
Negli ultimi anni l’economia globale ha dovuto confrontarsi con sfide intense e difficili. Un virus l’ha congelata, infliggendole la peggiore recessione mai sofferta in tempo di pace. A quella pace peraltro la guerra in Ucraina ha messo fine e, insieme al primo missile russo, hanno preso il volo anche i prezzi dell’energia e delle materie prime. Così si è scatenata un’inflazione galoppante.
A causa del nemico invisibile, il Covid-19, e del visibilissimo esercito russo, le catene del valore si sono sfilacciate e hanno messo in difficoltà la globalizzazione produttiva. Allo stesso tempo, e come reazione, si è innescata un’accelerazione nella produzione di energia pulita rinnovabile. Per effetto di tutti questi fattori c’è chi oggi si chiede se la globalizzazione, almeno come l’abbiamo conosciuta e discussa negli ultimi anni, non sia giunta al capolinea.
Quel che è fuori di dubbio è che essa sta cambiando quanto ai modi e all’intensità. Pochi anni fa, nel 2017, Donald Trump dichiarò guerra commerciale alla Cina. Adesso Joe Biden non solo resta su quella linea, ma ha varato una legislazione fondata sul nazionalismo climatico per operare la transizione verso un’economia decarbonizzata.
L’Unione europea (Ue), che non ha tardato a esprimere
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