«Il nostro non è un mondo reale, ma una grande e complessa rappresentazione onirica (architettata da una mente superiore a tutte le altre), in balìa di divinità capricciose e antagoniste. Il presente appare del tutto artificioso, sui modelli imposti dall’industria e dai mass-media. Vi si leggono le conseguenze preoccupanti di una grande catastrofe originata da un disastro ecologico o da una guerra nucleare: da questi e da altri elementi si è portati a concludere che un’esistenza “vera” e “positiva”, progettata dagli uomini (o da quelli che appaiono uomini), si può, per ipotesi, soltanto sognare»[1]. Secondo molti studiosi questa è una delle maniere, forse troppo sintetica e unidirezionale, per tentare di riassumere l’intera opera letteraria di Philip Kendred Dick (1928-82)[2], lo scrittore statunitense noto per aver ispirato alcuni film di successo, da Blade Runner (1982) di Ridley Scott a Minority Report (2002) di Steven Spielberg, e per essere ormai definitivamente considerato — grazie anche a studi, tesi di laurea, convegni[3] — tra gli autori statunitensi di riferimento per il Novecento, assieme a William Faulkner, Norman Mailer, Thomas Pynchon. C’è perfino chi azzarda un’ipotesi: «Se Dick fosse sopravvissuto [oltre i 53 anni che è vissuto], avrebbe potuto essere certamente proposto per il Nobel»[4], così penetrante è «la forza simbolica e la carica [metaforica del suo] grandioso affresco dell’universo»[5].
«Filosofo non narratore»
Ripensando, pochi mesi prima della morte, alla sua opera di scrittore, Dick confessa: «Sono un filosofo che si esprime in romanzi, non un narratore; la mia abilità nello scrivere romanzi e racconti viene da me impiegata come un mezzo per formulare le mie percezioni. Il nucleo di ciò che scrivo non è arte ma verità. Pertanto ciò che dico è la verità, eppure non posso far nulla per alleviarla, né con atti né con spiegazioni»[6].
Fin dagli esordi, i racconti e i romanzi di Dick appaiono caratterizzati da idee ben precise, dal colore ambientale, da un profilo stilistico tendente a un livello decisamente alto. Già nel precoce Solar Lottery (Il disco di fiamma, 1955) scopriamo un debito con la migliore letteratura fantastica e anticipatrice del Novecento: Wells, Zamjàtin, C. S. Lewis[7], Huxley, Orwell, per il lato avveniristico, sociologico, etico e utopico; Sturgeon e Van Vogt per gli aspetti più legati ai temi di fantasia e scienza. Anche Eye in the Sky (L’occhio nel cielo, 1957) e altri lavori minori —
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