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Cinque secoli fa, il 31 ottobre 1517, prendeva avvio la Riforma di Lutero, un evento che è alle origini del mondo moderno e ha segnato profondamente la storia del cristianesimo. Il centenario che si celebra quest’anno ha una connotazione che lo distingue dai precedenti e inaugura una nuova pagina di storia, alla base della quale si riconoscono i risultati del cammino ecumenico, grazie alle aperture del Concilio Vaticano II. Cinquant’anni di dialogo tra protestanti e cattolici consentono di raccogliere oggi i frutti di ciò che unisce, piuttosto che mettere in risalto ciò che divide.
È estremamente significativo il fatto che, per la prima volta, alle celebrazioni prendano parte altre confessioni cristiane. Ci è particolarmente caro, a questo proposito, il ricordo della presenza di papa Francesco alla preghiera ecumenica nella cattedrale di Lund, il 31 ottobre 2016, per l’apertura dell’anno evocativo dell’evento. Tale partecipazione costituisce un fatto nuovo nella storia[1]. Dopo secoli di incomprensioni, di contrasti e di controversie, per la prima volta un Papa si è recato di persona alla celebrazione dell’anniversario della Riforma, e proprio nella Chiesa in cui 50 anni prima era nata la Federazione Luterana Mondiale. Una presenza che segna una svolta nelle relazioni con il protestantesimo. A tutto questo bisogna guardare con gioia e speranza.
Nel mondo cattolico, Martin Lutero è stato considerato per secoli «l’eretico» per antonomasia; e oggi, a cinquecento anni di distanza, la ricerca storica e gli studi recenti portano a chiederci: «eretico» lo era davvero? Non si vogliono qui ripercorrere le tappe della ricerca, ma solo presentarne una conclusione. Nella biografia del riformatore di Adriano Prosperi, recentemente apparsa, lo storico scrive: «Lutero non fu e non si sentì mai né eretico né ribelle. Niente fu più remoto di questo dalla coscienza che ebbe della sua opera. Fu un riformatore, non un eretico. Il suo compito lo concepì come il dovere di insegnare la verità secondo la Parola consegnata alla Scrittura»[2]. La storia è una ricerca continua, che richiede onestà e amore per la verità. Le due virtù dovrebbero sostenere e guidare il nostro sguardo: è infatti necessaria e urgente una rilettura del passato, libera da luoghi comuni e da «vulgate» trasmesse acriticamente; libera anche da posizioni e pregiudizi affermatisi lungo i secoli a scapito del vero.
Il 31 ottobre 1517: gli albori della Riforma
La vulgata tradizionale vuole che il 31 ottobre del 1517 Martin Lutero, monaco agostiniano e docente di teologia all’università, affiggesse a Wittenberg, alla porta della Chiesa di Ognissanti, 95 Tesi sull’indulgenza: egli voleva denunciare il mercimonio che si stava consumando, in seguito alla proclamazione delle indulgenze per la ricostruzione della basilica di San Pietro. Non si danno testimonianze cogenti relative all’evento dell’affissione.
Certo è invece che, a quella data, Lutero scrisse due lettere: una al proprio vescovo, l’ordinario della diocesi di Wittenberg, l’altra all’arcivescovo responsabile della predicazione indulgenziale, Alberto di Brandeburgo, per denunciare il modo indegno in cui venivano annunciate e propagandate le lettere indulgenziali[3].
Dell’affissione delle 95 Tesi si parlò pubblicamente, e con molta enfasi, soltanto un secolo dopo, nel 1617, quando si celebrò il primo centenario della Riforma. Il «giorno della Riforma», il 31 ottobre 1517, divenne il Reformationstag, inaugurò il primo Giubileo, il Reformationsjubiläum, e fu l’origine della «festa della Riforma», la Reformationsfest[4]. In tale circostanza l’affissione delle Tesi di Wittenberg diventò elemento fondamentale della biografia di Lutero. Contemporaneamente si misero a fuoco alcuni tratti caratteristici della vita del riformatore, divenuti in seguito motivo portante dei futuri giubilei: tra questi, l’immagine di un Lutero irriducibile avversario del papato. L’affissione fu ritenuta una protesta, una sfida, una ribellione contro l’egemonia e l’abuso di potere da parte della Chiesa di Roma. Emerse dunque la figura di un Lutero «combattente». Non è un caso che, alla vigilia delle guerre di religione, in particolare di quella «dei Trent’anni», Lutero venisse ritenuto l’eroe del mondo protestante contro la Lega cattolica di Baviera.
