si imbatte in un cambiamento storico, spesso si guarda alle esperienze passate, per capire come poter imitare qualcosa di già noto (le Bibbie stampate di Gutenberg assomigliavano alle Bibbie manoscritte nei caratteri e nella disposizione in colonne) o recuperare qualcosa (la radio che rafforza il valore del discorso orale dopo secoli di centralità della stampa). Le «leggi dei media» mostrano anche come è stato affrontato ciò che stava diventando obsoleto (quando i trasporti motorizzati hanno soppiantato gli animali, i fabbricanti di ruote e i fabbri sono diventati produttori di pneumatici o di utensili).
L’impatto della pandemia sull’ecologia mediatica della Chiesa
Questi concetti generali a proposito delle «leggi dei media» suggeriscono alcune riflessioni riguardo all’impatto della pandemia sulla Chiesa, sulla sua comunicazione e sulla sua natura.
La Chiesa cattolica ha seguìto in massima parte le prescrizioni date delle autorità civili per limitare le riunioni, come ad esempio atti di culto, celebrazioni sacramentali, catechesi o altre attività parrocchiali. I vescovi hanno dispensato i fedeli dal precetto domenicale, e al tempo stesso i pastori e gli operatori parrocchiali hanno cercato modi per aiutare le persone a mantenere e coltivare la propria fede. Lo si è fatto dappertutto e nei più svariati modi, ma nel mondo sviluppato tutti questi modi hanno coinvolto le tecnologie della comunicazione: molte parrocchie hanno celebrato l’Eucaristia in collegamento video, rendendo disponibile la Messa in tempo reale o anche in forma registrata. Il Vaticano si è valso delle trasmissioni radiotelevisive per proporre il messaggio Urbi et Orbi del Papa e altri eventi.
L’esperienza di questi rapidi e necessari cambiamenti nella vita quotidiana della Chiesa è stata diversa da un luogo all’altro, ma ha riguardato comunque persone che praticavano il culto a casa propria davanti a uno schermo, attività devozionali individuali sostitutive di quelle parrocchiali, sessioni di studio della Bibbia o gruppi di preghiera online, telefonate di operatori pastorali a membri vulnerabili (spesso anziani) che non avevano connessioni online, sacerdoti che hanno visitato malati in ospedale indossando protezioni adeguate, social network più attivi grazie alla presenza di centri di ritiro e siti di spiritualità online che hanno utilizzato tecniche pubblicitarie e di marketing per favorire la preghiera, e un’accresciuta sensibilità delle reti di collegamento locali (e volontarie) tra famiglie e amici, ma non necessariamente tra i frequentatori occasionali di una parrocchia. Qualcuno, per necessità (la parrocchia non trasmetteva la Messa online) o per scelta (non gradiva la qualità della presenza digitale della propria parrocchia), si è dedicato a esplorare altre parrocchie o comunità.
Quando le chiese hanno riaperto i battenti, sono state comunque sottoposte a limitazioni sulla quantità dei fedeli (solo pochi membri della famiglia hanno potuto partecipare ai funerali, ai matrimoni o ai battesimi; limiti numerici alla partecipazione alla Messa hanno reso necessaria la distribuzione di biglietti d’ingresso), a limitazioni nelle pratiche liturgiche (separazione fisica, divieto di eseguire canti, restrizioni alla modalità di ricezione dell’Eucaristia e via dicendo) e a limitazioni dell’autonomia diocesana e parrocchiale, con la conseguente messa in discussione della competenza e dell’autorità dei responsabili pastorali (riguardo alla salute e alla sicurezza dei parrocchiani, alla necessità di certe pratiche pastorali o anche di partecipare alla Messa).
Più sistematicamente, a livello delle azioni specifiche, la pandemia ha spinto la Chiesa a recuperare la centralità della devozione eucaristica e delle varie pratiche devozionali che si possono compiere a casa. Ha indotto a un recupero delle tradizioni e delle forme di preghiera personale: mai dimenticate, ma ora sottolineate nei ministeri online della Chiesa. Ha anche portato a un ritorno alla consuetudine medievale di guardare o assistere all’Eucaristia da lontano, senza riceverla. Analogamente, ha invertito la ricezione fisica della Comunione con la pratica della «Comunione spirituale» del XVIII e XIX secolo. Le risposte alla pandemia hanno messo da parte, se non reso obsoleta, una parte dell’autorità della Chiesa, laddove le direttive della società civile e dei funzionari della sanità pubblica hanno soppiantato la legge ecclesiastica.
La pandemia ha inoltre posto fine ai raduni religiosi fisici nelle parrocchie, nei centri di ritiro, nei pellegrinaggi e così via; in qualche modo, a questo riguardo la risposta della Chiesa ha ridimensionato l’importanza del luogo fisico. E la pandemia ha accresciuto l’importanza della Chiesa locale, perché la parrocchia ha mantenuto il suo ruolo di punto di contatto più visibile (anche online) con la Chiesa. Ha rafforzato il ruolo di altri tipi di autorità, nella misura in cui alcuni laici hanno assunto la guida nella formazione religiosa, nella direzione spirituale e anche nei servizi tecnologici che rendono presente la Chiesa.
