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ABSTRACT – La morte si presenta come un problema scomodo, ma nello stesso tempo inevitabile, che inquieta e insieme affascina: basti pensare alla sua presenza in film, musiche, romanzi, di grande successo anche tra i giovani. Ora, la grande popolarità di questo tema corre parallela alla sua sostanziale censura nella vita ordinaria.
L’oblio della morte – considerata come qualcosa che in fondo riguarda solo altri – è una tentazione costante del pensiero occidentale; ma è dalla rivoluzione industriale, in particolare, che il tema della morte viene posto in una sorta di limbo, anche se in tal modo essa, come ogni realtà repressa, fa sentire in modo ancora più inquietante la propria suggestione.
Il tentativo più rigoroso di giustificare la rimozione della morte è stato operato dalla filosofia idealista. Essa concepisce il singolo essere come indistinguibile dalla totalità: morire significa dissolversi in essa per continuare a vivere sotto altra forma. Il rappresentante più eloquente e controverso di questo pensiero in Italia è stato Benedetto Croce. Tuttavia egli avverte che qualcosa sfugge a questa identificazione: rimane un’opposizione irriducibile tra la singolarità dell’essere umano e il Tutto dello Spirito. Questa disparità si palesa proprio nella morte: di fronte a essa l’uomo deve stoicamente rassegnarsi, la sua identità personale scompare, mentre la sua opera rimane per sempre.
Anche nel sentire comune e nella stessa prassi religiosa si riscontra una tendenza all’oblio delle cose ultime (morte/giudizio, inferno/paradiso). Una preghiera latina, un tempo molto diffusa, diceva: A repentina et improvisa morte libera nos Domine. Oggi la morte improvvisa e repentina è piuttosto considerata come una fortuna, che risparmia dalla sofferenza o dall’angoscia di pensare ad essa, ma non come un evento importante a cui ci si deve preparare, mediante quei riti e gesti ben noti alla tradizione che avevano reso la morte «addomesticata».
La morte cacciata dall’immaginario delle attività quotidiane diviene sempre più presente e invasiva in sede culturale, i cui dibattiti più accesi non a caso vertono attorno al tema del fine vita, affrontato tuttavia per lo più con la medesima mentalità tecnica, in termini di un fastidio da disbrigare nella forma più indolore possibile. La nostra civiltà sta diventando analfabeta su questo e su altri temi legati alla qualità della vita, e così la sua cultura è sempre più impregnata di morte. La censura della morte avvelena la vita.
Per questo il lavoro del lutto è indispensabile per imparare la saggezza di vivere, perché la morte parla alla vita: in particolare, dell’unicità irripetibile di ogni uomo, della sua caratteristica di essere in comunione con gli altri, della visione della vita in termini di non possesso.
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DEATH, THE HALLMARK OF HUMAN EXISTENCE. A philosophical approach
Death presents itself as an uncomfortable and unavoidable theme, which both distresses and fascinates; in fact, its presence in movies, music, and novels confirms this. Contemporaneously, it is increasingly repressed from our daily imagination, since it is considered as something that concerns only others. The article considers certain consequences of this repression, and tries to show the possible teaching which death can give to life; in particular, the unrepeatable uniqueness of every man, his characteristic of being in communion with others, and the vision of life in terms of non-possession.