Le celebrazioni dei centenari successivi, com’è ovvio, portano il segno della temperie culturale del tempo. Se nell’anniversario del 1717 le aperture universalistiche dell’illuminismo considerarono Lutero il liberatore dalle tenebre del mondo medievale, nel 1817, al tempo del tardo pietismo, egli venne esaltato come il grande genio religioso del mondo tedesco. Infine, nel 1917, nel nazionalismo imperante dell’inizio del secolo e nel pieno della Prima guerra mondiale, Lutero fu celebrato come il padre della lingua tedesca e come la personificazione stessa del carattere germanico. Tali immagini del riformatore, lungi dal riflettere la verità storica, tradussero semplicemente il modo in cui le singole epoche ne interpretarono la figura e l’operato: senza cogliere la verità del monaco agostiniano del Cinquecento, figlio del suo tempo e quindi portatore di interrogativi e di inquietudini proprie della sua epoca.
Un uomo tra Dio e il diavolo
Per accostarsi lucidamente a Lutero occorre pertanto collocarlo nel suo contesto, mettendo da parte secoli di guerre di religione, di conflitti e annose controversie teologiche. Non a caso, Heiko A. Oberman ha definito il riformatore «un uomo tra Dio e il diavolo»[5]: quando ancora la Chiesa si identificava con il cielo e l’imperatore rappresentava il potere nel mondo, il monaco Lutero si erge contro queste due potenze, confrontandosi in modo diretto con Dio e con il suo eterno avversario, il potere demoniaco.
Da uomo che vive tra la fine del mondo medievale e l’alba del mondo moderno, Lutero si pone davanti alla Chiesa di Roma, cui è legato anche per la scelta di vita monastica e per l’incarico di docente di teologia, con quell’autonomia di giudizio che rifiuta l’obbedienza acritica a direttive che vengono dall’alto, e rivela anche disagio e malessere nei confronti di un comportamento ecclesiale ritenuto inaccettabile.
Per capire lo spirito che anima il teologo occorre – lo si è detto – ritornare al suo tempo, al suo mondo, alla sua teologia, e soprattutto alla Bibbia. Nel 1513 Lutero è lector in Biblia a Wittenberg, dove continua a insegnare fino alla morte: egli da allora in poi, per tutta la vita, fonda la teologia sull’esegesi biblica, una teologia che nasce dal rapporto diretto con la Parola di Dio e prende corpo dalla Sacra Scrittura[6]. L’insegnamento della Bibbia rappresentava il ritorno alle fonti del cristianesimo, e questa novità toccava profondamente anche l’università di Wittenberg, dove intanto si abbandonava il metodo scolastico e si poneva la Bibbia come cardine dell’insegnamento, con un particolare accento sulla Lettera ai Romani[7]. Sono questi i presupposti da cui prende avvio la Riforma.
L’affissione delle Tesi
L’affissione delle 95 Tesi, il 31 ottobre 1517, è ritornata oggi alla ribalta[8]. L’evento è riportato come «storico» nei proclami e nelle iniziative che celebrano il quinto centenario della Riforma. E non solo in Germania, ma – si può dire – nell’intera Europa, e perfino nelle Americhe. L’episodio continua a essere interpretato non solo come l’inizio della Riforma, ma anche come provocazione e rivolta contro l’autoritarismo della Chiesa.
Su questa linea si muove appunto anche una delle ultime biografie del riformatore, quella di Heinz Schilling, Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali[9], studio pregevole e accurato sul pensiero e l’opera del monaco agostiniano: presentarlo però tout court come «ribelle», se sbagliato non è, non è neanche del tutto esatto[10].
A questo punto può essere dirimente la questione dell’affissione: nel rendere pubbliche le Tesi – se si prende per buona la storicità dell’evento – Lutero voleva ribellarsi alla Chiesa? Intendeva lanciare una sfida? Mirava davvero a combattere l’egemonia del papato?
