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La mortalità era lontana da noi, i disastri erano altrove, distanti dal nostro mondo che sembrava darci sicurezza. La morte c’era, ma il mondo del consumo e del piacere riusciva a reprimere la paura della morte nei nostri cuori. Un’intera generazione in Europa è cresciuta in questo mondo superficiale, e non ne conosce altri. Certo, la crisi economica a volte si è mangiata la nostra sicurezza, ma uscire la sera, viaggiare, consumare il nostro corpo e il nostro cuore hanno eclissato i nostri interrogativi e hanno eclissato anche i nostri dubbi.
Tutto questo adesso è cambiato. La morte, che aveva un ruolo secondario, lontano da noi, dietro le quinte, è tornata al centro del palcoscenico. La morte, la finitezza della nostra esistenza sollevano radicalmente la questione del senso della nostra vita. L’isolamento e la solitudine ci permettono di approfondire questi interrogativi e di giungere a una vera conversione.
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La nostra pratica religiosa era a immagine delle nostre società: il «consumo» della religione non ci rende ancora donne e uomini di Dio. È l’ascolto della Parola, la sua meditazione nei nostri cuori che ci fa volgere verso Dio. Non è il divino, inteso come prodotto religioso da consumare, a darci un senso di felicità, ma il Padre, che ci ama oltre la nostra fine, oltre la nostra morte.
E una vera e sincera conversione ci porta sempre verso gli esseri umani creati da Dio e da lui amati. Una vera conversione non si limita a trasformare il nostro cuore, ma cambia anche il nostro modo di vivere, le nostre azioni.
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La crisi che stiamo attraversando dimostra che i nostri modelli economici devono cambiare. La globalizzazione è spesso accusata di questo. Per molti anni abbiamo pensato al significato dell’espressione glocal, una combinazione delle parole «globale» e «locale». Purtroppo questo concetto è rimasto appannaggio di poche élite, l’economia ha imboccato la strada del liberismo sfrenato, dove l’unica cosa che conta è la massimizzazione del profitto. Se vogliamo condizioni migliori nelle prossime crisi, e l’economia ha bisogno di una sua conversione «glocale», che include il rimedio a tante ingiustizie in cui il Nord si approfitta del Sud.
I leader politici, se hanno l’ambizione di essere uomini di Stato e non solo di una parte, devono prendere l’iniziativa. Non facciamoci illusioni: oggi non stiamo vivendo una «grande eccezione». Queste crisi torneranno e costituiranno solo l’inizio della crisi ecologica che il nostro stile di vita sta facendo avanzare.
La crisi attuale ci mostra anche la necessità di relazioni umane e di reti di solidarietà. Scuole e asili nido chiusi e lavoro da casa ci mostrano l’importanza della famiglia come prima cellula di solidarietà. Le nostre politiche hanno minato le reti familiari, favorendo l’individualismo, frutto delle nostre preferenze economiche. Mi rivolgo ai politici affinché facciano tutto il possibile per rafforzare le famiglie, i primi nuclei di solidarietà; invito tutti a tornare al buon vicinato che favorisce l’aiuto reciproco.
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La più grande rete di solidarietà che possiamo immaginare è l’Unione Europea. Eppure l’Ue sembra paralizzata. Il ritorno all’interesse nazionale sembra ovvio per la maggior parte dei Paesi membri. Nell’anniversario dell’accordo di Schengen, vediamo le nostre frontiere chiuse, senza possibilità di dialogo reale, senza accordo reciproco. La crisi sembra favorire l’individualismo delle nazioni.
Le epidemie hanno sempre lasciato tracce nella memoria collettiva dei popoli: capolavori della letteratura e capolavori dell’arte religiosa, come i santuari dedicati alla Madonna, a San Rocco, a San Sebastiano. Le processioni ricordano ancora oggi le epidemie di peste che infuriavano in Europa. Quali saranno le tracce della pandemia di coronavirus nella memoria collettiva dei popoli europei?
L’Europa non può essere costruita senza un’idea di Europa, senza ideali. Il fatto che l’Unione Europea si chiuda ai rifugiati, le immagini del sovraffollato campo profughi di Moria sull’isola di Lesbo, le migliaia di naufraghi nel Mediterraneo hanno inflitto profonde ferite all’ideale europeo. La mancanza di solidarietà durante la crisi causata dal coronavirus può diventare la ferita mortale. È vero che sappiamo di un certo numero di pazienti italiani e francesi in cura in Germania, per esempio, o di altri in Lussemburgo. Ma vediamo in evidenza la difficoltà della solidarietà europea. Temo che per molti questo sarà il disincanto nei confronti del progetto europeo.
La ricostruzione del secondo dopoguerra è stata importante per la formazione di nuove reti di relazioni, come quella occidentale, che ha avvicinato gli Stati Uniti e una parte dell’Europa. Come possiamo ora prevedere che avvenga la ricostruzione dei Paesi europei alla fine della crisi? Il rischio è che, senza aiuti economici e finanziari, i Paesi poveri diventino più poveri. Questa è l’ultima chanche data al progetto europeo. Spero con tutto il cuore che i Paesi del Nord realizzino un progetto di solidarietà con i Paesi del Sud Europa, non sotto ricatto, ma facendo ogni sforzo possibile, in un grande gesto di solidarietà europea. Altrimenti, non sarà soltanto l’idea europea a essere a rischio. È la mappa del mondo che cambierà dopo questa crisi. L’Europa potrebbe uscirne più debole, e il ritorno al nazionalismo potrebbe indebolire gli stessi Stati-nazione.
La crisi è una cesura: può indebolirci o farci affrontare nuove sfide. La crisi causata dal coronavirus ci presenta sfide personali, esistenziali e religiose. Ci presenta anche sfide sociali e sfide politiche per l’Europa. In quanto cristiani, ci permette di meditare su tutte queste sfide, associandole al mistero pasquale, alla morte e risurrezione di Gesù Cristo, nostro Signore e fratello.
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EUROPE AND THE VIRUS
Until the spread of the pandemic, the awareness of mortality in Europe was tenuous for many of us: catastrophes were elsewhere, far from our world of consumption and pleasure, which seemed to give us security. Religious practice itself was in the image of our societies. The current crisis shows that our models -first and foremost , our economic models-must change and political leaders must take the initiative. We need to consolidate the networks of solidarity, and the largest of them is the European Union. But Europe cannot be built without an idea of Europe and without ideals. This crisis is a wake-up call, for it presents us with personal, existential and religious challenges, as well as social and political challenges that we must now confront. The Author is the President of the Commission of the Episcopal Conferences of the European Community.