Nel primo secolo della storia delle missioni dell’antica Compagnia di Gesù in Cina spiccano alcune figure più note, come l’italiano Matteo Ricci (1552-1610), il tedesco Adam Schall von Bell (1592-1666) e il fiammingo Ferdinand Verbiest (1623-88). Ma la meritata fama di questi protagonisti ha rischiato di tenere a lungo nell’ombra numerosi altri personaggi che pure hanno dato un contributo molto importante in quel periodo fondamentale per il rapporto fra il cristianesimo e la Cina, fra la cultura occidentale e quella cinese: «generazione di giganti», come li ha definiti lo storico George Dunne[1].
Uno di questi è il padre Martino Martini (1614-61). Nativo di Trento, egli senza dubbio può essere considerato fra i principali, non tanto per la promozione della conoscenza dell’Europa in Cina, quanto della Cina in Europa. Il recente completamento della pubblicazione della sua Opera Omnia da parte del Centro Studi trentino a lui intitolato[2] sarà la solida base per una conoscenza più ampia e approfondita della sua vita e della sua opera.
Dopo aver frequentato la scuola dei gesuiti nella sua città natale, Martini entra nel noviziato della Compagnia di Gesù a Roma e prosegue la sua formazione in quell’eccezionale fucina di cultura – umanistica, scientifica e teologica – e di fervore religioso che è in quel tempo il Collegio Romano, la futura Università Gregoriana. Tra i professori a cui rimane più legato vi è il famoso p. Atanasio Kircher, creativo scienziato ed erudito dagli innumerevoli interessi e dalle svariate competenze. Come molti dei suoi compagni, Martini chiede di essere inviato in missione «nelle Indie».
Scrive al Preposito generale dei gesuiti, Muzio Vitelleschi, che «la maggior causa […] per la quale fui mosso ad entrarci [nella Compagnia di Gesù], fu per desiderio dell’Indie» (I, 53 s). La sua domanda è accolta. Nel 1638, ordinato sacerdote, parte. Ma il viaggio è difficile. La prima nave su cui si imbarca da Genova per il Portogallo deve rientrare in porto per una tempesta. Anche quando, mesi dopo, si imbarcherà a Lisbona, la sua nave dovrà ritornare al punto di partenza per le difficoltà incontrate nel Golfo di Guinea: «A dir il vero, […] quella terra e il mare lungo quella costa, che vien detta di Guinea, sembrano maledetti dall’eternità, tanto è il caldo che vi fa, tanta la pioggia, tante le bonacce, roba da non crederci!» (I, 80).
Quando poi giungerà
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