Come si è visto, tale interpretazione si faceva strada solo un secolo dopo l’inizio della Riforma. Per circa cento anni nessuno parlò di affissione delle Tesi il 31 ottobre del 1517: l’unico cenno storico si trovava nella prefazione di Melantone al secondo volume delle opere latine di Lutero, pubblicata nel 1546, qualche mese dopo la morte del riformatore e circa 30 anni dopo il fatto[11]. Va precisato però che Melantone, a quell’epoca studente di 17 anni, era a Tubinga, e non a Wittenberg, dove sarebbe giunto solo nel 1518. Se Melantone è certamente un personaggio vicinissimo a Lutero e uno dei protagonisti della Riforma, va anche detto che altre sue informazioni riguardanti la storia della Riforma prima della venuta in Sassonia si sono rivelate infondate[12].
L’argomento è stato già trattato in un precedente articolo[13]. Se Lutero, dopo aver scritto le lettere, avesse subito affisso le Tesi, si avrebbe di lui l’immagine di una persona non sincera e non onesta. È infatti contraddittorio cercare un dialogo personale chiarificatore e provocare contestualmente un dibattito pubblico con l’affissione delle Tesi.
Il preludio della Riforma
Le circostanze storiche in cui è nata la questione sono oggi chiarite. Lutero aveva terminato di commentare per i suoi studenti la Lettera ai Romani, Parola di Dio illuminante sul tema della giustificazione per fede. Nel caso concreto, tuttavia, quelle lezioni hanno costituito una «involontaria prefazione alla Riforma»[14].
Nelle ultime pagine del commento si fa cenno a indulgenze e reliquie. Lutero nota, senza farne i nomi, che un principe e un vescovo fanno a gara nel procurarsi reliquie preziose. Si tratta appunto del principe elettore, Federico il Saggio, e dell’arcivescovo Alberto di Brandeburgo. Di certo è un’eco di ciò che stava accadendo. Forse alla fine del 1516 la predicazione sulle indulgenze era giunta ai confini dell’elettorato di Sassonia, in particolare a Jüterbog, a pochi chilometri da Wittenberg. I fedeli si precipitavano con foga ad acquistare le lettere indulgenziali, il cui ricavato sarebbe andato per la ricostruzione della basilica di San Pietro.
La questione era ancora più grave di quanto apparisse allo stesso Lutero. Dietro l’indulgenza erano nascosti un gioco di potere e un traffico di denaro: l’arcivescovo Alberto aveva siglato un patto con la Curia romana. Egli doveva versare un’enorme somma per la dispensa ad avere un terzo episcopato, quello di Magonza, una delle diocesi politicamente più importanti della Germania, che conferiva il titolo di «grande elettore» dell’imperatore. Alberto aveva già la diocesi di Magdeburgo ed era amministratore apostolico di Halberstadt (in pratica, una seconda diocesi). Per pagare la dispensa per un cumulo di cariche inusuale nella stessa persona e vietato dal diritto canonico si era indebitato fino all’osso con i principali banchieri tedeschi, i Fugger, e aveva ottenuto dalla Curia il privilegio della vendita delle lettere indulgenziali, dietro accordo di ripartire equamente il ricavato tra la fabbrica di San Pietro e il debito contratto.
Lutero dunque ha già riflettuto a lungo e forse si è confrontato con i suoi colleghi universitari, quando il 31 ottobre 1517 scrive ai vescovi. È chiaro che le Tesi non rappresentano una protesta, ma la richiesta sincera di porre fine allo scandalo e soprattutto all’inganno che viene perpetrato a danno dei fedeli: le indulgenze non danno la sicurezza della salvezza, non liberano immediatamente le anime del purgatorio; di certo non assolvono ogni colpa e pena, e nemmeno possono perdonare i peccati più gravi. Circa la garanzia della salvezza, Lutero, rivolgendosi con coraggio all’arcivescovo, afferma che nessuno può esserne sicuro, nemmeno un vescovo. Infine, con grande franchezza, ricorda che la missione di un pastore non è la predicazione indulgenziale, ma l’annuncio del Vangelo, la preghiera e le opere di misericordia.
La lettera appare tra i documenti nel primo volume delle opere latine che Lutero dà alle stampe nel 1545. Conservata per circa trent’anni, testimonia l’importanza che essa riveste per la sua coscienza e per la sua storia personale[15].