È interessante notare come la pandemia non sembri aver influito sul ruolo centrale del Papa e sul ruolo simbolico che il papato svolge pubblicamente. Un suo effetto decisamente negativo ha invece portato ad accentuare, e persino ad accrescere, le disuguaglianze dei media digitali, separando gli individui e le parrocchie non dotati di connessioni o competenze per usare tali tecnologie da quelli che invece lo erano. In questo essa ha reso obsolete molte delle recenti iniziative prese nella Chiesa verso una maggiore partecipazione e inclusione.
Su un piano più generale, la pandemia ha evidenziato come interagiscono i diversi modelli di Chiesa suggeriti da Dulles. Così come la tetrade delle «leggi dei media», essi esistono contemporaneamente e con uguale validità. Sebbene la Chiesa rimanga un’istituzione, una comunione, un sacramento, un’annunciatrice e una serva, sono cambiati il senso e l’esperienza che le persone ne hanno fatto in questo periodo di chiusura. La pandemia ha messo in risalto la Chiesa in quanto istituzione, in particolare a livello parrocchiale, perché le parrocchie controllavano la comunicazione dal centro verso i parrocchiani, usando abitualmente formati unidirezionali per inviare notizie o liturgie in streaming ai fedeli. D’altra parte, in molti luoghi il livello intermedio dell’istituzione – la diocesi – tendeva ad avere un impatto minore sulla gente.
Il senso della Chiesa come comunione è diminuito con la riduzione del contatto faccia a faccia, anche se in alcuni luoghi si è riusciti ad accrescerlo attraverso i social media, in cui i singoli hanno connesso le Chiese domestiche ai gruppi di preghiera. Il senso della Chiesa come sacramento si è ridotto, per lo più, perché i parrocchiani, con rare eccezioni, non potevano partecipare ai sacramenti, ma restavano a guardare poche persone che celebravano l’Eucaristia. In rari casi, dove i funzionari civili o sanitari lo hanno permesso, si è riuscito a celebrare il sacramento degli infermi.
Per bilanciare questa carenza, molti hanno sperimentato un’accresciuta esperienza della Chiesa come testimone, dedita ad annunciare la parola di Dio. Ciò si è verificato attraverso un incremento dello studio della Bibbia, della riflessione spirituale, della spiritualità online e così via, il più delle volte in connessione con risorse proposte dal di fuori della parrocchia o della diocesi. Infine, molti individui si sono uniti agli sforzi istituzionali della Chiesa per curare i malati e aiutare i bisognosi.
Che cosa potrebbe significare tutto questo per il futuro cammino della Chiesa? Riflettendo sulle «leggi dei media», potrebbe prendere piede l’idea di attingere e recuperare la sua esperienza storica di culto in contesti limitati, sia nelle zone del mondo sottoposte a persecuzione, sia in quelle dove c’è penuria di sacerdoti. Anche se non a livello globale, in passato la Chiesa ha già sperimentato situazioni simili. Ora essa potrebbe valutare più consapevolmente le risposte pratiche adottate dalle parrocchie e dalle diocesi – realtà recuperate dal passato, come la Comunione spirituale – e interrogarsi sul loro valore teologico. Forse la teologia eucaristica della Chiesa non è andata sempre al passo con la sua pratica eucaristica. Allo stesso modo, la Chiesa potrebbe riflettere sull’accentuazione o sul peso che accorda ai diversi modelli di sé. In qualche modo, la pandemia ha fatto prevalere la concezione dell’annuncio rispetto a quella sacramentale.
Per quanto le autorità sanitarie pubbliche possano trovare il modo di limitarne l’impatto, l’esperienza della pandemia rimarrà nella memoria e nella storia di coloro che l’hanno vissuta. Molto probabilmente la Chiesa ritornerà a gran parte delle sue attività pre-pandemiche, ma avrà l’opportunità di riflettere sulle possibilità aperte da tale esperienza, sugli ecosistemi di comunicazione e strutturali che esse schiudono e su come ne ha fatto uso in un tempo straordinario.
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THE MEDIA, THE CHURCH AND THE PANDEMIC
The approach to communication studies known as “media ecology” offers the opportunity to understand the nature of the Church as it has and is responding to the Covid-19 pandemic. While the “models of the Church” proposed by Cardinal Avery Dulles describe several ways in which the Church exists, the “four laws of the media,” originally used to show how media systems change, can also describe how the Church, faced with external pressure, has changed its communication practices. The impact of the pandemic has led the Church to return to ancient communication practices, as well as inventing new ones.
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[1]. W. J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, il Mulino, 2014.
[2]. A. Dulles, The Church is communication, Roma, Multimedia International, 1971. 5-18; Id., Models of the Church (in it., Modelli di chiesa, Padova, Messaggero, 2005), Garden City (NY), Image Books, 1974; Id., «Vatican II and communications», in R. Latourelle (ed.), Vatican II: Assessment and perspectives, twenty-five years after (1962-1987), vol. 3, New York, Paulist Press, 1989, 528-547.
[3]. Cfr M. McLuhan – E. McLuhan, Le tetradi perdute di Marshall McLuhan, Milano, il Saggiatore, 2019.
[4]. Cfr G. Sandstrom, «Laws of media – The four effects: A McLuhan contribution to social epistemology», in Social Epistemology Review and Reply Collective 12 (2012/1) 1-6 (cfr wp.me/p1Bfg0-uc).
[5]. Cfr M. Soules, «McLuhan light and dark», in Media-Studies.ca (www.media-studies.ca/articles/mcluhan.htm), 28 luglio 2020.