La conclusione della lettera all’arcivescovo Alberto
A conclusione della lettera, Lutero promette di pregare per l’arcivescovo e lo invita a guardare alcune Tesi che si potrebbero discutere per chiarire il significato dell’indulgenza: «Se ti piacerà, reverendissimo Padre, potrai scorrere le mie tesi allegate, per comprendere come sia cosa insicura la concessione dell’indulgenza, anche se i predicatori la ritengono certissima»[16]. Qui figurano, come allegato, le 95 Tesi con l’intento di mettere in discussione l’efficacia delle indulgenze[17].
La lettera ha anche un secondo allegato, di solito poco considerato e ritenuto a lungo un’omelia di Lutero[18], che è invece lo status quaestionis della dottrina delle indulgenze allora conosciuta. Il docente si premura di unirlo alle Tesi per far notare quanto sia incerta la dottrina a esse relativa. A titolo esemplificativo, ecco alcune osservazioni: i predicatori non spiegano che cosa siano le indulgenze, a che cosa servano, che cosa concretamente ottengano. In particolare, viene trattato anche il tema del suffragio per le anime del purgatorio, e si chiede in che cosa realmente esso consista. Il suffragio è la preghiera della Chiesa che intercede per un defunto. Se poi quella preghiera sia efficace o meno, e il defunto venga effettivamente liberato dal purgatorio, nessuno può saperlo. Dio solo lo sa: dipende dalla sua libera volontà, se e in quale misura esaudire la preghiera della Chiesa[19].
Dalle lettere e dagli allegati appare chiara l’intenzione di difendere la Chiesa, e implicitamente anche il Papa, dagli abusi perpetrati con la predicazione scandalosa delle indulgenze. In altre parole, Lutero voleva una «riforma» della Chiesa.
La risposta alle lettere
Non ci fu risposta a queste lettere, e nemmeno alla richiesta di un dialogo. L’arcivescovo Alberto, urtato per la provocazione, si premurò di inviare il tutto a Roma, con un tranciante giudizio: un insolente monaco sparlava del santo negocium indulgentiarum, e vi allegava le Tesi e il trattato De indulgentiis[20]. Si aggiungeva anche una denuncia «per eresia», perché Lutero aveva osato criticare l’autorità del Papa.
Dopo aver atteso con impazienza e inutilmente per un paio di settimane, Lutero si confida con gli amici, rivelando loro il contenuto delle Tesi per sollecitarne il parere. In tal modo esse si diffondono privatamente, ma giungono anche a un pubblico più vasto, vengono tradotte dal latino in tedesco e perfino stampate. Tra dicembre e gennaio, le Tesi sono conosciute nell’intera Germania. Le tre edizioni a stampa più antiche provengono da città lontane da Wittenberg, Basilea, Lipsia e Norimberga, e da manoscritti differenti[21]. È difficile stabilire quando sia iniziata la stampa delle Tesi: in ogni caso, nel gennaio del 1518, esse sono note dovunque e suscitano un’eco vastissima.
La diffusione e il successo delle Tesi
Come si spiega un interesse così grande da coinvolgere l’intera Germania? Quanto poteva essere comprensibile il linguaggio stringato e apodittico delle Tesi, ricco per di più di concetti teologici piuttosto ardui? Difficile rispondere…
È comunque evidente che il dibattito proposto da Lutero a un ristretto ambito accademico, diffusosi poi ampiamente, sollecita e coinvolge coscienze ma anche interessi economici dei ceti medio-alti. Le Tesi raccolgono immediatamente l’animosità che cova contro Roma, non solo per lo scandalo delle indulgenze, ma anche per i gravamina che angariavano la vita dei fedeli e dei prìncipi[22]. Improvvisamente le Tesi danno fuoco alle polveri esplosive già surriscaldate, sfidando il papato e la Curia romana.
Lutero stesso rimane meravigliato per l’involontaria diffusione delle Tesi, e se ne rammarica. Le Tesi erano state preparate in fretta per pochi amici, e non erano nemmeno adatte a una diffusione generalizzata. Poiché non è più possibile ritirarle dalla circolazione, egli scrive una «Spiegazione» con una lettera indirizzata a papa Leone X: egli confessa di riconoscere nella voce del Papa la voce di Cristo che governa e parla nella Chiesa[23]. E alla fine della lettera, con una singolare «Dichiarazione» (protestatio), egli scrive: «Attesto di non voler dire o affermare nulla se non ciò che è contenuto innanzitutto nella Sacra Scrittura, poi nei Padri della Chiesa […], nel diritto ecclesiastico e nei decreti del Papa»[24]. E conclude: «Spero con questa mia dichiarazione di aver detto abbastanza chiaramente che io posso, sì, sbagliare, ma che non si potrà fare di me un eretico»[25].
Cinque secoli dopo
A cinque secoli dalla Riforma è possibile volgersi a Lutero con uno sguardo nuovo, per coglierlo nella sua verità. Lutero è un uomo del suo tempo, animato da spirito di modernità nel vivere la sua fede anche in rapporto con le istituzioni ecclesiastiche: un rapporto leale ma esigente. Le Tesi di Wittenberg non sono pertanto né una sfida né una ribellione all’autorità, ma la proposta di rinnovamento dell’annuncio evangelico, nel desiderio sincero di una «riforma» nella Chiesa.
La storia aveva voltato pagina: dal Medioevo si era passati all’Evo Moderno, con le sue novità e con un’attenzione del tutto inedita alla persona, a un rinnovato appello alla coscienza[26], al diritto di essere interrogati e di potersi difendere[27].
Ma Lutero ha parlato contro il Papa, e ciò gli attira il sospetto di eresia. In seguito egli si irrigidisce su posizioni intransigenti e mette in moto una serie di eventi che gli sfuggono di mano. Non si tratta solo della guerra dei contadini, ma di un modo nuovo di intendere la vita cristiana secondo la Parola di Dio, che tuttavia ha portato a conseguenze paradossali. Colui che liberamente era entrato nella vita monastica[28] avrebbe in seguito criticato radicalmente la vita religiosa. Se, da un lato, la Bibbia e l’annuncio evangelico hanno avuto il primo posto nella Chiesa della Riforma, dall’altro le varie interpretazioni della Bibbia hanno portato al moltiplicarsi di confessioni religiose in contrasto tra loro. Infine, si è affermato anche il valore della libertà di coscienza, ma ci sono state persecuzioni e anche martiri per la fede in ambito protestante.
La questione dirimente è stata forse la pretesa, da parte sia della Chiesa di Roma sia di Lutero, di incarnare in toto la verità e di esserne dispensatori.
Eppure, nonostante tutto, non si può negare il ruolo che Lutero ha avuto come testimone della fede. Egli è «il riformatore»: ha saputo avviare un processo di «riforma» di cui – quali che siano stati poi gli esiti – ha beneficiato anche la Chiesa cattolica[29].
Dopo cinque secoli di storia, è coscienza comune che la divisione tra i cristiani sia scandalo e impedimento per l’annuncio evangelico[30]. Tanto più che la crisi nata dalla giustificazione per la sola fede si può dire in gran parte risolta dalla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione[31].
Oggi, lo si è detto, la storia segna un nuovo clima tra luterani e cattolici. Gli incontri ecumenici degli ultimi anni stanno preparando la strada non solo a un riavvicinamento tra le diverse confessioni, ma anche a un arricchimento reciproco nella ricerca della verità, di quella verità che è Cristo: «Solus Christus», proclamava Lutero[32]. Nella preghiera sacerdotale, Gesù chiede per i suoi discepoli e per quelli futuri «che tutti siano uno» (Gv 17,11.21.22.23). L’essere «uno» è la glorificazione del Padre, che rivela la santità di Dio e ci rende fratelli.
Nel 2017, il V centenario della Riforma è segnato da uno spirito nuovo che apre alla speranza. Il 15 novembre 2015 papa Francesco, nella visita alla Christuskirche di Roma, ha auspicato che la «Chiesa Cattolica porti avanti coraggiosamente […] l’attenta e onesta rivalutazione delle intenzioni della Riforma e della figura di Martin Lutero, nel senso di una Ecclesia semper reformanda, nel grande solco tracciato dai Concili, come pure da uomini e donne, animati dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo»[33].
Papa Francesco ha pure dichiarato che Lutero «era un riformatore»[34]. Poi, nella commemorazione di Lund il 31 ottobre 2016, ha riconosciuto «con gratitudine» che «la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa» e ha rilevato che «l’esperienza spirituale di Lutero ci interpella e ci ricorda che non possiamo far nulla senza Dio»[35]. «Anche noi dobbiamo guardare con amore e onestà al nostro passato e riconoscere l’errore e chiedere perdono: Dio solo è il giudice. […] C’era una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difendere la vera fede, ma siamo anche consapevoli che ci siamo chiusi in noi stessi per paura o pregiudizio verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi. […] L’unica cosa che [il Padre] desidera è che rimaniamo uniti come tralci vivi a suo Figlio Gesù. Con questo nuovo sguardo al passato non pretendiamo di realizzare una inattuabile correzione di quanto è accaduto, ma “raccontare questa storia in modo diverso”»[36].
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MARTIN LUTHER, FIVE HUNDRED YEARS LATER
On October 31, 1517, the Luther Reformation began and was to become an event which has shaped profoundly the history of Germany and of the whole of Christianity. The five hundredth anniversary celebrated this year has a connotation which distinguishes it from those previous and inaugurates a new page of history, which is the result of the ecumenical path opened by Vatican II. On October 31, 2016, Pope Francis participated in the ecumenical prayer in the Lund cathedral for the opening of the year which was evocative of the event. The Pope defined Luther as a «reformer» and recognized the Church’s error in his regard. In asking for forgiveness, he expressed gratitude to Luther because he had contributed to giving the Bible increased centrality in the life of the Church: the reformer’s «Solus Christus» interrogates us and reminds us that we cannot do anything without the Lord.
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[1]. Cfr G. Pani, «Il viaggio del Papa in Svezia», in Civ. Catt. 2016 IV 381-392.
[2]. A. Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, Mondadori, 2017, 216.
[3]. Cfr G. Pani, «L’affissione delle 95 Tesi di Lutero: storia o leggenda?», in Civ. Catt. 2016 IV 213-226.
[4]. Cfr Th. Kaufmann, «Reformationsgedenken in der Frühen Neuzeit. Bemerkungen zum 16. bis 18. Jahrhundert», in Zeitschrift für Theologie und Kirche 107 (2010) 295.
[5]. H. A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma – Bari, Laterza, 1987.
[6]. Cfr G. Ebeling, Lutero. Un volto nuovo, Roma – Brescia, Herder – Morcelliana, 1970, 43 s.
[7]. Lutero, dopo aver commentato il Salterio, inizia le lezioni sulla Lettera ai Romani nell’autunno del 1515, per quattro semestri; poi commenta la Lettera ai Galati fino al 1517.
[8]. L’aveva già anticipato nel secolo scorso Harnack: «L’era moderna iniziò con la Riforma di Lutero, precisamente il 31 ottobre 1517; essa fu inaugurata dai colpi di martello alla porta della Chiesa del castello di Wittenberg» (A. von Harnack, «Die Reformation und ihre Vorstellung», in Id., Erforschtes und Erlebtes, Berlin, De Gruyter, 1923, 110).
[9] . H. Schilling, Martin Luther. Rebell in einer Zeit des Umbruchs, München, C. H. Beck, 2012 (tr. it. Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali, Torino, Claudiana, 2016).
[10]. Cfr L. Vogel, recensione al volume in Protestantesimo 69/4 (2014) 391.
[11]. «Lutero scrisse le Tesi sulle indulgenze e le affisse pubblicamente alla chiesa che è accanto al castello di Wittenberg, la vigilia della festa di Ognissanti, nell’anno 1517» («Praefatio Melanthonis in “Tomum secundum omnium operum R. D. Martini Lutheri”», in Corpus Reformatorum 6, Halis Saxonum, C. A. Schwetschke, 1839, 161 s).
[12]. Per esempio, Melantone afferma che le indulgenze venivano proclamate a Wittenberg, mentre è noto che il principe elettore, Federico il Saggio, lo aveva vietato non solo per impedire che il denaro contante andasse all’estero, ma soprattutto per non arricchire le casse di un suo avversario personale.
[13]. Cfr G. Pani, «L’affissione delle 95 Tesi…», cit., 220 s.
[14]. R. H. Esnault, «Introduction», in M. Luther, Œuvres, XI, Commentaires de l’Épître aux Romains (tome I), Genève, Labor et Fides, 1983, 8; M.-J. Lagrange le valuta come costitutive del vero inizio della Riforma: cfr Saint Paul. Épître aux Romains, Paris, Gabalda, 1950, IV.
[15]. Si veda la prefazione all’opera in WA 54, 179-187. La storia ci ha conservato l’originale della lettera, un prezioso documento che oggi si trova nell’Archivio reale di Stoccolma. Difficile ricostruire per quali vie sia giunto ai nostri giorni e sia stato custodito con tanta accuratezza; ma è il segno che qualcuno ne ha colto il grandissimo valore documentario e ha ritenuto doveroso custodirlo per la storia (cfr WA Briefe 1, 109).
[16]. WA Briefe 1, 112, 66-69.
[17]. Le Tesi hanno come titolo «Per amore e desiderio di far risplendere la verità le sottoscritte Tesi saranno discusse a Wittenberg sotto la presidenza del R. P. Martin Lutero, Maestro delle Arti e della sacra Teologia». Cfr G. Miegge, Lutero. L’uomo e il pensiero fino alla Dieta di Worms (1483-1521), Torino, Claudiana, 20085, 463.
[18]. WA 1, 65-69. Cfr E. Iserloh, Lutero tra riforma cattolica e protestante, Brescia, Querinina, 1970 (or. 1966), 79.
[19]. Ivi, 84.
[20]. «Wir haben ewr schreyben mit zcugesandten tractat und Conclusion [le 95 Tesi] eins vermessen Monichs zcw Wittenberg, das heylig negotium Indulgenciarum und unsere Subcommissarien betreffend» (Corpus Catholicorum, 41, Münster, Aschendorff, 1988, 305).
[21]. Cfr S. Mühlmann, Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum, in M. Luther, Studienausgabe (H.-U. Delius ed.), Berlin, Evangelische Verlaganstalt, 1979, 174.
[22]. I «gravami» sono i diritti dovuti alla Curia romana per alcuni uffici ecclesiastici, per i benefici, per la successione nelle proprietà feudali, per atti e certificazioni religiose ecc.
[23]. WA 1, 529,3-6; 25; cfr E. Iserloh, Lutero…, cit., 160.
[24]. Primum protestor, me prorsus nihil dicere aut tenere velle, nisi quod in et ex Sacris literis primo, deinde Ecclesiasticis patribus ab Ecclesia Romana receptis, hucusque servatis et ex Canonibus ac decretalibus Pontificiis habetur et haberi potest (WA 1, 529, 33 – 530, 1).
[25]. Hac mea protestatione credo satis manifestum fieri, quod errare quidem potero, sed haereticus non ero (WA 1, 530, 10 s).
[26]. Cfr M.-D. Chenu, Il risveglio della coscienza nella civiltà medievale, Milano, Jaca Book, 2010.
[27]. Cfr G. Pani, «Il processo a Lutero e la scomunica», in Civ. Catt. 2017 I 364-376.
[28]. Cfr G. Pani, «La vocazione di Martin Lutero», in Civ. Catt. 2017 III 463-473.
[29]. W. Kasper, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica, Brescia, Queriniana, 2016, 71.
[30]. Cfr la Concordia di Leuenberg del 1973; W. Kasper, Martin Lutero…, cit., 63-73.
[31]. Cfr A. Maffeis (ed.), Dossier sulla giustificazione. La dichiarazione congiunta cattolico-luterana, commento e dibattito teologico, Brescia, Queriniana, 2000.
[32]. Una delle prime volte in cui ricorre la formula Solus Christus è nel commento alla Lettera ai Romani: WA 56, 49,22.
[33]. Cfr www.vatican.va/, alla data del 15 novembre 2015; e anche G. Pani, «Cattolici e luterani. L’ecumenismo nell’“Ecclesia semper reformanda”», in Civ. Catt. 2016 III 17-25.
[34]. Ivi, 26 giugno 2016.
[35]. Ivi, 31 ottobre 2016.
[36]. Ivi. La citazione è tratta dalla Commissione Luterana-Cattolica Romana per l’Unità, Dal conflitto alla comunione, 17 giugno 2013, n. 16.